"Affidarsi alla forza del Vangelo per combattere i mali del mondo"

Discorso del Rettore dell’Urbaniana nell’apertura del nuovo anno accademico

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ROMA, venerdì, 16 novembre 2012 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il discorso tenuto lunedì 12 novembre dal Rettore Magnifico della Pontificia Università Urbaniana, Alberto Trevisiol, in occasione dell’apertura dell’anno accademico 2012-2013.

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Eminenza, Eccellenze, Signori Ambasciatori e Rappresentanti del Corpo Diplomatico, Reverendi Superiori e Superiore Generali, illustri Ospiti, cari Professori e Studenti, e personale addetto all’Università,

sono lieto di accogliervi oggi in questo momento solenne e allo stesso tempo familiare con cui annualmente l’Università dà inizio ad un anno di studio e ricerca. La tradizione vuole che il Rettore Magnifico offra in questa occasione una relazione sull’anno trascorso, indicando i tratti salienti del cammino compiuto dalla Comunità Accademica. Per non occupare eccessivo tempo a questo atto accademico, ho preferito pubblicare il testo della relazione sul sito dell’Università a cui potete facilmente accedere.

Ciò che non può essere lasciato al computer è però il profondo senso di gratitudine che ho giornalmente provato per la vicinanza e il sostengo della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli espressami dal Gran Cancelliere Sua Eminenza il Card. Fernando Filoni, dal Vice Gran Cancelliere Sua Eccellenza Mons. Savio Hon Tai fai, dal Sottosegretario della CEP Don Taddeo Wojda e da Mons. Ermes Viale. Un grazie del tutto particolare lo devo a coloro che condividono sempre la fatica del quotidiano: il Vice Rettore mons. Godfrey I. Onah, Il Segretario Generale don Roberto Cherubini, l’economo p. Paolo Fedrigoni, il direttore dei 92 Istituti affiliati p. Giuseppe luliano, il direttore della Biblioteca p. Marek Rostkowski, il direttore dell’Urbaniana University Press p. Leonardo Sileo, il direttore del Centro studi cinesi p. Alessandro dell’Orto e il direttore del Centro Comunicazioni Sociali don Luca Pandolfi, Sr. Marta Ficek, del Collegio Mater Ecclesiae di Castel Gandolfo, il fedele personale della Segreteria e della Biblioteca gli uscieri addetti alle  piccole-grandi cose e che accolgono per primi chiunque avvicini la nostra struttura universitaria. Non ho finito, perché il mio grazie più profondo va a voi, cari studenti e studentesse, per l’accoglienza che mi avete manifestata in quest’anno. Voi ridete della mia difficoltà a ritenere i vostri nomi, ma vi assicuro che riconosco i volti di tutti, anche degli ultimi arrivati, ovunque vi incontri. Voi siete la mia forza, il mio costante punto di riferimento, è un onore servirvi.

Il 2011-2012 è stato un anno accademico importante, che ci ha visti impegnati in modo particolare a garantire alla nostra Università uno standard elevato di insegnamento. È stato nostro comune impegno, delle Facoltà, degli Istituti e di ciascuno di noi,  posso garantirvelo, fare di tutto perché la formazione accademica all’Urbaniana fosse all’altezza delle opportunità e degli impegni che il mondo di oggi ci pone dinanzi. Ne sono un segno evidente, oltre alla regolarità dei corsi, le numerose occasioni di approfondimento nei Convegni, Giornate di Studio, Seminari che hanno costellato l’anno appena concluso, e che hanno messo a fuoco, tenendo sempre ben presente la prospettiva missionaria comune a tutte le discipline, le problematiche scientifiche attuali nei diversi campi di studio e ricerca dell’Urbaniana. Fra tutti, anche per non far torto a nessuno, vorrei citare il Convegno Internazionale sull’Africa, celebrato nel maggio 2012, che ha visto confluire da tanti paesi africani molti rappresentanti dei nostri Istituti Affiliati e testimoni autorevoli dello sforzo della Chiesa di incarnare il messaggio evangelico in un volto autenticamente africano. Ringrazio tutte le Facoltà e gli Istituti che hanno contribuito con le loro competenze alla riuscita del Convegno, di cui oggi sono lieto di presentare gli atti recentemente pubblicati, e già collaborano alla preparazione del prossimo sull’Asia.

Sarebbe necessario anche sottolineare con più ampiezza lo sforzo compiuto di dotare le Facoltà di un organico di docenti stabili che possano con continuità e dedizione applicarsi alla ricerca e alla docenza e costituire un solido punto di riferimento per gli studenti e per gli altri docenti più giovani, all’inizio del loro servizio accademico. I Professori Jesus Barreda, Carmelo Dotolo, Donatella Scaiola sono stati promossi Professori Ordinari; il Prof. Francis Oborj,  straordinario, i Proff. Vidas Balcius, Armando Matteo, Pietro Angelo Muroni, Mauro Meruzzi e Flavio Placida, Consociati. Molto si è fatto in questo campo, ed i frutti già si cominciano a vedere, tuttavia è necessario continuare con decisione su questa strada.

Ma non vorrei utilizzare il tempo che ho a disposizione, solo per guardare ciò che abbiamo dietro le spalle, anche se è da lì che traiamo molto della forza e dello stimolo che ci permette di procedere nel nostro cammino. Credo però che quest’anno della fede voluto e aperto dal Santo Padre Benedetto XVI, in coincidenza  con il 50° anniversario del Conc. Ecum. Vat. II, ci chiami con urgenza a gettare il nostro sguardo sulle prospettive future e le responsabilità che la missione della Chiesa ci provoca ad assumere.

Il beato Giovanni Paolo Il scriveva nel suo testamento:

“Stando sulla soglia del terzo millennio «in medio Ecclesiae», desidero ancora una volta esprimere gratitudine allo Spirito Santo per il grande dono del Concilio Vaticano Il, al quale insieme con l’intera Chiesa – e soprattutto con l’intero episcopato – mi sento debitore.

 Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito.”

Sì, proprio guardando al futuro delle prospettive missionarie e di crescita della fede, come anche il Sinodo sulla nuova evangelizzazione appena concluso ci ricorda, non possiamo non fare riferimento all’eredità che il Concilio ecumenico Vaticano Il ci ha lasciato. A 50 anni dalla sua apertura, che abbiamo di recente celebrato, sentiamo tutta intera la responsabilità di attingere alla fonte di quello straordinario evento, per trovare le risorse per un rinnovato impegno.

Il Concilio non può essere considerato un capitolo chiuso della nostra storia. Piuttosto, è stato un evento nel quale possiamo avvertire con potenza il soffio dello Spirito che irrompe nella storia e la vivifica dal suo interno. Si è trattato dell’inaugurazione di una primavera della Chiesa, ricca di promesse e di buoni frutti spirituali e concreti, di cui noi, godiamo ancora con abbondanza: pensiamo al nostro rapporto con la Scrittura, alla liturgia rinnovata, al rapporto con il mondo, all’ecumenismo e al dialogo interreligioso, al nuovo impulso missionario, alla crescita e maturazione di chiese locali radicate nelle culture dei loro popoli, ecc… Potremmo dire che non siamo che all’inizio di un processo lungo e ancora in buona parte non sufficientemente esplorato. Credo che questo nuovo anno accademico debba essere l’occasione, per la nostra Università, di concentrarsi su una maggior comprensione e approfondimento dell’eredità che il Concilio ci ha lasciato. Questo servirà a immetterci nella sua corrente, fortemente animata dallo Spirito, e a vivere anche noi questa giovanile primavera spirituale, evitando il rischio, sempre in agguato, di rinchiuderci in un clima di pessimismo o ripiegamento su di sé.

