ROMA, venerdì, 30 novembre 2012 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la seconda parte del discorso tenuto ieri dal cardinale Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, presso la Sala Newman della Pontificia Università Urbaniana, all’Atto accademico di inizio delle attività 2012-2013 dello Scalabrini International Migration Institute (SIMI).
***
2. Una rilettura critica
E così, torniamo alla domanda di poc’anzi: mentre la Chiesa cerca di impegnarsi profeticamente con lo sguardo al futuro, perché si rivolge al passato, a un documento ormai storico, per discutere della sua rilevanza nel mondo d’oggi?
Nella Lettera circolare Chiesa e mobilità umana, indirizzata alle Conferenze episcopali del mondo cattolico, l’allora Pontificia Commissione della pastorale per le migrazioni e il turismo affermò che “quel documento [cioè la Exsul familia], che abbraccia tutti gli aspetti dell’itineranza, conserva il suo valore anche oggi. È dal tronco antico che si diramano germogli nuovi”[1]. La metafora del dell’albero, con il suo tronco e i suoi rami, mi sembra molto appropriata in riferimento alla Exsul familia, che stabilisce i principi fondamentali per la prassi normativa e gli approcci strutturali alla cura pastorale dei migranti. E credo che tutti voi qui riuniti ne siate ben consapevoli, a motivo dei vostri studi e della ricerca accademica proprio nell’ambito della teologia pastorale della mobilità umana. Molte riflessioni su questo documento, di carattere teologico, legislativo e pastorale, hanno messo in luce la sua rilevanza. Per questo motivo, se me lo concedete, vorrei proporvi un approccio e una prospettiva diversa.
Nella preparazione di questa conferenza, mi sono tornate alla mente alcune critiche, che a suo tempo sono state mosse alla Costituzione apostolica e voglio riproporre in questa sede tre accuse specifiche, cercando di valutarne il peso, a distanza ormai di sessant’anni.
La prima afferma che il documento pontificiodel 1952 haun carattere “auto-celebrativo”; la seconda, che esso è troppo “circoscritto” e la terza, che è dominato da “enfasi autoreferenziale”. Non è mia intenzione, qui ed ora, discutere la validità o meno di questi rilievi critici o difendere esplicitamente il documento, ma faccio riferimento a queste sottolineature perché offrono una visione interessante sul modo in cui la Exsul familia può continuare a ispirare la riflessione e, soprattutto, la sollecitudine pastorale della Chiesa per i migranti.
Vi sono, dunque, tre aspetti che voglio affrontare. In primo luogo, il fatto che la Exsul familia offre, in sostanza, un compendio dell’attività della Chiesa per quanto riguarda il fenomeno migratorio. Si tratta della descrizione in sintesi di ciò che la comunità ecclesiale ha realisticamente messo in campo, in questo ambito, nella prima metà del XX secolo.
In secondo luogo, l’approfondimento ermeneutico della situazione, che il documento propone facendo tesoro dell’esperienza delle comunità ecclesiali sul territorio e suggerendo modelli che potrebbero essere d’aiuto nell’organizzazione della pastorale migratoria.
Infine, la Costituzione apostolica lancia uno sguardo profetico sul futuro, che lascia anche spazio per ulteriori precisazioni e modifiche. È proprio a questi tre aspetti, rispettivamente, che rimandano le tre critiche prima menzionate.
3. Un documento “auto-celebrativo”?
La prima delle due sezioni, che formano la struttura della Costituzione apostolica, è un resoconto storico della sollecitudine della Chiesa verso i migranti e i rifugiati nei decenni che hanno preceduto la sua promulgazione. Questa sezione, in particolare, è stata denunciata come “auto-celebrativa” per il fatto che la descrizione conduce il lettore attraverso una dettagliata analisi della presenza storica della Chiesa accanto a migranti e rifugiati, con dovizia di citazioni dei documenti ufficiali pubblicati in materia. In realtà, bisogna dire che questo resoconto non solo è molto istruttivo per una adeguata visione del passato, ma è anche fondamentale per la comprensione dello spirito delle disposizioni che compongono la parte normativa. A mio modo di vedere, questo è un aspetto di notevole importanza, poiché ispira anche la nostra riflessione odierna.
Come ben sappiamo, nel 1952 il fenomeno dell’emigrazione non costituiva una novità. Fino ad allora la Chiesa aveva guardato ai flussi migratori con grande preoccupazione per i molti pericoli che essi comportavano, sia per l’integrità fisica che per la salute spirituale delle persone. Tale considerazione era il risultato della storia della Chiesa universale, ampliato in particolar modo dall’esperienza delle Chiese locali nel mondo che, in quegli anni, avevano notato arrivi o partenze impressionanti di migranti nelle loro diocesi e parrocchie mai visti prima, a partire dalla seconda metà del 1800. Mentre alcuni Ordinari locali raccomandavano l’istituzione di una cura pastorale specifica per i migranti, altri sostenevano approcci diversi sulla maniera di affrontare e di risolvere la questione. Ciòsi riflette nella Exsul familia, dove ci si sofferma a ponderare varie e, a volte, contraddittorie esperienze a partire dal pontificato di Papa Leone XIII. A motivo della diversità e dell’ampiezza di un tale patrimonio pastorale, si capisce perché il Sommo Pontefice fosse preoccupato della necessità di fornire un’assistenza specifica e uniforme ai migranti. E così, l’Exsul familia fu considerata la magna charta della dottrina della Chiesa in materia di migrazione, poiché essa chiariva alcuni principi fondamentali nel servizio religioso ai migranti, ispirando la creazione di parrocchie nazionali o di missioni per la cura spirituale dei migranti di una lingua specifica e l’assistenza ai migranti di origine etnica affidata a sacerdoti con il medesimo background culturale o linguistico. La Costituzione, inoltre, introduceva principi di sano pluralismo nell’approccio al fenomeno della mobilità umana, contrastando le tendenze di assimilazione immediata, che erano state sostenute in alcune diocesi e da parte di alcuni Ordinari.
