SPOLETO, domenica, 11 novembre 2012 (ZENIT.org).– Riprendiamo di seguito l'omelia tenuta ieri dal cardinale Angelo Amato, sdb, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, nella Messa di beatificazione di Maria Luisa Prosperi (1779-1847).

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1. In questo Duomo monumentale, dedicato a Maria Assunta in cielo, la Chiesa celebra oggi la solenne Beatificazione di Maria Luisa Prosperi (1799-1847), Badessa benedettina del Monastero di Santa Lucia in Trevi. La novella Beata, eminente per santità, è figlia di questa terra benedetta dal Signore con le testimonianze gloriose di numerosi martiri e santi. La beatificazione odierna è un evento del tutto eccezionale. Infatti, l’ultima volta che in questo Duomo si è svolta una cerimonia analoga risale a circa otto secoli fa, precisamente al 30 maggio 1232, quando papa Gregorio IX proclamò Santo, Antonio da Padova.
La gioia di tutta la Chiesa, in particolare della diocesi di Spoleto, delle Benedettine del Monastero di Santa Lucia in Trevi e di tutto l'Ordine benedettino è accompagnata dalla nostra comune gratitudine al Santo Padre, Benedetto XVI, per aver oggi elevato agli onori degli altari una donna eroica nella testimonianza coerente della vita monastica.

2. Gertrude Teresa Elisabetta Prosperi – questi i nomi di battesimo della nostra Beata – nacque nella borgata di Fogliano, tra Cascia e Norcia, il 19 agosto 1799, da genitori agiati, di antica nobiltà. Il 4 maggio 1820, varca la soglia del Monastero di Santa Lucia in Trevi, che allora contava una trentina di monache. Un anno dopo vestiva l’abito religioso, ricevendo il nome di Donna Maria Luisa Angelica del Sacro Cuore di Gesù.
Per l’esemplarità della vita fu eletta badessa, il 1 ottobre 1837, e confermata per altre quattro volte fino alla morte. Madre Luisa era alta di statura, di portamento maestoso, ma dal tratto benevolo, che istillava serena cordialità. La sua imponenza più che soggezione, spronava alla venerazione, al rispetto e all’obbedienza.
Diventata badessa, si adoperò per ripristinare l’osservanza religiosa, con la dolcezza della carità e la lezione del buon esempio. Risollevò economicamente il monastero, restaurando i muri pericolanti e restituendo decoro alla Casa di Dio, col provvedere suppellettili e paramenti nuovi. Si assunse anche la diretta amministrazione dei beni della comunità, che, gestiti da persone sleali, risultavano sempre in passivo; con la nuova badessa, invece, si ebbe già dal primo anno un attivo, che permise una maggiore carità verso i poveri e una esistenza più serena delle monache. Madre Maria Luisa si spense santamente, il 12 settembre 1847, dopo lunga e sofferta malattia.

3. Chi era questa donna vissuta quasi due secoli fa? La storia della causa di beatificazione ha rivelato in Madre Maria Luisa una consacrata tutta presa dall'amore di Dio e dalla tensione alla santità. Nella sua Lettera Apostolica il Santo Padre la definisce «esemplare Badessa del Monastero di Santa Lucia in Trevi, fervente adoratrice dell'Eucaristia e del salvifico mistero della Croce».
Madre Maria Luisa fu una donna innamorata di Dio, immersa nel suo mistero di amore, tutta risonante di grazia divina. Le testimonianze coeve sono concordi nell’ammirazione di una esistenza ornata di ogni virtù. Donna Adelaide Pellegrini, badessa del monastero dopo la morte della nostra Beata, afferma che Madre Maria Luisa era un prodigio di santità nascosta. In lei erano riunite l’eroicità e la perfezione di tutte quelle virtù che, singolarmente, contraddistiguono i tanti eroi della santità cristiana: «Anima nella quale la prodiga mano di Dio, aveva depositato tutti quei favori, doni, grazie straordinarie, che già partitamente aveva concesso a molti Servi e Serve sue».1
Un sacerdote, che conosceva bene la Madre, afferma di averla trovata assai fondata nell'essenziale delle virtù cristiane: profonda umiltà, generoso distacco dalle cose terrene, spirito di ubbidienza e di mortificazione, vivace sentimento di zelo per l’onor di Dio, regolare osservanza, perfezione religiosa, prudenza, moderazione e dolcezza d’animo. «Soprattutto ardeva del santo desiderio di piacere a Dio e di farsi santa».2

