CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 16 novembre 2012 (ZENIT.org) – Riportiamo di seguito la prima parte della prolusione di monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, intervenuto ieri alla prima sessione della XXVII Conferenza Internazionale del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari.
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Una memoria storica
“L’apertura di un ospedale, se è evento di importanza per l’arte medica, non suole generalmente destare molte simpatie nel pubblico che rifugge da tali asili del dolore. Invece quale non fu la sorpresa di Sua Eccellenza Mons. Quigley, degno arcivescovo di Chicago, quando si vide circondato da una folla di più di quattromila persone che si accalcavano intorno alla cappella e alle sale di ricevimento per udire la sua parola! Altre, più di mille persone, furono rimandate per mancanza di spazio, senza speranza che potessero trovare accesso. Tutti convennero che mai negli Stati Uniti si era manifestato tanto entusiasmo per l’apertura di un ospedale, quanto in questa occasione. Era questo il giorno del Signore, l’opera del Signore… La facoltà medica della città classifica il nostro ospedale come uno di primo ordine. Tutti poi convengono nel dire che la posizione incantevole, la bellezza della struttura lo rendono il migliore ospedale di Chicago” (1). Sono le parole che Francesca Cabrini scriveva alle alunne dell’Istituto di magistero che si trovavano qui a Roma per informarle dell’intensa attività sua e delle Suore Missionarie del Sacro Cuore. La data è del 5 maggio 1905. Nei giorni scorsi L’Osservatore Romano ha pubblicato questo stralcio di lettera insieme a un bel servizio per ricordare la prima grande santa americana, patrona degli immigrati, che svolse un’opera,considerata solo dal punto di vista umano, di assoluta grandezza. Agli inizi del ‘900 in Europa, Stati Uniti e America Latina erano già fondate 67 scuole, opere assistenziali e ospedali; come se non bastasse all’epoca attraversò l’oceano per ben 24 volte. Potremmo rimanere attoniti davanti alla grande azione missionaria di santa Cabrini che da un piccolo paese del lodigiano, Codogno, fu in grado di portare la testimonianza della fede fino alle Ande. Ciò che viene detto nella lettera, comunque, ha per noi un’importanza fondamentale; vengono messe in relazione le reazioni delle persone davanti ad alcune situazioni. Parla degli “asili del dolore” che non riscuotono grande simpatie presso il popolo; nello stesso tempo, tuttavia, menziona l’originalità che essa aveva impresso nella costruzione di un nuovo ospedale: la scelta del luogo, la bellezza della costruzione e gli strumenti di prim’ordine, che al contrario avevano riscosso un grande entusiasmo presso la popolazione. Se a questo si aggiunge che quell’ospedale era da lei stessa chiamato “opera del Signore” e noi ben sappiamo come fosse anche il frutto della sua santità personale, allora il mosaico si completa e lascia intravedere le grandi opere che i credenti sono in gradi di realizzare quando si lasciano condurre dalla grazia del Padre e nella docilità all’azione dello Spirito Santo.
Nelle scorse settimane si è conclusa la XIII Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Il tema che ha riempito le intense giornate di lavoro sono state dedicate alla Nuova evangelizzazione e trasmissione della fede. È emersa in maniera netta la consapevolezza che la nuova evangelizzazione è ormai il cammino che la Chiesa intende percorrere nei prossimi decenni con speranza e decisione, sapendo che il tracciato è opera dello Spirito che guida sempre la Chiesa nelle vicende della storia perché in essa possa essere il segno vivo della presenza di Cristo. È cresciuta la consapevolezza che anche nella nuova evangelizzazione ciò che deve occupare il primo posto è la persona di Gesù Cristo primo evangelizzatore del Padre e del suo mistero, ma nello stesso tempo contenuto del nostro annuncio sempre nuovo perché rinnovato da una fede che si incarna nelle varie situazioni della storia.
