di Carmine Tabarro
ROMA, giovedì, 22 novembre 2012 (ZENIT.org).– La ricorrenza del cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II ha ispirato Benedetto XVI non solo ad indire un “Anno della fede” a beneficio dell’intera Chiesa cattolica, ma anche di ribadire e confermare la sua scelta chiara e inequivocabile a favore di un evento di fondamentale importanza ecclesiale e che corre il pericolo di essere addirittura snobbato.
Per evitare questo rischio Benedetto XVI al n. 5 della sua lettera apostolica sotto forma di motu proprio: «Ho ritenuto che fare iniziare l’Anno della fede in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II possa essere un’occasione propizia per comprendere che i testi lasciati in eredità dai Padri conciliari, secondo le parole del beato Giovanni Paolo II, “non perdono il loro valore né il loro smalto”. Certo, il Concilio ha da essere conosciuto attraverso una corretta esegesi dei suoi documenti ma, ancor prima urge ricuperarlo come evento provvidenziale per la Chiesa del nostro tempo».
Prosegue il Papa, citando il Beato Giovanni Paolo II: «Sento più che mai il dovere di additare il Concilio come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre». E di suo il Papa aggiunge: «Io pure intendo ribadire con forza quanto ebbi ad affermare a proposito del Concilio pochi mesi dopo la mia elezione a Successore di Pietro: “Se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa”».
Ho voluto riprendere queste affermazioni, partendo oltre dalla lettera dallo spirito che le hanno mosse affinché siano di stimolo per alcune riflessioni che hanno come priorità assoluta, il rilancio della memoria e dello spirito del Concilio Vaticano II, soprattutto delle sue istanze di rinnovamento ecclesiale e pastorale.
-I documenti conciliari.
E’ del tutto inutile parlare del Vaticano II se, come premessa di ogni nostro progetto pastorale, non poniamo al centro della nostra la riscoperta o la scoperta anche ai fedeli laici i testi conciliari che, come dice il Papa, «sono una eredità preziosa per la Chiesa del secolo XXI». Di conseguenza le nostre comunità di fede devono ritrovare la capacita’ dialogare in modo corretto con il mondo contemporaneo.
Una Chiesa che è chiamata alla conversione a partire dal suo interno, riconoscere le non poche carenze e tradimenti interni; riconoscere che siamo una comunità ecclesiale alcune volte, distratta o attratta da inutili preoccupazioni, che predica molto ma incarna troppo poco il Vangelo di Gesù.
Mi domando: come Chiesa cosa ne abbiamo fatto di questa meravigliosa primavera che e’ stato il Vaticano II? Che cosa abbiamo fatto per tenere viva la memoria e la vita di quel profetico evento? Come abbiamo cercato di rinnovare la nostra conversione, il nostro annuncio-testimonianza, cosa ne abbiamo fatto dei contenuti teologici e pastorali del Vaticano II ? O forse, presi come siamo dalla società delle emozioni, siamo passati prima dall’esaltazione e poi alla routine, quando non alla depressione che è capace di spegnere qualsivoglia legame stabile e riformatore?
A mio avviso per dare la giusta dimensione alla ricorrenza del cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio, dobbiamo anzitutto riprendere in mano i testi conciliari e farne oggetto di studio, di riflessione e di preghiera personale e comunitaria. Se è vero che anche tra i documenti conciliari esiste una “gerarchia”, allora dobbiamo dare assoluta priorità alle quattro Costituzioni conciliari perché esse formano la base teologico- pastorale di tutti gli altri documenti. E questo vale sia per i pastori che per i laici, sia per le relazioni intra ecclesia che extra ecclesia, sia per la partecipazione dei laici alla vita della Chiesa che per un corretto approccio ai problemi della nuova evangelizzazione.
-Il Vaticano II come evento storico.
Dopo il riferimento ai documenti conciliari, ovviamente viene la rivalutazione del Concilio come evento storico di eccezionale importanza, per la Chiesa e per il mondo, del quale forse non si sono resi pienamente conto neppure coloro che, grazie all’ispirazione dello Spirito Santo, l’hanno voluto tenacemente, superando diversi ostacoli. Documenti storici ci hanno rivelato, che non furono poche né lievi le difficoltà che dovettero superare prima papa Giovanni XXIII e poi Paolo VI. Quelle difficoltà, dobbiamo leggerle alla luce dei segni, con i quali la divina provvidenza voleva confermare la validità e la necessità del Concilio stesso.
Il Concilio Vaticano II è stato un evento profetico e storico anzitutto a livello ecclesiale, un evento che in quegli anni nessuno o pochissimi avrebbero potuto immaginare e, tanto meno, desiderare. Sembrava che in seno alla Chiesa cattolica tutto fosse ben “sistemato”: così bene da non aver bisogno di essere riformato o rinnovato. “Quieta non movére“: questo il motto cristallizzato che molti nella Chiesa pensavano irremovibile.
Appare allora, del tutto comprensibile come un pur minimo accenno sulla necessità di una riforma della Chiesa e nella Chiesa abbia potuto scatenare reazioni straordinarie.
Ma tutto questo rende più chiara l’azione dello Spirito Santo che e’ andato oltre alle limitazioni e alle logiche umane.
Allo stesso emergono in tutto il loro splendore le grandi finalità date da papa Giovanni XXIII al Concilio.
Dai testi di storici della Chiesa, ho appreso come diversi ambienti ecclesiastici fossero chiusi, in assoluta buona fede, nelle loro certezze, mentre il mondo cambiava velocemente.
Ho avuto il privilegio di leggere alcuni testi di teologia di una delle Pontificie Università di Roma, adoperati negli anni immediatamente precedenti al Concilio Vaticano II, in essi si parlava di “teologia romana” e questa regnava indisturbata su tutte le materie di studio.
L’insieme di tutti questi fatti ci fanno comprendere come l’ipotesi della celebrazione di un Concilio ecumenico non fosse presente in nessuna agenda ecclesiale.
E’ del tutto normale, quindi, che alcuni di questi pastori sarebbero diventati, durante il Concilio, gli esponenti più duri e più chiusi alle riforme profetiche dello stesso.
Ma per grazia di Dio, insieme a questi pastori chiusi in buona fede nelle loro certezze, ve ne erano altrettanti che da decenni ormai andavano cullando il sogno di un rinnovamento soprattutto liturgico nella Chiesa cattolica.
L’impatto storico del Vaticano II non ha coinvolto solo la Chiesa, ma ha avuto ripercussioni e coinvolto il mondo intero. In primo luogo le varie denominazioni ecclesiali e le comunità ecclesiali, i cui responsabili hanno salutato con grande simpatia e con viva speranza l’indizione di un concilio da parte della Chiesa cattolica. Per tutti ricordo il nome del teologo protestante Karl Barth, il quale non ha potuto partecipare al Concilio per motivi di salute, ma che non ha mancato di manifestare il suo pieno assenso a una decisione così coraggiosa presa dalla Chiesa cattolica. Non solo, ma anche le comunità degli uomini, sparse per il mondo e variamente caratterizzate sotto il profilo culturale, sociale e politico, si misero in una aspettativa insperata che, in parte almeno, ha trovato una risposta amica e autorevole nella Costituzione pastorale Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo.