ROMA, mercoledì, 14 novembre 2012 (ZENIT.org) – Riportiamo di seguito la prima parte della lectio magistralis di monsignor Lorenzo Leuzzi, vescovo ausiliare di Roma e direttore dell’Ufficio della Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico 20012-2013 dell’Università Europea di Roma (UER), tenutasi stamattina.
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Si è conclusa pochi giorni fa la XIII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema: La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana.
Il tema della nuova evangelizzazione con l’assise sinodale ha superato i confini dell’ambito ecclesiale per diventare oggetto di studio e di riflessione dei centri culturali e delle realtà socio-politiche a livello mondiale.
Il rapporto tra l’Università e la nuova evangelizzazione è certamente tra i grandi snodi, se non il grande snodo, su cui si gioca il destino dell’esperienza universitaria e la stessa credibilità della fede cristiana che intende rilanciarsi in un nuovo contesto socio-culturale. Si tratta infatti di verificare se davvero esista tra loro un rapporto e il perché le due realtà, nonostante la diffusa opinione di una loro definitiva rottura, siano chiamate ad incontrarsi per il futuro dell’umanità.
a. Il significato di nuova evangelizzazione
È difficile individuare attualmente una definizione di “nuova evangelizzazione”. È possibile indicare un processo storico lungo il quale è maturata la consapevolezza della proposta: dal Concilio Vaticano II a papa Benedetto XVI (1) Tale processo storico è apparso come una risposta ad una emergenza: spirituale, pastorale, culturale.
Si parla di nuova evangelizzazione per sottolineare l’urgenza di un rinnovato slancio missionario di fronte alle difficoltà che incontra il Cristianesimo, soprattutto nei paesi di antica tradizione cristiana. In questa prospettiva “nuova evangelizzazione” è sinonimo di ri-evangelizzazione, intervenendo su alcuni aspetti della vita delle Chiesa in cui si notano deficienze sia dottrinali che operative.
Se esaminiamo il termine “ri-evangelizzazione”, applicato alla nuova evangelizzazione e non semplicemente all’invito di un rinnovato ardore dell’azione apostolico-missionaria, esso porta con sé due ambiguità:
– la prima riguarda il giudizio negativo o insufficiente sulla precedente evangelizzazione, quasi una rottura tra quanto è stato fatto in passato e ciò che si vorrebbe attuare;
– la seconda riguarda il contenuto o le modalità nuove (da scoprire!) della nuova evangelizzazione.
Se, pertanto, la nuova evangelizzazione è sinonimo di ri-evangelizzazione, i dubbi e le perplessità di fronte a tale proposta sono a tutti evidenti: rottura con il passato, progettualità sempre più tesa all’annuncio di un messaggio che sarà o a-storico o di ritorno alla tradizione. In ambedue i casi la nuova evangelizzazione diventerebbe sinonimo di fede religiosa.
Ad un esame più approfondito quest’ultima ambiguità è direttamente espressione delle due correnti teologiche predominanti, la teologia razionale e la ragione teologica, le quali non possono che garantire una fede cristiana di natura religiosa. Niente ancora di dirompente se nel frattempo non fosse avvenuto nella cultura contemporanea il passaggio dalla teodicea alla filosofia della religione. È questo passaggio a far emergere tutta l’ambiguità e la sterilità della proposta della ri-evangelizzazione. Infatti nel contesto della filosofia della religione la fede cristiana è destinata a dissolversi nella fede religiosa – come di fatto sta accedendo – illudendosi, sotto la spinta della teologia razionale e della ragione teologica, che questa è la vera strada della nuova evangelizzazione.
In altri termini, il concetto di nuova evangelizzazione invece di aprire nuovi orizzonti alla fede cristiana, la spinge fuori dalla storia, perdendo quella richiesta storica che chiede alla fede cristiana di scoprirsi come fede teologale e non semplice-mente come fede religiosa.
b. Nuova evangelizzazione e Università: verso un nuovo rapporto
Da questa scoperta della fede cristiana come fede teologale dipende il futuro dell’Università, cattoliche e non confessionali.
Infatti l’aggettivo “nuovo” con cui il beato Giovanni Paolo II ha inteso qualificare l’evangelizzazione, ha una valenza storica e ontologica, che coinvolge la stessa realtà del Cristianesimo e della società contemporanea. Tale coinvolgimento è “nuovo” non perché il Cristianesimo abbia modificato nella storia la sua realtà, ma perché dopo tanti secoli, anche la società ha assunto una consistenza ontologica che il Cristianesimo già possedeva, anche se non compresa sul piano teologico e filosofico.
Dunque nessuna rottura nell’ambito del Cristianesimo, ma un salto di qualità ontologico sul versante della Società, la quale da statico-sacrale è diventata, sotto la spinta della rivoluzione industriale, storico-dinamica. Un passaggio epocale che ha bisogno del Cristianesimo non come religione a forma sacrale, ma di una religione storico-dinamica.
Come mai in passato il Cristianesimo ha conservato, suo malgrado, criptica la sua vera natura? Per il servizio che ha svolto verso la società statico-sacrale, la quale chiedeva al Cristianesimo un suo fondamento. Tale servizio non ha mai distrutto la sua vera realtà, né gli ha impedito di svolgere la sua missione storica ed eterna verso gli uomini di tutti i tempi e di tutte le culture, come dimostrano le schiere innumerevoli di santi! Tuttavia l’immagine che è prevalsa, e che l’opinione pubblica continua a conservare, è quella di una religione a forma sacrale che propone una fede religiosa. In questa prospettiva andrebbero rivisti alcuni giudizi storici sulla svolta constantiniana!
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1) Per l’excursus storico del tema della nuova evangelizzazione si rimanda a: L. Leuzzi, Dalla Fede religiosa alla Fede teologale. L’anno della Fede per la nuova evangelizzazione, Città del Vaticano, 2012, pp.30-52.
[La seconda parte della lectio magistralis di monsignor Leuzzi sarà pubblicata domani, giovedì 15 novembre]