Per rispondere a queste e altre domande relative al significato profondo del termine salute, ZENIT ha intervistato il dott. Carlo Valerio Bellieni neonatologo docente di Terapia Neonatale alla Scuola di Specializzazione in pediatria dell’Università di Siena. Membro della European Society of Pediatric Research, del Direttivo Nazionale del gruppo di Studio sul Dolore della Società Italiana di Neonatologia e della Pontificia Accademia Pro Vita. È membro anche del direttivo nazionale dell’associazione Scienza e Vita ed è Segretario del Comitato di Bioetica della Società Italiana di Pediatria.
Dottor Bellieni, in un articolo recentemente pubblicato dall’edizione di ZENIT in inglese Lei ha espresso un’originale visione della parola “salute”, definendola come “lo stato di soddisfazione personale, supportato socialmente”. Perché è importante domandarsi cosa significa davvero “salute”?
Bellieni: Perché il termine “salute” si accosta troppo spesso all’idea di perfezione fisica e mentale – sbagliando! – e questo ha due brutte conseguenze: la prima è che, in fondo, nessuno finisce per essere considerato davvero sano; la seconda è che, allora, tutti sono per forza insoddisfatti. Alla fine la salute, che consideriamo come un diritto, diventa invece un’utopia. Invece la salute è ben altro che un’utopica perfezione e questo ha delle ricadute sociali e politiche.
Ci spiega cosa intende per “salute”?
Bellieni: Provate a domandarvi quando non sentite di essere sani: vedrete che la risposta non è quella della pubblicità televisiva, cioè quando siete pressoché perfetti (che poi è quella che dà anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità). Ma sentite di essere sani quando riuscite a fare le cose di tutti i giorni, o le cose che fanno tutti quelli della vostra età. Dunque il vecchio è sano se fa quello che piace fare ad un anziano; il bambino è sano se fa quello che piace fare ad un bambino. Insomma, si è sani se si è soddisfatti di quello che si riesce a fare, non se si fanno cose impossibili e allucinanti.
Dunque anche per il disabile è possibile sentirsi in salute?
Bellieni: Certo, basta però che non sia un “accontentarsi” o un “rassegnarsi”. Per questo occorre un costante appoggio sociale.
È questa la ricaduta politica?
Bellieni: Sì, perché gli Stati devono mettere le politiche sociali al primo posto, quando scrivono le leggi finanziarie, mentre recentemente abbiamo notato in molti Paesi tagli gravissimi alle politiche sociali, con proteste dall’Inghilterra all’Italia. C’è poi un altro risvolto di un malinteso senso della parola salute.
Quale?
Bellieni: Se la salute è il pieno benessere, e se le leggi statali legano l’interruzione volontaria di gravidanza al rischio per la salute (cioè al rischio di perdere qualunque dettaglio della propria vita così come l’abbiamo programmata), è facile giustificare l’aborto come un rischio per la salute. Invece la salute, per essere definita tale, richiede di essere supportata socialmente, cioè di non lasciare nessuno solo di fronte alle scelte difficili della vita. Inoltre, rendere soggettiva l’idea di salute mostra un evidente paradosso che notiamo nel caso dell’aborto legalizzato: è l’unico punto in tutta la medicina in cui la paziente si auto-diagnostica il rischio per la salute e si auto-prescrive la terapia. Ma nel resto della medicina le cose non vanno così: serve oggettività ed esperienza.
Di chi è la responsabilità per recuperare il senso del termine “salute” e non cedere al soggettivismo e all’insoddisfazione?
Bellieni: In primo luogo dei mass-media, che legano troppo spesso la soddisfazione o il benessere al consumismo e a tutto quello che ne deriva. E che non mostrano la vera vita e le vere speranze delle persone malate. Penso che basterebbe mostrare lo sport dei disabili con intelligenza, per mostrare a che punte di eccellenza arriva la persona umana quando non è lasciata sola. Invece le Paralimpiadi sono trasmesse quasi di sfuggita e non le ha viste nessuno. Peccato.
E la politica?
Bellieni: Può fare molto se riprende a parlare un linguaggio culturale e “prepolitico”, cioè di benessere vero delle persone, a parlare di sviluppo sostenibile, di difesa della vita debole e di ecologia, tre campi strettamente uniti e che sono curati da scienziati e studiosi che temono il decadimento della civiltà occidentale. Invece spesso la politica finisce col perdere le priorità e insegue più il benessere consumistico di una minoranza che il benessere vero della popolazione, cioè la ricerca di una salute correttamente intesa senza pretese eccessive e consumistiche.