di Luca Marcolivio
ROMA, giovedì, 22 novembre 2012 (ZENIT.org) – In occasione dell’Anno della Fede si moltiplicano le conferenze e le iniziative pastorali e accademiche di riflessione sul tema della fede e dell’essenza dell’identità dei cristiani.
Tra le più recenti figura il convegno sultema La fede di Gesù e in Gesù, tenutosi ieri sera presso la Facoltà Teologica “San Bonaventura – Seraphicum”, moderato da don Maurizio Gronchi, docente di cristologia al “Seraphicum” e alla Pontificia Università Urbaniana.
All’introduzione del preside della Facoltà, padre Domenico Paoletti OFM, è seguito il primo intervento sulla fede di Gesù, a cura del cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per i Santi.
Secondo il porporato, il grosso del dilemma risiede nella distinzione tra fides e visio riguardo a Gesù. In questa ottica, infatti, è molto arduo parlare di fede da parte di Cristo in quanto egli è consustanziale al Padre, ne vive un rapporto simbiotico, mentre un normale credente fa affidamento su un Dio che non può vedere, né percepire con i sensi.
C’è poi il ‘salto di qualità’ dall’Antico al Nuovo Testamento: se nel primo “l’uomo crede alle opere di Dio nella storia”, nel secondo “la fede è tutta in Cristo”, ha osservato il cardinale Amato.
Il Prefetto della Congregazione per i Santi, attingendo all’ultimo libro di Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù, e all’enciclica del beato Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, ha messo in luce come il Figlio dell’Uomo, ancora dodicenne, insegna alla Madre a pregare, a riconoscere Dio in Gesù stesso e le indica che “il suo vero Padre è un altro”.
La preghiera di Gesù al Padre è quindi molto diversa dalla preghiera rivolta a Dio dagli uomini: si tratta, infatti, di un “vero e proprio dialogo con il Padre” nei confronti del quale, Gesù non è in un rapporto di fede ma di “continua comunione”.
Interpellato da ZENIT sul valore dell’ultima opera del Santo Padre, il cardinale Amato ha definito la trilogia ratzingeriana sulla vita di Gesù come un “invito a riaprire i Vangeli e ad accostarvisi con lo spirito con cui sono stati scritti”. Secondo il porporato, infatti, è “indispensabile non tanto la riscoperta del Gesù storico, quanto del Gesù dei Vangeli”, proprio perché “nei Vangeli lo Spirito Santo trasmette la vera figura e la vera identità di Gesù Cristo”.
La seconda parte del convegno, dedicata alla fede in Gesù, è stata affidata a monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione.
Secondo Fisichella, “credere è un verbo performativo nel senso che impegna la mia vita e richiede un’adesione piena”. Non basta una “fede fiduciale” ma serve anche una “coerenza con la fede stessa”. Inoltre la fede deve “trovare un linguaggio, anche normativo, per poter esprimersi”, ha aggiunto il presule.
La credenza in Dio implica tre dimensioni fondamentali:
1) Il credere Deo (credere a Dio) che riguarda la “dimensione formale della fede, autorità di Dio che si rivela”, mentre il credente “accetta la verità della rivelazione”.
2) Il credere Deum (credere Dio) che, invece, chiama in causa “il contenuto della fede e il mistero dell’amore di Dio”.
3) Il credere in Deo (credere in Dio) che, infine, ha come presupposto non più solo una unione ma una incorporazione, attraverso il battesimo che salva dal peccato e redime.
La terza dimensione è, per certi versi, la più importante, in quanto implica “credere in una persona e volerla sempre più conoscere ed amare” e “rende possibile la fede nel Padre e la legittima”, ha spiegato monsignor Fisichella. Credere è anche un “approfondimento nella mia esistenza di un dono di Dio” e la scelta della fede va “sostenuta da una ragione forte”.
Interrogato sul senso della fede nella propria vita personale, il presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, ha risposto: “Incontrando Gesù Cristo ho trovato il senso della mia vita e sfido chiunque ad affermare di poter trovare un senso alla propria vita a prescindere da Cristo”.
Le considerazioni finali del convegno sono spettate a monsignor Carlos Azevedo, vescovo delegato del Pontificio Consiglio per la Cultura, già vescovo ausiliario di Lisbona.
Secondo il presule portoghese, la grande novità di Gesù Cristo risiede nel suo “rapporto con il Padre che non si inserisce nelle regole del suo tempo (il sabato, il tempio, ecc.)”. Emerge un Dio che è “bontà e non potere”, un Dio che non è tanto “saggezza”, quanto “salvezza” e anche ai “piccoli” è dato di scoprirne il mistero.