Quando l'IMU colpisce anche il sociale

La logica utilitaristica va a penalizzare anche ospedali, ricoveri per anziani, comunità di accoglienza, mense per i poveri, scuole paritarie

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di Carmine Tabarro

ROMA, giovedì, 22 novembre 2012 (ZENIT.org).- Le norme decise dal governo Monti sull’Imu,  riguardante il mondo del non profit hanno attirato molte critiche sia da parte dei soggetti interessati sia dai cittadini – utenti coinvolti. Questi rilievi, hanno portato il governo a rivedere le decisioni prese.

Invece è vero il detto popolare che “al peggio non c’è mai un limite”. Il Consiglio di Stato, in ossequio alla normativa europea ha bocciato le esenzioni proposte dall’esecutivo e vuol far pagare l’imposta a tutti gli enti non commerciali.

Il Consiglio di Stato chiede al governo di modificare alcuni passaggi chiave del regolamento che disciplina l’applicazione dell’Imu agli enti non profit, nel timore di incorrere  nelle sanzioni Ue.

In altre parole tutti i soggetti del non profit che esercitano “attività economica” così come questa viene declinata dall’Unione europea, devono essere assoggettati al pagamento dell’Imu.

Questo significa che tutti i soggetti dell’economia civile, che hanno in essere una convenzione con un ente pubblico, o chiede un qualsiasi tipo di retta o contributo all’utenza, anche minima o simbolica, secondo la logica ultraliberista dell’Unione Europea, esercita attività commerciale e quindi deve pagare l’Imu.

L’Europa patria dell’economia civile in Italia e dell’economia sociale in Germania, assume una cultura utilitaristica molto più estremista dei Paesi anglosassoni. Difatti in questi paesi i soggetti del non profit e i donatori sono molto agevolati e incentivati alla donazione.

Ma vediamo punto per punto cosa hanno scritto i magistrati nel: «Alcune limitate parti dello schema di regolamento», recita il testo, devono essere «ricondotte a coerenza con i menzionati principi comunitari, anche allo scopo di evitare il rischio di una procedura di infrazione». Per evitare le sanzioni, continua il Consiglio di Stato, bisogna quindi «inserire e valorizzare nel testo del regolamento il concetto di attività economica, inteso in senso comunitario».

Non va bene che vengano esonerati dal pagamento dell’Imu – come aveva scritto il governo all’articolo 1 comma 1 lettera p del regolamento – gli enti che attuano  “modalità di svolgimento delle attività istituzionali prive di scopo di lucro”; no, per evitare le multe europee gli enti non profit non devono esercitare nessun tipo di attività economica “come definita dal diritto dell’Unione Europea”.

Quindi, nessuna attività economica, se si vuole essere esenti da Imu. Il, Consiglio di Stato però va avanti, e si concentra sulle attività sanitarie, didattiche e recettive (ospedali, scuole e comunità), che il regolamento aveva preso in esame in modo particolare per cercare di definire quali di queste potevano considerarsi non commerciali.

In particolare, con riferimento all’attività assistenziale e sanitaria, il Consiglio di Stato contesta il regolamento perché aveva inserito due criteri in base ai quali gli ospedali e le case di cura potevano non versare l’imposta: se avevano in atto una convenzione o contratto con lo Stato, le Regioni e gli enti locali e svolgevano la loro opera “in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, prestando a favore dell’utenza servizi sanitari e assistenziali gratuiti” o corrisposti dietro il pagamento “di rette di importo simbolico e, comunque, non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività convenzionate o contrattualizzate svolte nello stesso ambito territoriale”.

Al Consiglio di Stato declinando una cultura di protocapitalismo tutto questo non va bene: se avete una convenzione con l’ente pubblico, i soggetti non profit devono pagare l’Imu (“il regime di accreditamento, convenzionamento o altro tipo di accordo con le competenti autorità pubbliche non esclude di per sé la sussistenza del carattere economico dell’attività”) e quanto alla gratuità del servizio e/o alle rette simboliche, non dovete fare i furbi perché questo criterio è innanzitutto “di difficile applicazione” (la gratuità è talmente bella che non può essere vera), dall’altro “non è in assoluto idoneo a qualificare l’attività come non commerciale”.

Questo significa che se anche se doveste far pagare i vostri servizi 1 euro, quell’euro è attività commerciale e quindi tocca pagare perché l’Europa lo vuole: «Va ricordato che la Commissione europea ha precisato che il fatto che un servizio sanitario sia fornito da un ospedale pubblico non è sufficiente per classificare l’attività come non economica, essendovi in taluni casi un grado di concorrenza tra strutture sanitarie relativamente alla prestazione di servizi sanitari», si legge ancora nel parere. Vengono inoltre suggerite delle modifiche in modo che la nuova formulazione risulti «essere maggiormente idonea ad evitare il rischio di un contrasto con i principi comunitari, e ha il vantaggio di poter essere applicata anche ad altre tipologie di attività».

Non esistono infatti solo gli ospedali o i ricoveri per anziani, le comunità di accoglienza o le mense per i poveri. Ci sono anche le scuole paritarie, per le quali pure non vale il richiamo alla gratuità del servizio o alle rette di importo simbolico, come criterio per l’esenzione. «Tale criterio – scrive la sentenza – non sembra essere compatibile con il carattere non economico dell’attività». Secondo la giurisprudenza comunitaria, infatti – è il mantra del Consiglio di Stato – se la scuola pubblica ha sempre un “carattere non economico” anche se “talora gli alunni o i genitori siano tenuti a pagare tasse di iscrizione o scolastiche per contribuire ai costi di gestione del sistema”, per l’istruzione non statale questo fatto non rileva, perché «va distinta l’ipotesi in cui i servizi di istruzione sono finanziati prevalentemente da alunni e genitori o da introiti commerciali».

In questo articolo c’è tutta una logica perversa: se nelle scuole statali i genitori pagano, non è attività commerciale, se pagano nelle scuole paritarie sì, paradossalmente perché pagano di più, quindi gli tocca pagare anche l’Imu.

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ZENIT Staff

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