ROMA, domenica, 18 novembre 2012 (ZENIT.org).– Riprendiamo la prima parte della presentazione della seconda edizione della Scuola di Formazione Politica, promossa dal Movimento PER – Politica Etica Responsabilità. Il testo porta la firma dell’onorevole Olimpia Tarzia, presidente nazionale del Movimento PER. L’iniziativa si terrà presso la Pontificia Università Lateranense, da gennaio ad aprile 2013.
Per informazioni sul programma, modalità per l’ammissione ecc., si può cliccare sul seguente link: http://www.movimentoper.it/sfp-2013/
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Il momento è indiscutibilmente difficile. L’attuale crisi finanziaria che sta colpendo l’Europa e il mondo intero, conseguenza di profondi squilibri a livello mondiale, sta causando gravi problemi anche al nostro Paese. È ormai evidente che la crisi finanziaria ed economica si sta rivelando innanzitutto una profonda crisi etica, culturale e antropologica, ed è a questi livelli, oltre che a quelli di economia e politiche economiche, che bisogna lavorare per venirne fuori.
Uno dei motivi per cui la crisi economica è così condizionante è perché si fronteggia con una crisi abissale della politica, che ha perso il significato vero e profondo del servizio e sembra non aver più nulla di costruttivo da dire, perché orfana di un progetto culturale. Solo recuperando e rilanciando la matrice culturale e antropologica in cui ci riconosciamo, solo lottando con tutte le forze nella convinzione che è ancora possibile realizzare il sogno di una società giusta, onesta, da lasciare alle generazioni future, possiamo far risalire il nostro Paese dalla china dello scoramento ed anche, ne sono convinta, restituire speranza e motivi di fiducia nel futuro, elementi base anche per la crescita e la ripresa economica.
Non è possibile, inoltre, oggi, nascondere i gravi pericoli a cui alcune tendenze culturali vorrebbero orientare le legislazioni e, di conseguenza, i comportamenti delle future generazioni.
Domina un certo relativismo culturale che teorizza e difende il pluralismo etico, che sancisce la decadenza della ragione e dei principi a fondamento della legge morale naturale. Questa tendenza genera spesso dichiarazioni pubbliche in cui si sostiene che il pluralismo etico è la condizione per la democrazia. Assistiamo così, da un lato, a rivendicazioni di cittadini circa la totale autonomia per le proprie scelte morali, dall’altro, alla formulazione di leggi che prescindono dai principi dell’etica naturale da parte di legislatori che ritengono di rispettare tale libertà di scelta, assecondando certi orientamenti culturali o morali transitori, come se si potesse assumere un atteggiamento di indifferenza di fronte a scelte opposte, come se tutte le possibili concezioni della vita avessero uguale valore.
Nello stesso tempo, invocando – a sproposito – il valore della tolleranza, a una buona parte dei cittadini, e particolarmente ai cattolici, si chiede di rinunciare a contribuire alla vita sociale e politica secondo la propria concezione antropologica della persona e del bene comune.
Noi non condividiamo la tesi relativista secondo cui non esiste una norma morale valida per tutti, radicata nella natura stessa dell’essere umano, al cui giudizio pensiamo invece si debba sottoporre ogni concezione dell’uomo, del bene comune e dello Stato.
Noi non ci riconosciamo in una concezione del pluralismo inteso come relativismo etico, dannoso per la stessa vita democratica, la quale necessita di fondamenti veri e solidi, di principi etici che, per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale, sono, appunto, “non negoziabili”.
Forgiare la propria tempra e le tante qualità umane, sarebbe comunque vano, se non si avesse un porto verso cui dirigersi, una chiara visione della vita, una concezione antropologica e del futuro nella quale orientarsi, degli ideali irresistibili per cui affrontare con passione e discernimento il superamento di ogni difficoltà e infine se non si avessero degli obiettivi credibili da realizzare.
La nostra meta è il Bene Comune, fine e criterio regolativo della vita politica, contribuendo a creare “l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente”. Come riuscirci se non condividendo il comune terreno di dialogo naturalmente radicato nei principi non negoziabili?
Il significato politico dei principi non negoziabili ha a che fare con i loro contenuti. Si tratta, per limitarci ai principali, della vita, della famiglia e della libertà di educazione, ai quali si può aggiungere, per la sua importanza, quello della libertà religiosa. Questi principi sono imprescindibili, ossia non c’è società pienamente umana che non li contempli. Non si tratta di principi tematici particolari o singoli argomenti della politica. Certo sono anche questo e richiedono leggi e scelte politiche mirate, ma sono molto più di questo. Sono dei quadri di fondo con ricadute in tutta la vita sociale e politica, hanno un trasversalità generale per cui, quando non vengono rispettati, è l’intero corpo sociale a risentirne.
La strada per il rispetto dei principi non negoziabili passa necessariamente dal riconoscimento delle fondamenta antropologiche della persona, della dignità di ogni persona umana, del rispetto dei suoi diritti umani intangibili e inalienabili, primo tra tutti quello alla vita dal concepimento alla morte naturale. «Sarebbe totalmente falsa e illusoria qualsiasi difesa dei diritti umani politici, economici e sociali che non comprendesse un’energica difesa del diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale» (Benedetto XVI ai vescovi brasiliani, 28.10.2010). “Nella difesa della vita, non dobbiamo temere l’ostilità e l’impopolarità, rifiutando ogni compromesso ed ambiguità, che ci conformerebbero alla mentalità di questo mondo” (Evangelium vitae, n. 82).
La difesa della vita riguarda moltissime aree della politica.
Non si riferisce solo ad alcune prassi di tipo sanitario o inerenti la ricerca scientifica. Si tratta anche di affrontare politiche giovanili, politiche per la casa, per il lavoro, per la salute, per l’armonizzazione tra i tempi di vita familiare e di lavoro, politiche fiscali, politiche per la tutela della donna come madre e lavoratrice, per gli anziani fragili, per le persone disabili, si tratta di proteggere le giovani generazioni da falsi idoli e modelli e dalle moderne schiavitù, tra cui la droga.
Il nesso profondo tra valori non negoziabili e bene comune, risiede in alcuni pilastri fondamentali del pensiero e dell’esperienza e questi sono i nostri obiettivi. Non si tratta di per sé di «valori confessionali», poiché tali esigenze etiche sono radicate nell’essere umano e appartengono alla legge morale naturale. Essi non esigono in chi le difende la professione di fede cristiana, anche se la dottrina della Chiesa li conferma e li tutela sempre e dovunque come servizio disinteressato alla verità sull’uomo e al bene comune delle società civili. D’altronde, non si può negare che la politica debba anche riferirsi a principi che sono dotati di valore assoluto proprio perché sono al servizio della dignità della persona e del vero progresso umano.
Per questo motivo il significato politico dei principi non negoziabili non consiste solo nell’essere contro – contro l’aborto, contro l’eutanasia, contro il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto e così via – ma si fonda su un prioritario “PER”. È l’adesione a qualcosa che precede la politica e la trascende, e così la salva anche da se stessa. Le politiche del PER sono tutte quelle politiche che i principi non negoziabili chiedono siano messe in atto. Quindi, prima di porre il problema della loro non negoziabilità, dobbiamo mettere in luce il tanto da fare che
l’assunzione di quei principi richiede.
[La seconda parte del testo verrà pubblicata lunedì 19 novembre]