4. Che cosa rendeva appassionata la sua vita sacrificata e tutta tesa alla perfezione? Era la fede, che, come vela gonfiata dal soffio dello Spirito Santo, la conduceva al largo nelle acque pure dell'abbraccio divino. La fede ferma, salda, illimitata, la elevava alle vette dei misteri di Dio. Sembrava che vedesse con gli occhi quanto noi crediamo per fede. Era grata al Signore per questo dono ed esortava continuamente le sue consorelle ad apprezzare la virtùdella fede, come principio e fondamento di salvezza e di beatitudine.
Per difendere la sua fede era disposta a versare il sangue. Pregava molto per la propagazione della Santissima Fede - come  lei  la  chiamava - nel  mondo  intero. Avrebbe voluto farsi missionaria e anche immolarsi nel martirio, per la  diffusione della fede in Cristo. Nella preghiera, spesso immaginava di essere nei luoghi di missione, accanto ai missionari, per aiutarli nel loro apostolato con la preghiera e la penitenza. La parola  martirio  le  faceva  battere  il  cuore  e  infiammare  il  volto. Sarebbe stata per lei una gioia immensa morire per Gesù. Ripeteva spesso «Credo, Domine, Credo, Credo».

5. Animata da questa fede sconfinata teneva lunghi colloqui con Gesù eucaristico, dinanzi al tabernacolo. Contemplava con gioia l’ostia santa e chiamava il comunichino il suo paradiso.3 La sua  fede trovava così  il suo riposo nell'adorazione: «Genuflessa davanti al Tabernacolo, parlava direttamente con Gesù, così come se lo vedesse con gli occhi, e trascorreva estatica ore e ore con lo Sposo Celeste».4
Dalla contemplazione e dall’imitazione di Cristo crocifisso ed eucaristico scaturiva la sua carità generosa e prudente verso le proprie consorelle. Adattava i suoi interventi alla diversa indole e situazione delle sue monache, con molta prudenza e carità. C’era la sorella da trattare con molta benignità e dolcezza, un’altra, invece, con con una certa severità. Con una si dovrà usare cortesia di preghiera e con un’altra, invece, imponenza di comando. Per farsi obbedire, a una basterà un semplice cenno, a un’altra converrà insistere con ripetute parole.5
Aveva particolari riguardi verso le sorelle inferme e anziane, assistendole con materna carità. Ella stessa, più malata delle malate, si faceva madre e infermiera di giorno e di notte, visitandole, curandole, confortandole e aiutandole anche in quei servizi vili e ripugnanti, come la medicazione di piaghe purulenti. Dimenticando di essere badessa, per le ammalate e le anziane si faceva cuoca, donna di pulizie, inserviente, mostrandosi sempre tenerissima e premurosa. Nei mesi precedenti la sua morte, volle che il monastero fosse rifornito di provviste sufficienti per almeno un anno, in modo che la badessa successiva non dovesse essere afflitta dall’impegno di far subito fronte ai bisogni materiali delle consorelle. Era generosa nel perdono.
Munifica con gli altri, era mortificata con se stessa. Tutte le testimonianze concordano sul suo proverbiale spirito di povertà, tanto che nel monastero, quando si vedeva una veste pulita, ma logora e rappezzata, si diceva: «Sembra la tonaca di donna Luisa».6
La nostra Beata visse e morì povera in una cella disadorna. Amava la povertà. Sceglieva sempre la roba più rozza, più vile, spesso dismessa dagli altri. Un giorno doveva rammendare la sua unica tonaca. Chiamata in parlatorio, si mise il velo bianco da conversa. Una consorella le fece osservare che, secondo la regola, per andare in coro, in parlatorio o a refettorio, si doveva indossare l’intero abito monastico proprio. Non avendo altro, la Madre si fece imprestare il velo, per recarsi con decoro in parlatorio. D’inverno, per contrastare il freddo, si faceva dare una coperta da una conversa. Una monaca, un giorno, contò ben quindici rat toppi sulla tonaca della badessa, senza contare i numerosi rinacci, che sembravano tante stelle nel buio cielo notturno. L’unica ricchezza della Madre era l’amore a Gesù crocifisso ed eucaristico e la carità verso tutti.

