ROMA, lunedì, 5 novembre 2012 (ZENIT.org).- Presentiamo la seconda parte della relazione tenuta giovedì 25 ottobre scorso da mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto (Abruzzo), al Convegno sullo Spirito Santo, svoltosi presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma.
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2. La missione come “splendore” dello Spirito: la cattolicità del soggetto missionario
Nella cattolicità della missione si manifesta la ricchezza dell’azione dello Spirito Santo nella Chiesa, lo “splendore” della Sua presenza. Questa consapevolezza si è espressa al nostro tempo in maniera altissima nel Concilio Vaticano II: “L’insegnamento di questo Concilio – afferma la Dominum et vivificantem – è essenzialmente ‘pneumatologico’, permeato della verità sullo Spirito Santo, come anima della Chiesa. Possiamo dire che nel suo ricco magistero il Concilio Vaticano II contiene propriamente tutto ciò che lo Spirito dice alle Chiese in ordine alla presente fase della storia della salvezza. Seguendo la guida dello Spirito di verità e rendendo testimonianza insieme con lui, il Concilio ha dato una speciale conferma della presenza dello Spirito Santo consolatore”[1]. Questa presenza è colta a vari livelli: il primo soggetto della missione è la Chiesa universale, la Catholica unita e vivificata dallo Spirito nella comunione dello spazio, espressa dalla comunione delle Chiese locali intorno alla Chiesa di Roma, che presiede nell’amore, “cum et sub Petro”, e nella comunione del tempo, manifestata dalla continuità ininterrotta della tradizione apostolica. La responsabilità di portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra e di impiantare dovunque la Chiesa è di tutta la Chiesa e di tutti nella Chiesa.
Tutti hanno ricevuto lo Spirito, tutti devono donarlo: “Ad ogni discepolo di Cristo incombe il dovere di diffondere per parte sua la fede”[2]. In modo particolare, questa responsabilità missionaria investe il ministero della comunione: il Vescovo di Roma, anzitutto, in quanto ministro dell’unità della Chiesa universale, è caricato della “sollicitudo omnium ecclesiarum”, che si esprime particolarmente nell’ansia missionaria di far crescere ovunque la Catholica, sia nell’integralità della fede e della vita apostolica, che nella sua dilatazione presso tutte le genti. Nella solenne testimonianza della fede, attraverso il suo ministero profetico, liturgico e pastorale, nella promozione e nel sostegno della vitalità missionaria della Chiesa, ovunque diffusa, nell’esercizio del suo ministero universale di unità, il Papa si fa missionario del Vangelo per il mondo intero, come per la Chiesa e nella Chiesa, tutta in missione. Questa responsabilità universale il Vescovo di Roma la condivide con il collegio episcopale, cui spetta non di meno la sollecitudine per tutte le Chiese, e perciò l’impegno in vista dell’attività missionaria intrinseca alla Catholica, in esse presente[3]. Così, attraverso i loro vescovi in comunione col vescovo di Roma, tutte le Chiese partecipano alla sollecitudine dell’evangelizzazione e della missione universali, e sono chiamate a contribuire ad essa secondo i doni che lo Spirito ha dato a ciascuna, nella fecondità della cooperazione e dello scambio reciproco dei doni ricevuti.
Soggetto plenario dell’invio missionario è pure la Chiesa locale o particolare, in cui la Catholica si attua nella concretezza di uno spazio e di un tempo determinati: il popolo di Dio, radunato dalla Parola e dal Pane eucaristico, in cui nello Spirito Cristo si fa presente per la salvezza di tutti, è inviato ad estendere la potenza della riconciliazione pasquale a tutte le situazioni in cui vive ed opera. Tutta la Chiesa locale è inviata ad annunciare tutto il Vangelo a tutto l’uomo, ad ogni uomo: alla cattolicità, propria della Chiesa locale sul piano della “communio”, deve corrispondere la cattolicità sul piano della missione. Che tutta la Chiesa locale sia inviata, vuol dire che, in forza del dono dello Spirito ricevuto nel battesimo e nell’eucaristia, non c’è nessuno nella comunità ecclesiale che possa ritenersi esentato dal compito missionario. Al ministero di unità spetta discernere e coordinare i carismi in vista dell’azione missionaria, a ogni battezzato il compito di mettere i doni ricevuti al servizio della missione ecclesiale. A nessuno è lecito il disimpegno, come a nessuno è lecita la separazione dagli altri. Tutti, nella corresponsabilità e nella comunione, sono chiamati a partecipare attivamente alla missione della Chiesa: se ciò implica da una parte l’esigenza di riconoscere e valorizzare il carisma di ciascuno, esige dall’altra lo sforzo di crescere in comunione con tutti, in modo che la stessa comunione sia la prima forma della missione. La missione non è opera di navigatori solitari, ma va vissuta nella barca di Pietro, che è la Catholica in tutte le sue espressioni, in comunione di vita e di azione con tutti i battezzati, ciascuno secondo il dono ricevuto dallo Spirito. “Tutti i credenti in Cristo – afferma l’Enciclica Dominum et vivificantem – sull’esempio degli apostoli, dovranno mettere ogni impegno nel conformare pensiero e azione alla volontà dello Spirito Santo, principio di unità della Chiesa”[4], soggetto trascendente, vivo e presente della sua missione.