Pensare, comunque, che si possa dare una definizione chiara ed esaustiva di nuova evangelizzazione, è una tentazione da cui fuggire. Già Paolo VI nella sempre attuale Evangelii nuntiandi poneva all’erta dal cadere in questa pericolo quando scriveva: “Nessuna definizione parziale e frammentaria può dare ragione della realtà ricca, complessa e dinamica, quale è quella dell’evangelizzazione, senza correre il rischio di impoverirla e perfino di mutilarla. È impossibile capirla, se non si cerca di abbracciare con lo sguardo tutti gli elementi essenziali” (2). Alla stessa stregua, nel suo discorso all’inizio del Sinodo (3), Benedetto XVI ha riaffermato in modo profondo: “L’evangelizzazione, in ogni tempo e luogo, ha sempre come punto centrale e terminale Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio (cfr Mc 1,1); e il Crocifisso è per eccellenza il segno distintivo di chi annuncia il Vangelo: segno di amore e di pace, appello alla conversione e alla riconciliazione”. E subito aggiungeva specificando: “La nuova evangelizzazione, (è) orientata principalmente alle persone che, pur essendo battezzate, si sono allontanate dalla Chiesa, e vivono senza fare riferimento alla prassi cristiana… (è necessaria) per favorire in queste persone un nuovo incontro con il Signore, che solo riempie di significato profondo e di pace la nostra esistenza; per favorire la riscoperta della fede, sorgente di Grazia che porta gioia e speranza nella vita personale, familiare e sociale”.
Come si può osservare, l’evangelizzazione costituisce da sempre la natura della Chiesa ed è ciò che la rende Corpo del Risorto e sua presenza nel mondo per essere mediazione della sua rivelazione. La nuova evangelizzazione non è qualcosa che si aggiunge dall’esterno sotto la pressione degli eventi, ma un tratto della stessa natura della Chiesa che emerge in maniera più evidente per la rinnovata consapevolezza della missione che i credenti hanno di essere testimoni del risorto in un mondo che ha radicalmente cambiato i suoi connotati sotto la pressione del secolarismo. La nuova evangelizzazione, pertanto, non equivale a mettere tra parentesi un passato sempre ricco di testimonianze che hanno cambiato il mondo, ma diventa una possibilità per un serio esame di coscienza al fine di verificare se la fede dei credenti è ancora in grado di essere genuina e vivace come dovrebbe essere, oppure se è sottoposta a stanchezza, ovvietà, paura… Tutti elementi che le sono estranei e che ne limitano l’ambito di azione.
Tra le Propositiones che sono state presentate al Santo Padre come prima sintesi del lavoro sinodale, una in modo particolare tocca il tema dell’impegno della nuova evangelizzazione nell’ambito della pastorale sanitaria. Si dice: “La nuova evangelizzazione deve essere sempre cosciente del mistero pasquale di morte e risurrezione di Gesù Cristo. Da questo mistero infatti si diffonde una luce sulle sofferenze e malattie degli uomini, che nella Croce di Cristo possono comprendere e accettare il mistero della sofferenza che offre loro la speranza nella vita che viene. Nel malato, in chi soffre in quanti sono portatori di handicap e chi si trova in un speciale bisogno, la sofferenza di Cristo è presente e possiede una forza missionaria. Per i cristiani deve esserci sempre posto per i sofferenti e i malati. Loro hanno bisogno della nostra cura, ma noi riceviamo ancora di più dalla loro fede. Attraverso il malato, Cristo illumina la sua Chiesa in modo che chiunque entri in contatto con il malato può trovare riflessa la luce di Cristo. Ecco perché i malati sono così importanti nella nuova evangelizzazione. Quanti sono in contatto con loro devono essere consapevoli della missione che possiedono. Non dobbiamo dimenticare, infine, che quando si costruiscono gli ospedali si deve porre attenzione perché non abbiano mai a mancare spazi di supporto e di consolazio
ne come pure spazi per la preghiera”. Non si comprenderebbero alcuni punti di questa “Proposizione” se non si facesse riferimento al ricco insegnamento della Chiesa sulla sofferenza e la malattia in rapporto al mistero della Croce di Cristo. Insegnamento che ha trovato riscontro in modo particolare nel beato Giovanni Paolo II. Nella Salvifici doloris egli diceva testualmente: “Il tema della sofferenza… è un tema universale che accompagna l’uomo ad ogni grado della longitudine e della latitudine geografica: esso, in un certo senso, coesiste con lui nel mondo, e perciò esige di essere costantemente ripreso” (n° 2).
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1) In L’Osservatore Romano, 13 novembre 2012
2) Enchiridion della Nuova Evangelizzazione, 151
3) 7 ottobre 2012, cfr. L’Osservatore Romano
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[La seconda parte della prolusione di mons. Fisichella sarà pubblicata domani, sabato 17 novembre]