ROMA, mercoledì, 21 novembre 2012 (ZENIT.org).– Riprendiamo l’omelia tenuta questa mattina a Roma da monsignor Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l’Italia, alla Messa della Virgo fidelis, patrona dell’Arma dei Carabinieri. Erano presenti i Comandanti Generali delle cinque Forze Armate, particolarmente il Comandante Generale dell’Arma, Gen. Leonardo Gallitelli.
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Cari amici,
l’odierno incontro con voi, operatori della sicurezza e custodi del bene comune, mi offre l’opportunità di ringraziarvi non solo perché difendete, anche a costo della vita, i valori morali, fondamento della civiltà, ma anche per il vostro apporto intelligente e lungimirante, educativo e pedagogico, sia nel risolvere i problemi che possono alimentare la violenza sia nel favorire le condizioni affinché essa non nasca e non si sviluppi.
Nel Vangelo ora ascoltato vengono presentati i parenti di Gesù, che vogliono porre fine alla sua predicazione e ricondurlo a Nazaret. E’ l’occasione data a Gesù per spiegare chi appartiene a lui: «Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre» (Mc 3,35).
La volontà di Dio è la voce di Dio che continuamente ci parla e ci invita; è il modo di Dio di esprimerci il suo amore, amore che chiede una risposta perché egli possa compiere in noi le sue meraviglie. La volontà di Dio è il nostro dover essere, il nostro vero essere, la nostra piena realizzazione.
In particolare, oggi, desidero riflettere con voi su come fare la volontà di Dio nelle nostre famiglie. I familiari sono un dono inestimabile gli uni per gli altri. Il marito è un dono per la moglie e la moglie è un dono per il marito. I genitori sono un dono per i figli e viceversa. La differenza delle persone, dei sessi e delle generazioni consente l’interazione, l’aiuto reciproco e ci porta, attraverso il tempo, da una dipendenza ansiosa a un generoso scambio, da un mondo in cui ognuno potrebbe bastare a se stesso alla condivisione di ciò che di meglio abbiamo da offrire.
Gli altri, però, presentano anche delle preoccupazioni da portare con amore paziente. Una certa tensione tra marito e moglie è inevitabile, fisiologica. Ognuno ha la sua personalità, la sua storia, il suo temperamento, i suoi interessi, i suoi punti di vista, i suoi difetti, i suoi peccati. Ognuno è chiamato a farsi carico dell’altro senza tener conto del dare e dell’avere, a gestire in modo intelligente i conflitti, disponibile a perdonare e a chiedere perdono. Certo non possiamo ridurre l’amore familiare alla categoria del “mi manchi”. La sensazione di mancanza, infatti, induce in errore, perché ci porta nel mondo delle apparenze. Con il reciproco desiderio di piacere a colui o a colei che potrebbe colmare la nostra mancanza, costruiamo un’immagine, che ci allontana da noi e dall’altro. Nella mancanza non vediamo che la mancanza. Mai l’altro.
Ciascuno vede soltanto quello che può e, ben presto, ciò che gli deve essere dato, mentre fa credere all’altro di essergli indispensabile.
Si fa la volontà di Dio in famiglia quando si porta la croce nelle situazioni dolorose, come la malattia e le difficoltà finanziare. Occorre forza d’animo, in un tempo come il nostro, in cui si cerca l’emozione forte, la novità dinanzi al vissuto quotidiano, considerato noioso e ripetitivo. Il rimedio sta nel curare le relazioni e la comunicazione interpersonale, cercare di rendersi amabili, intuire e corrispondere ai bisogni e ai desideri ragionevoli dell’altro, particolarmente dei figli. La cura e l’educazione dei figli richiedono tempo, presenza, controllo di sé, armonia coniugale, comune accordo educativo, equilibrio tra affettuosa tenerezza e ragionevole fermezza, disponibilità al gioco e al dialogo, collaborazione con altre agenzie educative.
Amici Carabinieri, siate fiduciosi, perché sopportando i momenti di prova, realmente si aprono nuove porte e una nuova armonia dell’amore. La vera bellezza ha bisogno anche della lotta. L’oscuro e il luminoso si completano. Dobbiamo imparare che anche la crisi è necessaria per crescere nell’amore reciproco. Pensiamo al Signore che porta per l’eternità le stimmate, segno della sofferenza e della morte ma anche del suo amore per noi.