Infatti, se volgiamo il nostro sguardo al mondo di oggi non possiamo non deplorare una serie di fenomeni negativi che suscitano preoccupazione e sofferenza. Noi li condividiamo con tutti coloro che li subiscono e li soffrono. Ma non sono essi l’ultima parola. L’ultima parola , per il credente, è la fiducia. Se andate a Calcutta, sono i più poveri tra i poveri che meglio vi indicano la strada che conduce alla tomba di Madre Teresa. Come i Magi che si lasciarono guidare nel deserto e oltre la dimora di Erode da una stella, noi attingiamo alla luce dell
a fede e alla forza dell’amore il senso profondo della realtà. Il beato Giovanni XXIII nel suo discorso di apertura dell’assise conciliare rievocava uno scenario analogo a quello che noi stessi potremmo descrivere oggi, ma lo interpretava così:

“Spesso, scriveva il Pontefice, … avviene … che ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per lo religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.

Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa.”

L’invito di papa Roncalli era rivolto all’assemblea degli oltre 2000 vescovi convenuti da tutto il mondo, ma risuona oggi come un monito prezioso per tutti noi.

Mi chiedo allora se, forse, non dobbiamo con più attenzione indagare, con la finezza interpretativa di Giovanni XXIII, gli attuali “segni dei tempi”, ovunque presenti, per cogliere in essi il germe, a volte nascosto, dell’azione dello Spirito. Non possiamo infatti, prescindere dai contesti e dalle culture nei quali simo inseriti come missionari, se desideriamo ottenere quel “bene della Chiesa”, di cui parlava il papa nel ’62, che si realizza “attraverso l’opera degli uomini e spesso al di là delle aspettative”.

Come è noto, molti all’annuncio di Giovanni XXIII circa l’intenzione di convocare un Concilio rimasero freddi, il momento non sembrava adatto, le circostanze sfavorevoli. Ma con la sua decisione il papa esprimeva il suo sguardo benevolo verso il mondo e quella fiducia nell’azione dello Spirito che anima l’agire umano quando esso si fa interrogare dalla storia e si apre al suo soffio ispiratore.

Anche noi ci troviamo davanti alla stessa grande responsabilità da non sottovalutare.

Per gli stessi vescovi che vi parteciparono, il Concilio fu un’esperienza sconvolgente. Per lo più abituati ad una dimensione locale, si trovavano proiettati in una dimensione realmente cattolica, a farne esperienza, a doversi misurare con la complessità e molteplicità delle culture e dei riti, delle lingue e delle sensibilità. Dovettero imparare a dialogare con modi di vedere la chiesa e il mondo molto diversi, a mettere in discussione i propri giudizi accettando di confrontarsi con realtà ed esperienze pastorali diversissime fra loro. Questo ha dato luogo a reazioni talvolta contrastanti, ma ormai la complessità e la molteplicità erano dimensioni entrate a far parte della dialettica interna della Chiesa in modo irreversibile. Non era più possibile sentirsi Chiesa ignorando l’altro.

Quella del Concilio è una lezione valida ancora oggi, tempo in cui una cultura globalizzata suscita a volte reazioni spaventate, e lo sviluppo di localismi e provincialismi di diverso orientamento. L’ Urbaniana deve sempre più essere un centro propulsore di una cultura diversa, dove “l’altro” ha uno statuto e una dignità, dove ogni cultura ed ogni espressione dello spirito ha rilevanza e gode rispetto, pur nella dialettica del necessario giudizio critico e sulla base di una solida indagine scientifica. Solo così potremo appropriarci di quell’eredità del Concilio di cui il beato Giovanni Paolo Il parlava nel suo testamento che ho citato all’inizio.

