Embrioni crioconservati. Quale futuro?

Sintesi della Relazione introduttiva al X Congresso nazionale Scienza & Vita (Roma 23-24 novembre 2012)

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ROMA, lunedì, 19 novembre 2012 (ZENIT.org).– “Embrioni crioconservati: quale futuro?” è il titolo del X Congresso nazionale dell’Associazione Scienza & Vita e XII Incontro delle associazioni locali che si terrà a Roma il 23 e 24 novembre presso il centro congressi di via Aurelia 796. Il convegno si articolerà in ampie sessioni di lavoro, in cui esperti di discipline diverse approfondiranno i molti aspetti – medici e giuridici, etici e bioetici – della crioconservazione degli embrioni e delle possibilità di sviluppo di queste vite in stand-by. Il sabato è prevista una sessione di comunicazioni interamente dedicata alle Associazioni locali.

Venerdì, in apertura di Congresso, è atteso il Ministro della Salute Renato Balduzzi.

Per definire meglio l’ambito in cui si confronteranno relatori e partecipanti, pubblichiamo una sintesi della Relazione introduttiva del Presidente nazionale dell’Associazione Scienza & Vita, Lucio Romano.

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Il sempre maggior numero di embrioni, formati con tecniche di PMA e crioconservati, solleva molteplici interrogativi in ambito biomedico, etico, giuridico e legislativo. In particolare ricordiamo: la durata della crioconservazione, le conseguenze delle procedure sull’evolutività degli embrioni allo scongelamento, il destino degli embrioni abbandonati o per rinuncia all’impianto.

Secondo l’ultima Relazione del Ministro della Salute, nel 2010 sono stati formati 113019 embrioni, dei quali 16280 crioconservati (14.4% sul totale degli embrioni formati). È prevedibile che nelle prossime Relazioni, così come già si desume da quelle pubblicate nel 2011 e 2012, il numero di embrioni formati e crioconservati aumenterà ancor più, in considerazione della sentenza C. Cost. n. 151 del 15.05.2009 che ha dichiarato illegittimo l’art.14 comma 2 della L.40/2004, modificandolo come segue: “Le tecniche di produzione degli embrioni […] non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario”. Che la definizione “strettamente necessario” abbia avuto una interpretazione estensiva, è nei fatti.

Secondo i dati della letteratura scientifica, in media il 70-80% degli embrioni sopravvive dopo criconservazione, il 50% senza danni evidenti allo scongelamento mentre nel 25% ci sono segni evidenti di danno parziale.

La domanda, direttamente correlata al gran numero di embrioni crioconservati che potranno essere abbandonati o dei quali si è rinunciato all’impianto, è per quanto tempo potranno rimanere nel criostato. Per meglio dire: quale futuro?

Secondo alcuni studiosi dovrebbe valere un criterio convenzionale, vale a dire definire un tempo massimo di crioconservazione. Un criterio, questo, ritenuto “sufficientemente ampio, ma delimitato, otre il quale gli embrioni conservati da lunga data e/o con criteri tecnici insoddisfacenti non hanno alcuna reale possibilità di nascere” (Santuososso A., Redi C.A.). Secondo l’ultimo Report dell’International Federation of Fertility Societies (Fertil Steril 2011;95:491) sono estremamente variabili i limiti massimi di crioconservazione normati dalle varie legislazioni a livello mondiale: dai 3 anni per Brasile, Montenegro e Portogallo ai 10 anni per Australia, Austria, Israele, Ungheria e Gran Bretagna. In 14 legislazioni il periodo massimo è di 5 anni.

Attualmente non abbiamo alcun criterio oggettivo biomedico che ci consenta di definire un embrione – in stato di crioconservazione – viabile o meno, vitale o meno. Necessitando lo scongelamento – con prevedibile perdita di altri embrioni non vitali o non trasferiti perché classificati non evolutivi – è stata proposta la prospettiva tuzioristica di una possibile conservazione a tempo indeterminato degli embrioni congelati.

La Commissione di Studio su Embrioni Crioconservati nei Centri di PMA (Relazione finale, Roma, 08.01.2010) riporta le ipotesi di rinuncia all’impianto da parte della madre: a) impianto inesigibile perché determina un pericolo per la salute della donna; b) impianto ineseguibile quando ritenuto inappropriato o futile in base a esclusivi criteri di perizia medica;  c) rinuncia meramente volontaria da parte della donna. Secondo la Commissione, in ogni caso, “la rinuncia espressa o tacita all’impianto non consente da sola di qualificare gli embrioni in stato di abbandono (o comunque di definitivo abbandono). L’irrevocabilità della rinuncia, pertanto, dovrebbe essere integrata da un elemento oggettivo, di carattere medico-scientifico, che giustifichi in termini di definitività il venir meno dell’obbligo d’impianto”. Ulteriori e non secondarie problematicità sono l’irreperibilità dei genitori e, per la donna, aver raggiunto un’età fertile molto avanzata o essere in menopausa.

