di Nieves San Martin
CÓRDOBA, martedì, 27 novembre 2012 (ZENIT.org) – Tutta la Spagna guarda ancora oggi con ammirazione alla testimonianza di coloro che hanno dato la propria vita per la fede sin dai primi secoli del cristianesimo, quando la fede entrò nella penisola grazie alla predicazione di san Giacomo e san Paolo.
Tra le terre privilegiate di martirio e di santità c’è Cordoba. ZENIT ha incontrato il postulatore diocesano delle Cause dei Santi, don Miguel Varona. Nato a Cordoba nel 1961, è stato ordinato sacerdote nel 1992. Nei suoi vent’anni di ministero ha svolto diversi incarichi in varie località della Spagna, tra cui a Montilla come custode della Casa di San Giovanni d’Avila. Attualmente è parroco di San Pelagio a Córdoba e, dal 2006, è stato nominato Postulatore della causa dei 132 Martiri della persecuzione religiosa degli anni 1936-1939 nella medesima diocesi.
In questa intervista esclusiva, don Miguel approfondisce le figure dei santi e dei martiri, semplici persone che, conservando la fede di fronte alle persecuzioni, hanno piantato con il loro sangue e la loro vita il primo seme del cristianesimo, che ancora oggi fiorisce in questa terra benedetta.
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Córdoba è terra di martiri sin dai primi secoli del cristianesimo, vero?
Miguel Varona: Tutta la Chiesa è martiriale sin dalle sue origini. In particolare la Diocesi di Córdoba, durante la persecuzione di Diocleziano (303-304), è stata il luogo di una lunga fila di illustri martiri: Acisclo e Victoria; Fausto, Genaro e Marziale; Zoilo e via dicendo.
Durante il dominio musulmano, poi, il numero dei martiri si è ampliato in modo significativo, intorno all’825 (Adolfo e Juan) e il 937 (Herring e Vulfura). Ricordiamo anche alcuni martiri contemporanei: San Domenico de Henares OP; il Beato Nicola Pool OFM e, tra il 1936 e il 1939, i Beati Victoria Díez, dell’Istituzione Teresiana; Jose Maria Peris; José María Velasco, Maria della Chiesa Varo e Maria Luisa Romero Giron. Non è sbagliato dire, quindi, che Cordoba è “terra di martiri”.
A che punto è la causa dei nuovi martiri della Diocesi?
Miguel Varona: Il 15 settembre, si è conclusa la fase diocesana di Juan Elias diocesano Medina e di altri 131 compagni martiri (sacerdoti, seminaristi, religiosi e laici) della nostra Diocesi. I verbali di queste cause, un totale di 16.087 pagine, sono stati consegnati alla Congregazione per le Cause dei Santi il 6 ottobre, alla vigilia della proclamazione di San Giovanni d’Avila).
Da quel giorno è iniziato il lavoro del Postulatore della causa di Roma, il padre Fray Alfonso Ramirez Peralbo, OFMCap. La prima tappa è ottenere il decreto di validità della fase diocesana, continuare con la nomina di un relatore, per poi iniziare a scrivere la Positio Super martyrio.
Ci sono poi diverse cause di canonizzazione della Diocesi di Córdoba nella fase romana e nella fase diocesana. Un miracolo attribuito all’intercessione del Venerabile Padre Cristóbal di Santa Catalina (1690), fondatore dell’Ospedale di Gesù Nazareno, è già nella fase che si definire “tappa finale”. Nelle prossime date quasi sicuramente potremo ringraziare Dio per la vita di questo santo sacerdote.
Quasi coetaneo a padre Cristóbal è padre Cosme Perez Muñoz (1636), sacerdote diocesano di Cordoba, fondatore delle Figlie del Patrocinio di Maria, una “causa storica” di cui è postulatore Silvia Correale, su cui si sta approfondendo la vasta documentazione esistente.
Nel 2010, invece, è stata completata l’indagine sulla fama di santità di Madre Teresa Romero Balmaseda (1910), concezionista francescana di Hinojosa del Duque. Siamo anche ai primi passi di alcune cause di cui si sta valutando l’opportuna apertura: Don Angelo Carrillo Trucio (1970), sacerdote diocesano, grande promotore delle vocazioni sacerdotali; Suor Juana Méndez Romero (1990), del Sacro Cuore di Gesù, unita alle sofferenze di Cristo crocifisso nei 40 anni della sua infermità, offerta attraverso le sue incessanti preghiere alla Chiesa, ai sacerdoti e alle missioni.
Quali nuovi progetti sta portando avanti la Diocesi di Córdoba in questo contesto?
Miguel Varona: Per quanto riguarda la causa di Juan Elias e compagni, sto scrivendo un libro, commissionato dal vescovo Demetrio Fernandez, per raccogliere tutta la storia di questo caso. Il volume comprenderà anche una breve biografia dei 132 martiri, con particolare attenzione ai laici, alla unica religiosa della causa e a quattro seminaristi.
Mons. Fernandez ha anche proposto di spostare i resti di questo gruppo di martiri, secondo l’Istruzione Sanctorum Mater, nella Cattedrale. Si sta già preparando una cripta nella Cappella di San Paolo (sulla tomba di monsignor Infantes Florido, grande promotore di questa causa) che li ospiterà, senza alcun tipo di culto, almeno fino al momento in cui la Chiesa non lo ritiene opportuno…
In che modo, questi santi martiri possono diventare un motivo di dialogo interreligioso e di riconciliazione?
Miguel Varona: Un martire non è degno di questo nome, se non è morto perdonando. Questo è un requisito indispensabile che bisogna comprovare in ogni causa di martirio. Morire perdonando è la testimonianza di Cristo sulla Croce, per il nostro tempo e per il futuro.
Nel caso di Juan Medina e dei 131 compagni questa necessaria condizione è stata indagata quanto più possibile. Ed è stata constatata sia in loro, che nelle loro famiglie quando hanno dovuto identificare i loro presunti assassini. Dobbiamo insistere sul fatto che i martiri, in particolare quelli della persecuzione religiosa in Spagna, sono stati testimoni di pace e di perdono, che non sono mai stati violenti, che fino allo spargimento del loro sangue hanno perdonato i propri carnefici come Cristo crocifisso.
Tutti dovremmo prendere esempio da loro, tutti, non solo i cristiani, ma l’intera società, di qualsiasi religione, credenti e non credenti, perché la violenza, l’odio e la guerra hanno invaso il nostro mondo, nonostante si urlino richieste di pace. I martiri, dunque, rimangono il miglior modello di uomini e donne che riconciliano e perdonano.