di Maurizio Moscone
ROMA, sabato, 3 novembre 2012 (ZENIT.org).- Tutti moriamo. Ognuno sa che prima o poi morirà. Questo poi è, per lo più, molto indeterminato e, comunque, quando si pensa alla morte, normalmente facciamo riferimento alla morte degli altri e non alla propria.
C’è sempre qualche vicino di casa, o un amico o un parente che muore e queste morti ci ricordano semplicemente che si muore.
Il filosofo esistenzialista Martin Heidegger afferma in proposito: “Si dice: <>. Con questo <> il Si contesta alla morte la sua certezza”[1].
Nell’espressione “si muore” diciamo in modo impersonale che ogni essere umano è destinato a morire, ma non siamo coinvolti in prima persona in ciò che affermiamo.
Scrive ancora il filosofo: “Un giorno o l’altro si finirà per morire , ma, per ora, ancora no. […] Nell’ <> la quotidianità riconosce una specie di certezza della morte. Nessuno dubita che si muoia. Ma questo <> non porta con sé l’esser–certo quale si addice alla morte nel senso di possibilità caratteristica e specifica dell’ [essere umano]”[2].
Di fronte al tema della morte, c’è una differenza qualitativa tra dire “si muore” o “io muoio”.
Nel secondo caso colui che parla intende dire non che sta realmente morendo, ma che la morte è una sua personale possibilità, anzi è la possibilità estrema che lo rende consapevole che tutte le certezze nelle quali aveva radicato la propria esistenza sono pure possibilità, che, in quanto tali, possono venir meno da un momento all’altro.
Secondo Heidegger l’umanità “innanzitutto e per lo più” vive un’esistenza inautentica, dominata dalla “chiacchiera”, dal “si dice”, e il passaggio all’esistenza autentica avviene quando l’essere umano “anticipa” la propria morte, non nel senso che si suicida o è ossessionato dal pensiero della morte.
Anticipazione della morte significa non essere più dispersi in mille attività, pensando di ricevere la vita da ciò che è caduco e passeggero, e riconoscere la non definitività delle possibilità concrete che la vita ci presenta.
L’uomo di oggi vive immerso in una cultura atea e materialistica che ha narcotizzato le domande più profonde che provengono da ogni anima: “chi sono? Da dove vengo? Dove vado?”
La riflessione heideggeriana sul tema della morte può aiutare l’uomo di oggi, a interrogarsi seriamente sul senso della propria morte, e cercare una risposta al senso della vita, perché se la morte è uno sprofondare nel nulla vivere è una fatica inutile.
Heidegger, come ogni filosofo, non può dare una risposta agli interrogativi e alle ansie più profonde dello spirito umano, che vuole sapere cosa si cela dietro l’enigma della morte, anche se coscientemente reprime le sue domande più radicali.
Gesù Cristo è l’unica risposta a tutte le domande che inquietano l’anima umana: “Ci hai fatti per Te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te”, diceva Sant’Agostino.
Soltanto Lui sa cosa ci attende dopo il pellegrinaggio terrestre, perché soltanto Lui viene dal Cielo, e può rivelarci cosa ci aspetta dopo la morte. E’ necessario credergli per avere una risposta esaustiva a tutte le nostre domande sulla vita dopo la morte, ma per credere è necessaria la fede.
La fede non è una credenza umana, ma è “un dono gratuito di Dio” e Gesù Cristo – afferma Benedetto XVI – “crea nel nostro cuore il desiderio di seguirlo per entrare totalmente, un giorno, nel suo amore, quando riceveremo una dimora non costruita da mani umane nei cieli. Non c’è persona che non sia raggiunta e interpellata da questo amore fedele, capace di attendere anche quanti continuano a rispondere con il «no» del rifiuto o dell’indurimento del cuore. Dio ci aspetta, ci cerca sempre, vuole accoglierci nella comunione con Sé per donare a ognuno di noi pienezza di vita, di speranza e di pace”[3].
Il Papa sottolinea che la fede non soltanto è un dono divino, ma anche “è un atto con cui mi affido liberamente a un Dio che è Padre e mi ama; è adesione a un «Tu» che mi dona speranza e fiducia”[4], quindi l’atto di fede richiede la risposta libera dell’uomo, il quale può rifiutare il dono offerto da Dio.
Afferma in proposito Benedetto XVI:
“Attorno a noi, però, vediamo ogni giorno che molti rimangono indifferenti o rifiutano di accogliere questo annuncio. Alla fine del Vangelo di Marco, oggi abbiamo parole dure del Risorto che dice : «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,16), perde se stesso. Vorrei invitarvi a riflettere su questo. La fiducia nell’azione dello Spirito Santo, ci deve spingere sempre ad andare e predicare il Vangelo, alla coraggiosa testimonianza della fede; ma, oltre alla possibilità di una risposta positiva al dono della fede, vi è anche il rischio del rifiuto del Vangelo, della non accoglienza dell’incontro vitale con Cristo”.
Il Papa invita tutti i cristiani ad annunciare il Vangelo perché dall’ascolto della Parola di Dio viene la salvezza per tutti coloro che la accolgono e dicono “sì” a Gesù Cristo “e questo «sì» trasforma la vita, le apre la strada verso una pienezza di significato, la rende così nuova, ricca di gioia e di speranza affidabile”[5].
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NOTE
[1] M. Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi, Milano 1976, p. 314.
[2] Ibidem, p. 311.
[3] Benedetto XVI, Udienza generale, 30 maggio 2012.
[4] Benedetto XVI, Udienza generale, 24 ottobre 2012.
[5] Ibidem.