di Daniele Rocchi
ROMA, martedì, 6 novembre 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo la seconda parte dell’intervista con monsignor Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l'Italia, su papa Giovanni XXIII come “testimone della fede nel mondo militare”.
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Papa Roncalli non dimenticò mai i suoi anni da cappellano: come operò in quegli anni di servizio?
Monsignor Vincenzo Pelvi:La sua era una spiritualità centrata sull’amore a Gesù e la devozione a Maria. Istituìla Messa del soldato in onore dello Spirito Santo, a cui chiedere il dono della pace. Non faceva poi mancare nelle caserme incontri di preghiera, particolarmente novene, mese di maggio. Assisteva feriti e malati con tenerezza paterna e consacrava i militari e le famiglie al Cuore di Gesù. Non veniva meno alla corrispondenza con i prigionieri e all’impegno nel ricercare i dispersi; curava l’Associazione donne cattoliche, garantendo l’assistenza gratuita alle famiglie più bisognose. Il suo fu uno stile di semplicità e bontà, per il santo ottimismo che lo caratterizzava riusciva a interpretare le ansie e i disagi educando con le sue esortazioni paterne alla comprensione reciproca e alla solidarietà, nonostante le pagine di sangue, disordini ed egoismi di quel periodo. A distanza di otre quarant’anni dal suo servizio in Ospedale militare, ormai anziano e ricco di molteplici esperienze, ricordava così, nel Diario, il suo ministero di cappellano: Dopo giornate di serrato lavoro, le membra indolenzite, rientrando in camera cadevo in ginocchio e lacrime di consolazione rigavano il mio volto. Dio mio! Quale riserva di stupende energie morali custodisce e tramanda il mio popolo.
Parole che trasudano amore di Patria, un valore per lui non puramente sentimentale…
Monsignor Vincenzo Pelvi:Celebrando il centenario dell’Unità d’Italia ebbe parole serene e misurate: «La storia tutto vela e tutto svela». Direi un invito a voltare pagina sulle divisioni del passato e incoraggiare la vita democratica del Paese. Ciò fu evidente quando, nonostante la malattia, l’11 maggio 1963 volle recarsi al Quirinale per il conferimento del Premio Balzan per la pace. In quella circostanza volle dire il suo grazie all’Italia e salutando il Presidente della Repubblica, Antonio Segni, con un abbraccio sussurrò: «A lei e all’Italia». Mentre si recava dal Vaticano al Quirinale, attraversando in auto piazza Venezia, confidava al segretario mons. Capovilla il suo legame alla Nazione e benediceva la tomba del milite ignoto. In quegli anni di guerra aveva condiviso le attese dei giovani italiani, fiduciosi e desiderosi di una riconciliazione nazionale e mondiale e coraggiosi nell’offrire le loro energie e qualità umane e spirituali nel contribuire ad un nuovo ordine sociale fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, animato dalla carità, posto in atto nella libertà, come scrisse nella Pacem in Terris.
Quale eredità lascia Giovanni XXIII ai cappellani militari?
Monsignor Vincenzo Pelvi:Parlerei di tre inviti. Il primo: il Pontificato di Giovanni XXIII ha come cuore l’iniziativa profetica del Vaticano II, un evento per interpretare saggiamente i segni dei tempi e che rese il Pontefice illuminato maestro di pace con le sue encicliche, particolarmente significative: Mater et magistra e Pacem in terris. A cinquant’anni dall’inizio del Concilio, con l’Anno della fede, le parole di Papa Giovanni e suoi insegnamenti sono più che mai attuali: in primo luogo l’ottimismo della fede, radicato nella fiducia alla Provvidenza. Papa Giovanni ha sempre detto no a quelli che definiva profeti di sventura, tra i quali anche chi ostacolava l’intuizione del Vaticano II. Nella prospettiva di un aggiornamento riguardante tutta la vita della Chiesa, Giovanni XXIII invitava a privilegiare la misericordia e il dialogo con il mondo piuttosto che la condanna e la contrapposizione. In questa apertura universale non potevano essere escluse le varie confessioni cristiane, invitate anch’esse a partecipare al Concilio per dare inizio ad un cammino di avvicinamento. Per noi l’invito è di credere nell’uomo e scommettere sulla sua dignità, confidando nelle vie misteriose della Provvidenza e seminando vita nonostante tutti quelli che con pessimismo guardano al futuro. La ventata di novità da lui portata non riguardava certamente la dottrina, ma piuttosto il modo di esporla; nuovo era lo stile nel parlare e nell’agire, nuova la carica di simpatia con cui egli avvicinava le persone comuni e i potenti della terra. Fu con questo spirito che egli indisse il Concilio Ecumenico Vaticano II, col quale aprì una nuova pagina nella storia della Chiesa.
Il secondo invito?
Monsignor Vincenzo Pelvi:Incoraggiare oggi l’unità della famiglia umana, superando ogni divisione e testimoniando nella comunità cristiana quella comunione invocata da Gesù nella sua preghiera sacerdotale. In un abbraccio veramente universale, il cuore del grande Pontefice si dilatava a voler raggiungere tutti. A distanza di cinquant’anni quest’ansia non è meno bella e attuale. Oggi, come allora, ha abitato e abita il cuore dei grandi protagonisti della storia cristiana, a cominciare dai Papi che sono seguiti a Giovanni XXIII. Oggi, come allora, esige una scelta di vita da parte di tutti, per cercare uniti il bene comune, al di là di ogni corta visione di parte, con speranza e impegno fiducioso. C’è poi il terzo invito.
Quale sarebbe?
Monsignor Vincenzo Pelvi:Per Giovanni XXIII i cappellani militari sono uomini di pace, come ricordato nel Discorso tenuto ai membri dell’Associazione nazionale italiana dei cappellani militari in congedo l’11 giugno 1959: «indimenticabile fu il servizio che compimmo come Cappellano negli ospedali del tempo di guerra. Esso ci fece raccogliere nel gemito dei feriti e dei malati l’universale aspirazione alla pace, sommo bene dell’umanità…». Questo insegnamento che le guerre diedero al mondo, come il monito più severo, fa dei cappellani militari gli uomini della pace, che con la loro sola presenza portano serenità negli animi. In particolare, Papa Giovanni, evidenziava la fede dei cappellani che dovevano arricchirsi nella preghiera di spirito sacerdotale, da mettere come fondamento del loro ministero: «Accostate sempre da sacerdoti i vostri fratelli. Essi da voi attendono anzitutto la luce dell’esempio e del sacrificio; chiedono conforto nelle prove, forza nella direzione delle loro anime, chiarezza e zelo nell’insegnamento. In una parola, sempre ed in tutto vogliono vedere in voi i ministri di Cristo, e i dispensatori dei misteri di Dio. Non tralasciate occasione per instillare in essi l’amore alla vita di grazia, offrendo spesso la possibilità di accostarsi ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Solo così la vostra opera sarà fruttuosa, e il vostro ricordo rimarrà nei giovani tra i più consolanti e benefici, perché avrete contribuito ad irrobustire il loro spirito, in uno dei momenti più delicati della loro vita».
[La prima parte è stata pubblicata lunedì 5 novembre]