Chiesa e modernità: un dibattito aperto (Prima parte)

La “lectio magistralis” del cardinale Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione del Clero, all’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Istituto Marcianum

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VENEZIA, venerdì, 10 novembre 2012 (ZENIT.org) – Riportiamo di seguito la prima parte della lectio magistralis del cardinale Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione del Clero, sul tema Essere Chiesa nell’epoca moderna: il contributo del Concilio Vaticano II, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Institutum Marcianum di Venezia.

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Eccellentissimo Patriarca,
Magnifico Preside,
Chiarissimi Professori,
Gentili Signore ed Egregi Signori,
Carissimi Studenti,

Il tema del rapporto tra Chiesa e modernità é uno dei più dibattuti e, probabilmente, irrisolti della nostra epoca. Esso pare continuamente polarizzato tra la tentazione, sempre possibile, di una “diluizione” del credo ecclesiale nella modernità, da un lato, e la contrapposizione, talvolta fino al rifiuto, dall’altro. Entrambe le “polarizzazioni” possono trovare giustificazioni e puntelli, ma restano ultimamente delle “non-risposte” all’importante questione.

Dal punto di vista metodologico, ritengo necessario sottolinearetre premesse.La primaé universale e riguarda ogni processo investigativo che voglia essere realmente tale. In un’indagine scientifica, non é mai possibile giungere ad una conoscenza autentica, eliminando uno dei fattori implicati.

Questo semplicissimo assioma gnoseologico, suggerisce come sia illegittimo, anche nel rapporto tra Chiesa e modernità, pretendere di risolvere i problemi, “eliminando” uno dei fattori in gioco: la modernità c’é e la Chiesa non può eliminarla, né può far finta che non esista, ricercando nostalgicamente un passato, nel quale il dialogo con la cultura appariva più semplice e fruttuoso. Simmetricamente – e questo mi pare un elemento essenziale, forse poco sottolineato – la Chiesa c’é, esiste, é viva e la modernità non può eliminare tale “fattore” della realtà, senza contraddire se stessa e la propria dichiarata empirica pretesa gnoseologica.

La secondapremessa è di tipo semantico: che cosa intendo, in questo intervento, con “modernità”? É chiaro che il termine é amplissimo e non é questa la sede per definirlo o comprenderlo, in tutta la sua complessità. Dichiaro soltanto che, ovviamente, non mi riferisco unicamente alla “modernità storica”, che si chiude con l’epoca contemporanea e che é, anch’essa differentemente datata, a seconda dei sistemi di riferimento, né alla “modernità filosofica” in senso stretto, che domanderebbe di essere integrata almeno con la “post-modernità” e tutte le conseguenze del cosiddetto “pensiero liquido”, che genera la nostra “società liquida”.

Utilizzerò il termine “modernità” in senso analogico, intendendo con esso, nel presente intervento, quella parabola filosofico-antropologica, o più specificamente gnoseologico-antropologica, che va da Cartesio al relativismo, passando attraverso le grandi ideologie, sgretolatesi nel secolo scorso, ed il contemporaneo “tecno-scientismo virtuale”.

La terza ed ultima premessa riguarda la preparazione del presente intervento, durante la quale ho potuto, ancora una volta, constatare come i documenti conciliari debbano necessariamente essere letti in sinossi con gli interventi Magisteriali del Beato Giovanni Paolo II (ne darò un esempio con la Fides et ratio) e di Benedetto XVI. Infatti, almeno dal punto di vista del linguaggio adottato nei Testi del Concilio, é possibile affermare come, in non pochi casi, esso risulti non pienamente adeguato alle presenti necessità di dialogo con la cultura e, dunque, proprio per essere fedeli al Concilio, é necessario leggerlo in piena continuità, sia con l’intera Tradizione ecclesiale precedente, sia con il Magistero successivo, nel quale un particolarissimo posto é occupato dal Catechismo della Chiesa Cattolica, il Catechismo del Concilio.

Fatte queste tre premesse, affronterò il tema del contributo del Concilio Ecumenico Vaticano II al rapporto tra Chiesa e modernità, in tre passaggi: 1) la modernità come questione gnoseologica; 2) le conseguenze antropologiche di una gnoseologia irrisolta e, infine, 3) le possibili prospettive in ordine alla nuova evangelizzazione.

Affermava il Beato Giovanni XXIII, nel celebre discorso Gaudet Mater Ecclesia, alla Solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II: “[…] Occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione” (1).

Nei medesimi intenti programmatici del Beato Pontefice per il Concilio, é possibile ravvisare, da un lato la volontà di un iniziale tentativo di dialogo con la modernità, dall’altro, certamente, la dichiarazione di fedeltà all’identità ecclesiale ed a quanto, in essa, non é suscettibile di umano cambiamento, perché di statuto divino e appartenente all’ininterrotta Traditio Ecclesiae.

Certo si potrebbe porre, a tale riguardo, l’impegnativa domanda: “É sufficiente mutare o adattare il linguaggio, per pensare di rendere più comprensibile una realtà come quella della Rivelazione?”. O, simmetricamente: “É davvero possibile mutare il linguaggio, senza, in fondo, mutare qualcosa anche del contenuto essenziale del dato rivelato?”.

Parrebbe, in tale contesto, che la questione del linguaggio domandi ancora particolare approfondimento da parte sia della teologia, sia della filosofia. L’orizzonte nel quale comprendere e, per certi versi contenere, la questione é sempre quello dell’Incarnazione del Logos, cioè della Ragione increata che si é fatta carne per entrare in “dialogo” con la ragione creata. Un dialogo che é definitivamente segnato da un tempo, uno spazio, un ambito culturale, già presente e sancito dal Nuovo Testamento, e dal quale non é possibile, in alcun caso, prescindere.

Il Concilio stesso indica la necessità del “dialogo” con la modernità, quando nella sua prima Costituzione afferma: “Il Sacro Concilio si propone di far crescere ogni giorno più la vita cristiana fra i fedeli; di meglio adattare alle esigenze del nostro tempo quelle istituzioni che sono soggette a mutamenti” (2).

Quasi sottintendendo, come indicato nella menzionata dichiarazione d’intenti del Beato Giovanni XXIII, che dall’adattamento alle “esigenze del nostro tempo”, sono escluse le istituzioni non soggette a mutamenti.

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Note:

1) Giovanni XXIII, Solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, Discorso, 11 ottobre 1962.
2) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Sacrosanctum Concilium sulla sacra liturgia, 4 dicembre 1963, n° 1.

[La seconda parte della lectio magistralis del cardinale Mauro Piacenza sarà pubblicata domani, sabato 10 novembre]

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ZENIT Staff

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