In Cristo, la parola amore ha il senso di alleanza tra due soggetti e due libertà, che rivelano qualcosa di eterno e divino. Non è un amore di dipendenza, quello coniugale, né un amore di seduzione, è un’alleanza che porta frutto. Diversamente una donna, un uomo possono essere sposati, di fronte alla legge e alla società, ma nella verità del loro desiderio non avere un marito, una moglie. Ne consegue, il più delle volte che ognuno rimanda la colpa all’altro, al suo comportamento e perfino a ciò che è: «Lo amo, ma…»; «Amo mio marito, ma non amo più la vita che faccio con lui. Non tiene mai conto di me: di quello che sono, di quello che vivo, di quello che ho voglia di vivere»; «Amo mia moglie, ma non amo ciò che è diventata: non ha più tempo per vivere, sempre occupata nel lavoro o in faccende domestiche. Non la riconosco più». Ti amo, ma non vedo più in te, in noi, che frustrazioni e insoddisfazioni.
Bisogna uscire dalla logica del potere ed entrare in quella dell’amore. «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt 7,12). Non si tratta di rinunciare al proprio bene, ma di armonizzarlo con quello degli altri. Si cresce insieme, mai senza o contro gli altri.
Amici dell’Arma, nel vivere il matrimonio voi non vi donate qualche cosa o qualche attività, ma la vita intera. E il vostro amore è fedele innanzitutto per voi stessi, perché desiderate e realizzate il bene l’uno dell’altro, sperimentando la gioia del ricevere e del dare. E’ fedele poi nella procreazione, generosa e responsabile dei figli, nella cura premurosa per essi e nell’educazione attenta e sapiente. E’ fedele per la società, perché il vissuto familiare è la prima e insostituibile scuola delle virtù sociali, come il rispetto delle persone, la gratuità, la fiducia, la responsabilità, la solidarietà, la cooperazione. Abbiate cura dei vostri figli e, in un mondo dominato dalla tecnica, trasmettete loro, con serenità e fiducia, le ragioni del vivere, la forza della fede, prospettando loro mete alte e sostenendoli nelle debolezze.
La vostra vocazione non è facile da vivere, specialmente oggi, ma quella dell’amore è una realtà meravigliosa. Davanti a voi avete la testimonianza di tante famiglie che coltivano il dialogo, rispettano il punto di vista dell’altro, superano con intelligenza e umiltà gli eventuali conflitti, concordano gli orientamenti educativi, sono attente ai poveri e responsabili nella società civile. Vivete con coraggio questi impegni, certi che, nella misura in cui, con il sostegno della grazia divina, vivrete l’amore reciproco e verso tutti, diventerete un Vangelo vivo, dove trovano un armonico equilibrio i tempi del lavoro e le esigenze della famiglia, la professione e la paternità – maternità. In questo privilegiate sempre la logica dell’essere rispetto a quella dell’avere: la prima costruisce, la seconda finisce per distruggere.
Educhiamoci a credere, prima di tutto in famiglia, nell’amore autentico, quello che viene da Dio e ci unisce a Lui e proprio per questo «ci trasforma in un Noi, che supera le divisioni e ci fa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia “tutto in tutti” (1 Cor 15,28)». È necessario tenere vivo il rapporto personale con il Signore, mediante la preghiera in famiglia, l’ascolto della parola di Dio, la partecipazione alla Messa, la frequenza al sacramento della Penitenza e alla Comunione eucaristica.
Oggi più che mai c’è bisogno di militari esemplari, di famiglie cristiane unite, per portare rimedio alla crisi della famiglia, che è cris
i del matrimonio, della natalità e dell’educazione e si ripercuote nella disgregazione e nella stanchezza della società. Per evangelizzare il nostro mondo secolarizzato, è più necessaria l’autenticità della vita cristiana che non il numero dei cristiani.
Carissimi, vi rinnovo la gratitudine per la vostra azione, non sempre facile e non sempre compresa da tutti nella sua giusta finalità. La Vergine fedele vi sostenga nel servizio alla collettività, protegga voi e le vostre famiglie, custodisca ardente nei cuori la fiamma della fede.
+Vincenzo Pelvi
Arcivescovo