di Antonio Palma*
ROMA, martedì, 27 novembre 2012 (ZENIT.org).
4. – La tutela risarcitoria viene estesa dalla Corte in favore dei fratelli del nascituro.
Con riferimento ai primi, si ricordi che, secondo un pregresso orientamento, il risarcimento del danno veniva, in simili ipotesi, riconosciuto in origine soltanto ai genitori: alla madre, anche in quanto ovviamente parte del rapporto (contrattuale) con la struttura o il medico; al padre, in quanto terzo direttamente tutelato dal contratto, considerato contratto con effetti protettivi nei confronti di terzi ‘qualificati’, appunto il padre ed il concepito (si ricordi Cass., 14.7.2006, n. 16123). In relazione all’estensione di tutela in favore del padre, peraltro, si discuteva se avvenisse ex contractu (come oggi comunemente si ritiene; v. Cass. 2006/16123), o come «vittima di rimbalzo» (Cass., 6375/2002).
I fratelli e le sorelle non venivano, invece, considerati terzi protetti dal rapporto.
La corte ha applicato i medesimi principi in estensione della tutela in favore del padre: «anche ai fratelli e alle sorelle del neonato, dei quali non può non presumersi l’attitudine a subire un serio danno non patrimoniale, anche a prescindere dagli eventuali risvolti e dalle inevitabili esigenze assistenziali destinate ad insorgere, secondo l’id quod plerumque accidit, alla morte dei genitori. Danno intanto sussistente tra l’altro (…) nella inevitabile minor disponibilità dei genitori nei loro confronti, in ragione del maggior tempo necessariamente dedicato al figlio affetto da handicap, nonché nella diminuita possibilità di godere di un rapporto parentale con i genitori stessi costantemente caratterizzato da serenità e distensione» (p. 17).
Anche questa parte emotiva, per la verità, non manca di suscitare alcune perplessità, in relazione ad una diversa prospettazione dei doveri di solidarietà, specialmente in ambito familiare, dalla quale pur potrebbero legittimamente discendere rinunce a «piaceri» e «godimenti» vari.
5. – Quanto al riconoscimento del diritto risarcitorio in favore del nascituro, la questione è di peculiare complessità, coinvolgendo la tematica, tra l’altro, dei diritti adespota, diritti, cioè, senza titolare, alla quale in questa sede non è possibile neppure un cenno.
La stessa decisione, al riguardo, non manca di manifestare legittime perplessità circa il riconoscimento di azione autonoma in favore del nascituro, atteso che «la tutela giuridica del nascituro, pure prevista dal nostro ordinamento, è peraltro regolata in funzione del diritto del concepito a nascere (sano), mentre un eventuale diritto a non nascere sarebbe un diritto adespota, in quanto a norma dell’art. 1 c.c., la capacità giuridica si acquista al momento della nascita ed i diritti che la legge riconosce in favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita» (p. 23); ed inoltre, l’ordinamento «tutela il concepito – e quindi l’evoluzione della gravidanza – esclusivamente verso la nascita e non verso la non nascita» (p. 24); ed ancora, «se esistesse detto diritto a non nascere se non sano, se ne dovrebbe ritenere l’esistenza indipendentemente dal pericolo per la salute della madre derivante dalle malformazioni fetali» (p. 25).
In estrema sintesi, la corte ritiene, tuttavia, superabili queste argomentazioni (ed altre contrarie ancora), affermando la legittimazione del minore in proprio all’azione risarcitoria, in caso di malformazione incurabile, riconoscendo a «qui in utero est (…) la natura di soggetto di diritto ovvero, del tutto specularmene, di oggetto di tutela sino al momento della sua nascita» (p. 36).