6. La nostra Beata copriva lo  splendore delle sue virtù con l’umiltà, virtù che sedeva regina sul trono del suo cuore. Come dicono i testimoni, si trattava di una umiltà «veramente umile», non apparente, reale. Era umile nelle mille incomprensioni e umiliazioni della vita comunitaria e  si  sentiva  a  disagio di fronte alle lodi, alla stima e all’apprezzamento altrui. L’umiltà era il distintivo della sua santità. L’umiltà trascinava con sé tutte le altre virtù, grandi e piccole. La Madre, infatti, si mostrava pronta ad obbedire, rassegnata nel patire, mansueta nel parlare, rigida con se stessa, benigna con gli altri, caritatevole con tutti.
Alle cariche che le si offrivano in monastero ella rispondeva con spirito di santa obbedienza, sempre protestando la sua incapacità e miseria. Alla vigilia delle festività della Beatissima Vergine Maria, era solita baciare i piedi alle consorelle. E da una di esse un giorno ricevette anche un calcio.7 Le lodi altrui le riteneva una punizione per i suoi peccati. Più volte, pregò le sue consorelle di essere dimenticata dopo la morte, cose se non fosse mai esistita.
La nostra Beata portò a uno splendore sommo il monastero di Trevi, che durante il suo governo era diventato un’oasi di santità nel deserto del mondo. Le sue monache, che non vedevano Gesù con gli occhi del corpo, lo ammiravano sul volto della loro badessa.

7. Cosa insegna a tutti noi questa donna abitata dalla carità Dio in ogni cellula del suo essere? Di fronte all’eroicità della sua fede, del suo amore, della sua umiltà forse si prova un senso di smarrimento. La nostra fede piccina, timorosa, mediocre può ritenere esagerata la sua testimonianza. Forse siamo intimoriti e anche scandalizzati di fronte a una fede grande come l'arena del mare: «E dimentichiamo che la fede, che è desiderio di Dio, non può che essere esagerata. Non è forse esagerato l'amore di Dio? C'è qualcosa di più esagerato che morire sulle croce? Non c'è fede senza esagerazione; perché nell'esagerazione sta il senso di quella divina pazzia, che iniziò nella creazione, fiorì nell'Incarnazione e culminerà nella vita eterna».8
È per tutti noi il messaggio della vita di fede, che ci consegna la Beata Maria Luisa. Ma è soprattutto per  le sue consorelle monache. Anch’esse devono confermare o ritrovare nell'entusiasmo e nella gioia il loro spirito di fede. Con lo sguardo fisso su Gesù, sono invitate a far brillare le loro esistenze con lo splendore delle virtù, della fede, della speranza, della carità. È una fede da ravvivare e da condividere. Una fede che rende pronti all’obbedienza, sereni nelle avversità, disponibili nel perdono, gioiosi nella comunione fraterna. Una fede che evita litigi, contrasti, divisioni, ma che edifica, vivifica e rafforza. Una fede che si nutre di Parola di Dio, di Eucaristia, di preghiera, di adorazione, di esatta osservanza della Regola, di lavoro. La fede è lo sguardo rivolto a Dio, verso l’alto, verso la liturgia celeste. Con la fede si superano tutti gli ostacoli della vita monastica, perché la fede dà le ali per volare verso Dio.
Care sorelle Benedettine, oggi siete invitate dalla vostra Beata Madre Maria Luisa Prosperi a rilanciare la vostra vita consacrata. Stracciate le pagine forse mediocri della vita passata, e iniziate a scrivere sul libro nuovo del vostro impegno di santità. Diventate ostensori di santità.
Per vocazione, voi siete le professioniste della contemplazione di Dio. Il vostro Monastero sia un’oasi della presenza di Dio nel deserto del mondo. Il vostro silenzio sia grembo prezioso, che accoglie e fa fruttificare la Parola di Dio. È questo silenzio orante e adorante che diffonde sull’umanità intera la dolce armonia del Vangelo, vincendo i rumori molesti della vanità del mondo.
La Chiesa e la società hanno bisogno di consacrate sante, serene, gioiose, traboccanti di fede. È questo il vostro prezioso apostolato nella Chiesa. La Beata Madre Maria Luisa vi sia madre, maestra e modello nell'aiutarvi a  vivere di fede, in quest'anno benedetto della fede.
Amen

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NOTE

1 Summarium, p. 58.
2 Testimonianza del canonico Sbiocca: ib., p. 59.
3 Nei monasteri di clausura il comunichino è lo sportello per ricevere la comunione durante la santa Messa.
4 Ib. p. 65.
5 Cf. ib. p. 82.
6 Ib. p. 98.
7 Ib. p. 113.
8 JUAN MANUEL DE  PRADA, Teresa, solo Dio basta, in L'Osservatore Romano, 25 ottobre 2012, inserto n. 5.