Ma la Costituzione apostolica non si vide impegnata soltanto a reinterpretare e a sintetizzare gli insegnamenti del Magistero universale della Chiesa sulla pastorale migratoria. La fase analitica offrì la base per valorizzareil potenziale – sia culturale sia spirituale – dei flussi migratori, pur senza sottovalutarne le sfide e i pericoli.
In un certo senso, le parole del beato Giovanni XXIII, pronunciate in occasione del 10° anniversario della promulgazione della Exsul familia, sembrano appropriate in questo luogo. Egli disse che “il documento rimane testimonianza della vigile premura con cui la Chiesa, seguendo le moderne trasformazioni sociali, vuole aiutare la risoluzione dei problemi che esse hanno posto con tanta urgenza. Di fronte all’accentuato nomadismo dei popoli, e ai nuovi bisogni spirituali da esso causati, il nostro predecessore di V.M. Pio XII volle dare stabile e compiuta organizzazione all’assistenza degli emigranti, sia lungo le vie di terra e di mare, sia nei luoghi di destinazione”[2].
Nell’attuale contesto del fenomeno migratorio in Europa e in tutto il mondo, proprio come sessant’anni fa con la Exsul familia, oggi la Chiesa è chiamata a rivedere e, ancora una volta, a fare una sintesi del suo passato. Dopo la promulgazione di quella Costituzione, il patrimonio dei pronunciamenti ecclesiali è, a dir poco, impressionante: dobbiamo almeno menzionare i documenti del Concilio Vaticano II, soprattutto la Costituzione pastorale Gaudium et spes, il Motu proprio di Paolo VI Pastoralis Migratoru
m cura e la successiva Istruzione della Sacra Congregazione per i Vescovi Nemo est, la Lettera della Pontificia Commissione della Pastorale per le Migrazioni e il Turismo Chiesa e mobilità umana, la revisione del Codice di Diritto Canonico e il recente documento del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti Erga migrantes caritas Christi, promulgato 8 anni fa. Accanto a questi, non dobbiamo dimenticare numerosi vescovi, sacerdoti, religiosi e laici che hanno sacrificato la loro vita nell’assistenza dei migranti e di tutte le persone “in movimento”.
Ovviamente, non si tratta di offrire motivi alla Chiesa per sentirsi proverbialmente “compiaciuta” e, come si dice popolarmente, “a darsi una pacca sulla schiena”. È, invece, un invito a riflettere obiettivamente e ad analizzare di nuovo l’efficacia di quello che la Chiesa ha fatto finora e continua a fare.
Nella sua Lettera enciclica Caritas in veritate, Benedetto XVI parla della situazione attuale del mondo e afferma che oggi siamo obbligati “a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative”. E così, continua il Papa, “diventa occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, è opportuno affrontare le difficoltà del momento presente”[3]. Dunque bisogna guardare al passato per discernere ciò che è stato positivo e mettere da parte ciò che è stato negativo.
Anche oggi la riflessione della Chiesa deve affrontare questioni cruciali, come ad esempio: in che modo gli insegnamenti e l’attività della Chiesa, nel fenomeno migratorio, hanno salvaguardato la centralità e la dignità della persona umana? Come ha tutelato e promosso i diritti umani fondamentali? Come ha valorizzato le minoranze nelle società civili e nelle comunità ecclesiali? Come ha apprezzato il valore della cultura diversa nel processo di evangelizzazione? Ha percepito il fenomeno migratorio come un contributo alla pace nel mondo? In quale misura ha partecipato al dialogo civile, ecumenico e inter-religioso? La Chiesa è stata capace di aiutare credenti e non-credenti a vedere il potenziale insito nel fenomeno migratorio?
Rispondere a queste domande è uno dei compiti che continuamente sollecita il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Ma la questione interpella anche le Istituzioni e gli Organismi nazionali e internazionali, come lo Scalabrini International Migration Institute, dando ragione anche all’incontro di quest’oggi, nell’ambito delle vostre attività accademiche.
*
NOTE
[1] Pontificia Commissione della pastorale per le migrazioni e il turismo, Chiesa e mobilità umana (26 maggio 1978), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1978, n. 28.
[2] Giovanni XXIII, Discorso agli Emigranti, Rifugiati, membri dell’“Apostolatus Maris” e dell’“Apostolatus Coeli” in occasione del 10° anniversario della promulgazione della Exsul Familia (5 agosto, 1962), in: AAS LIV (1962) pp. 576-581.
[3] Benedetto XVI, Caritas in veritate, 21, in: Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. V, 1, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, pp. 1182-1246.
[La prima parte è stata pubblicata giovedì 29 novembre. La terza parte uscirà domani, sabato 1 dicembre]