<p>3. La missione, inseparabilmente “kenosi” e “splendore” dello Spirito: la cattolicità del messaggio e dei destinatari
La cattolicità della missione non investe solo il soggetto di essa, ma anche il suo oggetto e i suoi destinatari, nella forza dello Spirito di Cristo: “La pienezza della realtà salvifica, che è il Cristo nella storia, si diffonde in modo sacramentale nella potenza dello Spirito Paraclito. In questo modo lo Spirito Santo è l’altro consolatore, o nuovo consolatore, perché mediante la sua azione la Buona Novella prende corpo nelle coscienze e nei cuori umani e si espande nella storia. In tutto ciò è lo Spirito Santo che dà la vita”[5]. La cattolicità del messaggio, lo “splendore” della verità salvifica, esige che la Chiesa, tutta impegnata nell’annuncio, si faccia portatrice del Vangelo nella sua interezza: tutta la Chiesa annuncia tutto il Vangelo! La buona novella da annunciare non è una semplice dottrina, ma una persona, il Cristo: è lui, vivente nello Spirito, l’oggetto della fede e il contenuto dell’annuncio, ed insieme è lui il soggetto che opera nello Spirito in chi evangelizza. Il Cristo evangelizzato è al tempo stesso il Cristo evangelizzante nei suoi testimoni. Ne consegue per la Chiesa l’esigenza di non appartenere che a lui, di essere la sua memoria vivente, lasciandosi sempre nuovamente evangelizzare da lui, per essere sempre di nuovo rigenerata dalla sua Parola (Ecclesia creatura Verbi!). La missione esige la testimonianza integrale del Cristo, che abbraccia la comunione della fede nel tempo e nello spazio ed è voce della comunione dello Spirito, che, attraverso la tradizione apostolica, rende la Chiesa identica a se stessa nel suo principio sempre presente, il Cristo.
La cattolicità del messaggio comporta anche inseparabilmente la cattolicità del destinatario della missione: la buona novella è risuonata per tutti ed esige di raggiungere tutti. “Andate e fate discepole tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19s). Per mezzo del ministero ecclesiale, nella potenza dello Spirito, è Cristo che “predica la Parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede”[6]. Lo scopo della missione non è altro che portare all’incontro con Cristo: essa è diretta alla profonda verità di ogni essere umano, bisognoso di incontrare il Risorto e di farne sempre nuovamente esp
erienza. La frontiera dell’evangelizzazione non è la linea di demarcazione esteriormente riconoscibile fra spazio sacro e spazio profano, ma anzitutto il luogo della decisione salvifica, il cuore umano, lì dove la totalità di un’esistenza raggiunta dallo Spirito Santo si decide per Cristo. In questa decisione, possibile solo nell’incontro della libertà della persona con la Parola della fede e lo Spirito che dà vita, il tempo quantificato diventa tempo qualificato, ora di grazia, oggi di salvezza: da “krònos”, successione secondo il prima e il poi, si trasforma in “kairòs”, tempo della grazia e della vita nuova (cf. ad esempio Mt 8,29; 26,188; Mc 1,15; Lc 19,44; 21,8; Gv 7,6-8; At 1,7; 1 Ts 5,1ss.; Ef 5,16; Col 4,5; ecc.). La frontiera della missione passa dunque anzitutto nelle scelte fondamentali che qualificano la vita, e perciò anche all’interno della comunità ecclesiale, che, evangelizzando, ha sempre nuovamente bisogno di essere evangelizzata e di decidersi per il suo Signore nel vivo delle situazioni sempre nuove della storia. La Chiesa evangelizza, se continuamente si evangelizza, lasciandosi purificare e rinnovare dal giudizio della Parola di Dio e dal fuoco dello Spirito: così sta “sub Verbo Dei”, e può celebrare fiduciosamente i divini misteri per la salvezza del mondo.
