di padre Piero Gheddo
ROMA, venerdì, 2 novembre 2012 (ZENIT.org) - In Italia - è una constatazione comune - le vocazioni per la missione alle genti sono drasticamente diminuite negli ultimi vent’anni e ormai ridotte quasi a zero.
Quando nel 1995 ho iniziato ad insegnare nel seminario di filosofia e dell’anno di formazione del PIME, a Roma c’erano 21 alunni, di cui 15 italiani e sei stranieri. Quando ho smesso nel 2009, gli italiani erano tre, gli stranieri 12.
A padre Alberto Caccaro, da 11 anni missionario in Cambogia (dopo 5 in Italia come animatore vocazionale) e oggi direttore del Centro missionario PIME di Via Mosè Bianchi a Milano, chiedo perché, secondo lui, in Italia ci sono poche vocazioni missionarie. È stato da poco a Parigi in visita all’Istituto missionario MEP (Missione Etragères de Paris), che ha fondato la Chiesa in Cambogia.
Personalmente ho conosciuto bene i MEP a Parigi e nelle missioni dell’Asia. Nel 2003 ho consultato a Singapore il loro Annuario ed erano 228 tutti di nazionalità francese, mentre quando andavo in Vietnam quarant’anni fa erano più di 700.
“Oggi, dice padre Alberto, hanno 28 seminaristi di teologia a Parigi tutti francesi. Hanno aperto le porte delle missioni a tutti quelli che vogliono fare un’esperienza di un anno o due nelle missioni. Specialmente i giovani che hanno una qualche intenzione di diventare missionari, ma anche tutti gli altri, anche coppie sposate. Io ospitato una coppia sposata per un anno e adesso rimangono un altro anno; prima avevo ospitato alcuni giovani tutti sotto i 24 anni. A questi giovani il MEP fa la proposta precisa di diventare missionari. I superiori dell’Istituto seguono e visitano questi volontari laici nelle missioni. Li mandano anche dove non ci sono i MEP, come in Vietnam, dove attualmente ne hanno 24 sempre in parrocchie e con preti locali”.
“A Parigi i MEP hanno un grande istituto, luogo molto aperto e fucina di attività missionarie. Ospitano decine di sacerdoti che vengono dalle missioni, specie dalle chiese dell’Asia, per studiare a Parigi. Quindi hanno tanti contatti con le giovani Chiese nelle quali hanno lavorato e possono mandare i loro volontari, oltre che con i loro missionari, anche con questi preti amici”.
“La legge francese - continua padre Alberto - favorisce queste esperienze all’estero, copre le spese previdenziali e al rientro i giovani ricevono aiuti per riprendere il lavoro; anche per chi studia, un anno o due all’estero come volontari, da diritto a crediti formativi per gli studi e accredita per la futura carriera scolastica”.
“La legge francese ha sempre favorito anche le famiglie quindi la Francia un tasso di natalità nettamente superiore a quello italiano. Questo incide anche sul numero delle vocazioni. I MEP mandano questi giovani in missione dopo una breve preparazione. Dopo i primi contatti, vengono alla casa dei MEP a Parigi una settimana o dieci giorni e partono per la missione, ma sanno già che si tratta di un’esperienza cristiana, di fede, non solo di lavoro umanitario”.
“L’esperienza suppone la convivenza con i missionari e il servizio alla Chiesa locale. Naturalmente poi fanno tutto quello che possono per aiutare i poveri, educare e altri lavori di missione. Ma la molla che li spinge è l’esperienza di fede e l’orientamento cristiano della loro vita. Quindi, chi vuol andare in missione con i MEP deve presentare un giudizio positivo di tre preti diversi, così avviene una selezione che aiuta a chiarire gli obiettivi dell’esperienza: i giovani sanno di dover lavorare in una missione e partecipare alla vita della missione”.
Chiedo a padre Caccaro come fanno i MEP ad avere così tante richieste, se la Francia è più secolarizzata dell’Italia e ha meno preti. Risponde: “I MEP pescano nel nocciolo duro del cattolicesimo francese, cioè quella fascia di cattolici per i quali l’appartenenza alla Chiesa è una scelta ponderata e custodita di generazione in generazione, che si è mantenuta fedele pur senza sottrarsi al confronto con la laicità prevalente nella società d’oltre alpe. Fra questi francesi, che non sono pochi in un paese di 63 milioni di abitanti, i giovani sono sensibili al richiamo delle missioni e i MEP si presentano come missionari e offrono la possibilità di due anni in missione, con tutte le garanzie legali e finanziarie. A quei giovani che con questa esperienza danno buona testimonianza di sé, propongono di entrare nel loro seminario. Se hanno 28 seminaristi francesi di teologia, si vede che hanno trovato la via giusta. Io ho visto che i volontari del MEP venuti in Cambogia, anche con me, i più hanno alle spalle una militanza tradizionale però non chiusi al mondo moderno o antiquati come idee, tutt’altro, proprio perché fedeli alla Chiesa e all’identità cristiana”.