di padre Angelo del Favero*
ROMA, giovedì, 8 novembre 2012 (ZENIT.org).
1 Re 17,10-16
“In quei giorni, la vedova rispose ad Elia: “Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo.”(…). La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia.”.
Mc 12,38-44
“Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa.”.
Seduto di fronte al tesoro, Gesù osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: “In verità io vo dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere””.
Nel Vangelo di oggi, lo stupore ammirato di Gesù di fronte alla “vedova povera” è preceduto da una severa minaccia indirizzata all’ipocrisia degli scribi: “riceveranno una condanna più severa” (Mc 12,40).
Il collegamento tra i due momenti, è subito chiarito dal racconto: “seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete” (Mc 12,41). Lo sguardo del Signore sa cogliere in profondità l’intenzione dei gesti, ed egli si mette ad osservare come la gente fa la sua offerta davanti a Dio.
Mossi solo da vanagloria, i ricchi e gli scribi esibivano platealmente la loro generosità, annullando agli occhi di Dio il valore religioso della loro offerta. In tal modo accumulavano colpe su colpe per il giudizio: “riceveranno una condanna più severa” (Mc 12,40).
Commenta un noto biblista: “Parole dure che non possiamo respingere al mittente perché indirizzate agli “scribi”. Questo morbo della falsa religiosità, infetta in ugual misura tutte le esperienze spirituali, ed è con cuore umile e sincero che dobbiamo ricordare che quest’accusa cade anche su di noi cristiani” (G. Ravasi, Secondo le Scritture, Anno B).
Ma in cosa consiste questa falsa religiosità? Quand’è che la nostra fede è falsa al punto da ingannare perfino noi stessi?
Quale modello di fede autentica e di offerta gradita a Dio, il Signore indica allora ai discepoli il comportamento di una vedova, tanto povera quanto generosa, il cui gesto umile e totale loda apertamente: “questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri” (Mc 12,43b).
Se ora ci chiediamo come Gesù ha potuto intuire che il soldo gettato da questa vedova costituiva“tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere” (12,44), dobbiamo gettare lo sguardo sugli anni della sua vita nascosta a Nazaret.
Il Signore è cresciuto alla scuola perfetta di Maria, l’ha contemplata giorno per giorno nella totale disponibilità verso tutti, ha ricevuto da lei il sentire di un cuore pronto a ‘svuotare’ se stesso per amore (Fil 2,5s). Così, non è stato difficile per Gesù riconoscere nella vedovadel Tempio il profumo di sua Madre.
Un profumo di amore “fino alla fine” (Gv 13,1), che si trova nascosto anche nelle parole della vedova ad Elia:“ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo”(1Re,17,12b).
Con il suo “fiat”, infatti, Maria ha fatto sì che i due legni della croce diventassero strumento di morte per il suo Figlio e per se stessa; ma per noi tutti,la Croce continua ad essere causa perenne di salvezza.
Una parola va detta anche sul Tempio di Gerusalemme e il suo tesoro.
La casa della Madonna, a Nazaret, era molto più del Tempio, poiché vi dimorava in persona l’Altissimo, figlio e Dio di Maria.
Egli era per lei “tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere” (Mc 12,44).
Infatti l’essere della Vergine Immacolata, sin dal concepimento era totalmente ed esclusivamente orientato a Dio, perciò ella era pronta non solamente a donare le sue cose (come la vedova lodata da Gesù), ma anche a donare se stessa e il suo Figlio divino, come nel Tempio capì di dover fare: “..e anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2,35).
Come scrive Agostino, Maria fu prima discepola che madre, e la sua fede fu tale che, in obbedienza alla Parola del Padre, non esitò anche lei a dare il suo figlio unigenito, “annientando” se stessa per Gesù e per noi (Fil 2,6-11).
Ed ecco allora la domanda che interpella oggi l’autenticità della nostra fede: “Noi arrischiamo i nostri beni in progetti che ci garantiscono un profitto, nei quali confidiamo, riponiamo fiducia. Ma che cosa abbiamo rischiato per Cristo? Che cosa gli abbiamo dato perché crediamo ciecamente nella sua promessa? Il problema è questo: noi cosa abbiamo rischiato?
L’uomo ha fiducia nell’uomo, confida nella capacità di credito dei suoi simili, mentre i cristiani non rischiano sulla Parola del Salvatore, anche se è l’unica cosa che dovrebbero fare.
Quindi, dico, le opere di carità sono inequivocabilmente un investimento rischioso e al tempo stesso un indice di fede: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”” (Beato J. H. Newman, in Aprire il cuore alla verità, p. 87s).
* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.