La costante apertura alla cattolicità del messaggio non è tuttavia ancora pienamente realizzata, se non si attua la contemporanea apertura all’ampiezza dei bisogni umani e della destinazione dell’evangelo a tutte le genti: è qui che si pone l’esigenza imprescindibile per ogni battezzato, come per tutta la Chiesa, di impegnarsi affinché l’annuncio raggiunga veramente ogni persona umana. La Parola della salvezza esige la libertà e la generosità audace per essere gridata dai tetti, fino agli ultimi confini della terra. La “kènosi” della Parola e dello Spirito è rivolta a raggiungere ogni creatura in tutto il suo essere. Ciò esige l’impegno in un processo analogo al dinamismo dell’Incarnazione: “La Chiesa, per poter offrire a tutti il mistero della salvezza e la vita portata da Dio, deve inserirsi in tutti i diversi raggruppamenti umani con lo stesso movimento, con cui Cristo stesso, attraverso la sua incarnazione, si legò alle determinate condizioni sociali e culturali degli uomini, con cui visse”[7]. Cattolicità del soggetto, del messaggio e della destinazione della missione vengono così a saldarsi nell’unica cattolicità della Chiesa: se il Signore non chiederà conto ai suoi discepoli dei salvati, perché la salvezza è un mistero di grazia e di libertà di cui nessuno può disporre dall’esterno, chiederà loro conto degli evangelizzati. In tal senso, una Chiesa senza urgenza e passione missionaria tradisce la propria cattolicità, oppone resistenza allo Spirito che pour vuole animarla e si trasforma in un campo di morti, contraddicendo la sua natura di comunità dei risorti nel Risorto.
Conclusione
La Chiesa nella storia appare dunque come la “kènosi” e lo “splendore” dello Spirito Santo: “La Chiesa, radicata mediante il suo proprio mistero nell’economia trinitaria della salvezza, a buon diritto intende se stessa come sacramento dell’unità di tutto il genere umano. Essa sa di esserlo per la potenza dello Spirito Santo, della quale è segno e strumento nell’attuazione del piano salvifico di Dio. In questo modo si realizza la condiscendenza dell’infinito amore trinitario: l’avvicinarsi di Dio, Spirito invisibile, al mondo visibile. Dio uno e trino si comunica all’uomo nello Spirito Santo sin dall’inizio mediante la sua immagine e somiglianza. Sotto l’azione dello stesso Spirito l’uomo e, per suo mezzo, il mondo creato, redento da Cristo, si avvicinano ai loro definitivi destini in Dio”[8]. Ecco perché la vita secondo lo Spirito è inseparabile dalla comunione ecclesiale e questa da quella. Afferma Agostino: “Tanto si ha lo Spirito Santo, quanto si ama la Chiesa di Cristo”[9]. Il testimone sa, perciò, dove attingere lo Spirito di cui ha bisogno per vivere la propria missione, partecipazione alle missioni divine: “Non separarti dalla Chiesa! Nessuna potenza ha la sua forza. La tua speranza, è la Chiesa. La tua salvezza, è la Chiesa. Il tuo rifugio, è la Chiesa. Essa è più alta del cielo e più grande della terra. Essa non invecchia mai: la sua giovinezza è eterna”[10].
È lo Spirito che agendo nella comunità ecclesiale la rende eternamente giovane e bella! Mossa da questa convinzione, l’Enciclica di Giovanni Paolo II sullo Spirito Santo si conclude così: “La via della Chiesa passa attraverso il cuore dell’uomo, perché è qui il luogo recondito dell’incontro salvifico con lo Spirito Santo, col Dio nascosto, e proprio qui lo Spirito Santo diventa ‘sorgente di acqua, che zampilla per la vita eterna’. Qui egli giunge come Spirito di verità e come Paraclito, quale è stato promesso da Cristo. Di qui egli agisce come consolatore, intercessore, avvocato… Lo Spirito Santo non cessa di essere il custode della speranza nel cuore dell’uomo: della speranza di tutte le creature umane e, specialmente, di quelle che possiedono le primizie dello Spirito e aspettano la redenzione del loro corpo. Lo Spirito Santo, nel suo misterioso legame di divina comunione col Redentore dell’uomo, è il realizzatore della continuità della sua opera: egli prende da Cristo e trasmette a tutti, entrando incessantemente nella storia del mondo attraverso il cuore dell’uomo”[11]. Così lo Spirito nel cuore della Chiesa e di ogni credente è la sorgente sempre viva della giovinezza e della speranza del mondo!
[La prima parte è stata pubblicata domenica 4 novembre]
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NOTE
[1] Dominum et vivificantem 26.
[2] Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, 17.
[3] Cf. Lumen Gentium, 23.
[4] Dominum et vivificantem 62.
[5] Ib. 64.
[6] Lumen Gentium, 21.
[7] Ad Gentes, 10.
[8] Dominum et vivificantem 64.
[9] «Quantum quisque amat ecclesiam Christi, tantum habet Spiritum Sanctum»: S. Agostino, In Iohan. Evang. Tract., 32,8: CChr 36,304.
[10] San Giovanni Crisostomo, Homilia De capto Eutripio, c. 6: PG 52,402.
[11] Dominum et vivificantem 67.