Dopo rinuncia all’impianto, queste le seguenti opzioni: a) proseguire la crioconservazione; b) permettere la distruzione;  c) donare per la ricerca;  d) adottare per la nascita. Si premette la non ammissibilità della distruzione deliberata e la ricerca distruttiva sugli embrioni (L.40/2004), come anche richiamato nel 2007 dal CNB nella postilla al Parere sul destino degli embrioni derivanti dalla PMA e non più impiantabili (“non è eticamente giustificabile la sperimentazione e la distruzione degli embrioni ritenuti non impiantabili, così come la diagnosi di una malattia incurabile o l’imminenza della morte non giustifica sperimentazioni cliniche non terapeutiche sul paziente stesso”) e nel 2008 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nella Istruzione Dignitas Personae (“sono chiaramente inaccettabili le proposte di usare gli embrioni per la ricerca o di destinarli ad usi terapeutici, perché trattano gli embrioni come semplice materiale biologico e comportano la loro distruzione. Neppure la proposta di scongelare questi embrioni e, senza riattivarli, usarlo per la ricerca come se fossero dei normali cadaveri, è ammissibile”).

Premesso il fondamento antropologico che l’embrione è un essere umano a pieno titolo, per quanto in una fase iniziale della sua esistenza, l’adozione per la nascita (APN) è tema di particolare attualità e dall’indubitabile valenza etica, giuridica e biopolitica. Nel 2005 il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB. L’adozione per la nascita degli embrioni crioconservati e residuali derivati da PMA) aveva espresso in merito parere favorevole – a maggioranza – con pubblicazione di postille che, rispettivamente, rafforzavano le motivazioni addotte (Casini C. et al.); criticavano le decisioni assunte (Flamigni C.); consideravano ulteriori ipotesi per l’APN (Eusebi L.); rappresentavano  precisazioni aggiuntive (Battaglia L. et al.); esprimevano astensione per ulteriori approfondimenti circa le garanzie di salvaguardia della vita di tutti gli embrioni concepiti (Bompiani A., et al.). Il CNB ha ripreso il tema degli embrioni non più impiantabili nel successivo Parere del 2007 (CNB. Destino degli embrioni derivanti da PMA e non più impiantabili).

E’ opportuno comunque distinguere “donazione” da “adozione”. Per quanto l’espressione “donazione per l’adozione” – spesso usata in ambito anglosassone – coniughi entrambe, proprio  per specifica valenza etica e giuridica si richiedono precisazioni e dettagliati approfondimenti in  merito (Int J Law Policy Family 2011:25:260). L’Ethics Committe of American Society for Reproductive Medicine sottolinea che il termine “adozione” non dovrebbe essere usato in quanto all’embrione si potrebbe riconoscere un particolare rilievo morale solo perché comparabile con altri tessuti umani senza altri riconoscimenti antropologici (“This Committee has made clear its view that embryos should be accorded an elevated moral status compared with other human tissues, but that they should not be viewed as persons “ in Fertil Steril 2009;92:1818). Risulta evidente il richiamo antropologico riduttivistico nei confronti dell’embrione. Personalmente, ritengo che il termine donazione debba essere evitato proprio
per non ingenerare confusione in ambito etico, con ricadute pratiche del tutto non condivisibili.

Circoscriviamo, in ambito bioetico, le nostre riflessioni sull’adozione per la nascita (APN), sebbene sarebbe preferibile l’espressione adozione prenatale, il cui fondamento etico si richiama alla logica constatazione che gli embrioni – frutto delle tecniche di fecondazione artificiale – sono stati pensati per essere chiamati alla vita. Sono vite umane che meritano rispetto e tutela fin dal loro inizio. Ne consegue che l’embrione deve essere protetto e salvaguardato al fine della nascita, valore assoluto e previo rispetto ad altri.

Lucio Romano

Università di Napoli Federico II
Dip. Ginecologia, Ostetricia e Fisiopatologia della Riproduzione Umana
Presidente Associazione Scienza & Vita

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ZENIT Staff

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