Uno dei frutti più promettenti e felici del Concilio, infatti, è stato proprio questo: la vittoria sul pessimismo, introverso e autoreferenziale, per scoprire l’ottimismo di una realtà che proprio perché si riscopre più umana e quindi più debole, ha più fiducia nell’affidarsi alla forza del Vangelo per combattere i mali del mondo e proporre la fede. Si è riscoperto il bisogno che i cristiani scendano in profondità nella loro esperienza di fede trovandosi fragili e indifesi da strutture e corazze, ma, proprio per questo, testimoni molto più efficaci dell’annuncio di salvezza del Signore. La formazione all’Urbaniana cerca allora di fornire, a tutti i nostri studenti gli strumenti necessari per maturare una coscienza critica e un profondo sensus ecclesiae. Puntiamo a formare uomini e donne capaci di abbandonare un’attitudine diffidente e di condanna, disposti a non difendersi aggredendo ma ad avere l’ambizione evangelica di conquistare il mondo con la forza dell’amore, della simpatia e del dialogo nella verità, imparando a stare con la gente per coglierne i bisogni, le domande e le inquietudini e saper vedere la bellezza e l’eleganza della diversità.

Non a caso papa Paolo VI, che condusse in porto il Concilio, dopo la morte di Giovanni XXIII, e guidò con prudenza e coraggio la delicata fase del dopo Concilio, parlava di “aggiornamento della Chiesa” come dell’atteggiamento positivo da adottare nei confronti delle novità del mondo moderno. D’altro canto il vero innovatore non è colui che insegue le mode del mondo o cerca il facile consenso, ma colui che si àncora alla solida base della Scrittura e della tradizione della Chiesa per vivere con libertà la fantasia dell’amore insegnataci da Gesù Salvatore e a cui aspirano sovente gli uomini e le donne del nostro tempo.

Il Santo Padre Benedetto XVI ci incoraggia in questo cammino. Ho sentito come rivolte a noi, alla nostra Università, le Sue parole pronunciate nell’omelia della celebrazione eucaristica per la chiusura del recente Sinodo dei Vescovi in cui diceva:

“La Chiesa ha il compito di evangelizzare, di annunciare il Messaggio di salvezza agli uomini che tuttora non conoscono Gesù Cristo. Anche nel corso delle riflessioni sinodali è stato riconosciuto che esistono tanti ambienti in Africa, in Asia e in Oceania i cui abitanti aspettano con viva attesa, talvolta senza esserne pienamente coscienti, il primo annuncio del Vangelo. Pertanto occorre pregare lo Spirito Santo affinché susciti nella Chiesa un rinnovato dinamismo missionario i cui protagonisti siano, in modo speciale, gli operatori pastorali e i fedeli laici”.

Le ho sentite come parole direttamente rivolte a noi perché contengono una sorta di nuovo mandato missionario che richiede una nuova cultura missionaria in cui l’invio e l’accoglienza di persone che vengono da fuori possono essere solo il segno della missione universale della Chiesa e del suo cammino escatologico. La missione oggi coinvolge soprattutto chi è parte e vive del contesto da evangelizzare. E’ da chi è credente sul posto che deve sortire il desiderio di donare alla propria gente il di più del Vangelo. E’ da voi, cari studenti, che ritornando nei vostri Paesi e servendo le vostre comunità che deve emergere l’urgenza di mostrare ai non cristiani il cambiamento operato in voi dallo Spirito del Signore Risorto, in modo da garantire per loro l’efficacia del Messaggio, attraverso la felicità del vivere tra la propria gente con una pienezza di cui la fede in Gesù è divenuta parte della propria cultura.

E’ forse questo l’impegno risolutivo della nostra Università: farvi crescere nell’amore, per rendervi capaci di una testimonianza significativa nel mondo in cui vivrete. Coglierne la portata e assumercene la responsabilità, ci permetterà di vivere anche qui all’Urbaniana quella primavera dello Spirito che il Concilio ecumenico Vaticano Il ha inaugurato per la Chiesa del nostro tempo. < /p>

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ZENIT Staff

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