Atmosfera bizantina a Roma

Una visita alla Basilica di Santa Maria in Domnica

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di Paolo Lorizzo*

ROMA, sabato, 3 novembre 2012 (ZENIT.org).- A poca distanza dalla chiesa di S. Stefano Rotondo (di cui abbiamo ultimamente disquisito sull’importanza della toponomastica e delle presenze archeologiche), sorge la Basilica di S. Maria in Domnica detta anche ‘alla Navicella’. Questo curioso attributo fa riferimento ad una ‘navicella’ in marmo posta su un basamento con stemma mediceo dello stesso materiale realizzata sotto il pontificato di Leone X. Il monumento venne realizzato probabilmente in sostituzione di una precedente ‘navicella’ di epoca romana dedicata da marinai egiziani alla dea Iside che a Roma aveva un importante luogo di culto noto con il nome di ‘Iseo Campense’, situato dietro il Pantheon, nell’area attualmente corrispondente alla chiesa di S. Maria Sopra Minerva.

Il termine ‘in domnica’ fa ancora riflettere gli studiosi che sono propensi ad attribuire una sua provenienza dal termine ‘dominicum’ cioè ‘del Signore’ scartando quasi tutte le altre ipotesi finora avanzate, ma ritenendo ancora valida quella che sostiene derivi dal ‘praedia dominica’ denominazione di epoca imperiale dell’area dove venne successivamente costruito l’edificio ecclesiastico.

Un primo edificio venne probabilmente costruito in epoca costantiniana, in quanto risulta già esistente alla fine del V secolo, ma è solo a partire dal 678 che venne istituito il Titulus S. Mariae in Domnica, nonostante nel luogo esistesse un semplice oratorio. Fu sotto il pontificato di Pasquale I che il luogo venne radicalmente modificato, con l’abbattimento della struttura preesistente e la costruzione dell’edificio attualmente visibile, il tutto realizzato tra l’818 e l’822, periodo al quale appartiene anche lo splendido apparato musivo di cui è dotata la navata centrale.

A dispetto dello stile rinascimentale della facciata, la chiesa è rimasta pressoché inalterata fin dall’epoca della sua costruzione, rappresentando un importante spaccato dell’architettura medievale romana, fermo restando i sostanziali apporti avvenuti soprattutto in epoca rinascimentale che ne hanno in parte alterato l’aspetto originario. La facciata è stata realizzata da Andrea Sansovino tra il 1513 e il 1514 ed impostata su un portico a cinque arcate (siamo lontani dai vestiboli tetrastili a colonne) da cui si intravvede la parte superiore della facciata con un rosone centrale fiancheggiato da due finestre. Stemmi medicei sono visibili sul timpano della facciata qui collocati dai cardinali Giovanni e Ferdinando de’ Medici, per ricordare gli importanti apporti alla chiesa di papa Leone X e della famiglia medicea.

La chiesa è a pianta basilicale divisa in triplice navata, tra loro separate da due file di nove colonne (queste si di spoglio) sui cui poggiano una serie di archi che sorreggono pareti fenestrate da cui la chiesa trae illuminazione. Ciascuna navata termina con un’abside, la più grande delle quali, quella centrale, presenta un meraviglioso mosaico che rappresenta uno dei capolavori dell’arte musiva di stile bizantino. Il mosaico, fatto realizzare da papa Pasquale I, rappresenta indubbiamente l’elemento più significativo dell’edificio, ispirato alle correnti di pensiero scaturite dal secondo Concilio di Nicea del 787 e dedicato alle Icone. Soggetto principale della rappresentazione èla VergineMariaseduta in Trono con il Bambino Gesù in primo piano adagiato sulle sue ginocchia. Sullo sfondo schiere di Angeli incorniciano tutta la scena, coronata nella parte superiore da una scritta commemorativa che chiude la rappresentazione. Ai piedi della Vergine c’è l’immagine di Pasquale I con la testa incorniciata da un quadrato a significare che, all’atto della realizzazione del mosaico, era ancora vivo.

Una delle caratteristiche principali del mosaico è il fatto che è stato realizzato seguendo i canoni tipicamente bizantini e monastici, grazie all’ausilio di maestranze orientali giunte a Roma in seguito alla persecuzione iconoclasta in Oriente.

Nell’arco è l’immagine del Cristo Salvatore racchiuso in una mandorla (che rappresenta la Vita) ed è seduto su una sfera (che identifica con il Mondo) ed è affiancato da due angeli e dai dodici Apostoli, mentre più in basso sono raffigurati Mosè ed Elia a simboleggiare la ‘Trasfigurazione’. Tutta la scena è nota con il termine di ‘missio apostolorum, l’apostolato da esercitare sulla terra ‘in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo’.

Altri gioielli sono visibili lungo le pareti della chiesa, frutto di apporti realizzati in varie epoche degni di essere ammirati, anche se soffermarsi ad ammirare la splendida opera del catino absidale distoglie l’interesse stregando chi l’ammira.

* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.

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ZENIT Staff

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