Con un significativo mutamento di orientamento, «la lesione inferta al concepito si manifesta e diviene attuale al momento della nascita, la situazione soggettiva tutelata è il diritto alla salute, non quello a nascere sani». Si precisa che «chi nasce malato per via di un fatto lesivo ingiusto occorsogli durante il concepimento non fa, pertanto, valere un diritto alla vita né un diritto a nascere sano né tanto meno un diritto a non nascere. Fa valere ora per allora, la lesione della sua salute, originatasi al momento del concepimento. Oggetto della pretesa e della tutela risarcitoria è, pertanto, sul piano morfologico, la nascita malformata, sul piano funzionale (quello cioè del dipanarsi della vita quotidiana) il perdurante e irredimibile stato di infermità. Non la nascita non sana … o la non nascita» (p. 53).
Il fondamento di un simile diritto è rinvenuto negli artt. 2, 3, 29, 30 e 32 Cost.: la lesione lamentata dal minore malformato, difatti, «non è la malformazione in sé considerata – non è, in altri termini, l’infermità intesa in senso naturalistico (o secondo i dettami della scienza medica), bensì lo stato funzionale di infermità, la condizione evolutiva della vita handicappata intesa come proiezione dinamica dell’esistenza che non è semplice somma algebrica della vita e dell’handicap, ma sintesi di vita ed handicap, sintesi generatrice di una vita handicappata». Non viene, dunque, in rilievo la nascita, bensì «la futura vita handicappata intesa nella sua più ampia accezione funzionale di una vita che merita di essere vissuta meno disagevolmente».
Pare, quindi, essere abbandonata la teoretica del diritto a nascere sani o a non nascere se non sani: la questione, secondo l’annotata decisione, difatti, «non è più quella della sua venuta al mondo, ma soltanto quella del suo handicap (…) gli effetti protettivi del rapporto obbligatorio (contrattuale o da cd. contatto sociale) instaurato tra la paziente e i sanitari che la assistono durante la gestazione si producono non solo a favore del marito, bensì anche del figlio».
Ed ancora, la propagazione di responsabilità in favore del nascituro è effetto della «diffusa sensibilità sociale che sia esteso al feto lo stesso effetto protettivo (per il padre) del rapporto intercorso tra madre e medico; e che come del resto accade per il padre, il diritto al risarcimento possa essere fatto valere dopo la nascita anche dal figlio il quale, per la violazione del diritto all’autodeterminazione della madre si duole in realtà non della nascita ma del proprio stato di infermità (che sarebbe mancato se egli non fosse nato).
E si precisa ancora che questa «propagazione intersoggettiva degli effetti diacronici dell’illecito è conseguenza del fatto che «l’interesse alla procreazione cosciente e responsabile» non è «solo della madre, ma altresì del futuro bambino, e ciò anche quando questo si trovi ancora nel ventre materno».
Ulteriori valutazioni significative vengono, poi, manifestate in relazione al nesso di causalità, in ordine alle quali si rinvia al testo della decisione (p. 60 e ss.).
6. – E’ quasi inutile sottolineare la peculiarità degli interessi tutelati e oggetto di indagine (salute e vita della persona umana) in materia di responsabilità del medico ginecologo, contribuendo in materia determinante ad una risistematizzazione concettuale del sistema della responsabilità civile, integralmente considerato.
Tuttavia, le significative argomentazioni della Corte non sembra debbano far passare in second’ordine quel diffuso invito alla prudenza allorché si ‘maneggino’ detti beni.
Resta, comunque, il dissenso per una decisione che per giustificare le sue determinazioni sembra far ricorso ad antiche concezioni dell’embrione, come portio rei, per coinvolgerlo in un comune destino con i genitori e familiari.
Inoltre, nonostante la finezza delle argomentazioni adottate, appare evidente il contesto ideologico di riferimento, per il quale la nascita – e la vita – non sembra essere un valore per se stesso positivo, se non accompagnata da aspettative positive in ordine alla sua “comodità” di gestione. Un’idea ingenua e semplicistica.
* Professore Ordinario
Istituzioni di Diritto Romano Facoltà di Giurisprudenza
Università di Napoli “Federico II”
Avvocato
Presidente Scienza & Vita Napoli
[La prima parte è stata pubblicata lunedì 26 novembre]
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