di Luca Marcolivio
ROMA, sabato, 24 dicembre 2011 (ZENIT.org) - Nell’epoca dell’emergenza educativa spicca sempre di più la necessità di una “convergenza” tra le discipline. Le materie scientifiche e quelle umanistiche, se non vivono di feed-back e rimangono in compartimenti stagni, rischiano di inaridirsi in un gioco autoreferenziale e riduzionista.
Maurizio Soldini, medico e bioeticista, docente all’Università La Sapienza di Roma e all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, è l’esempio di un uomo di scienza che non ha mai abbandonato il suo primo amore, quello per la poesia. In un’intervista a Zenit, il prof. Soldini ha illustrato come si è sviluppato il suo originale percorso culturale ed accademico.
Prof. Soldini, lei è un medico e un bioeticista affermato. Quale “casella vuota” riempie la poesia nella sua vita?
Soldini: Più che uno spazio vuoto, la poesia e in generale la letteratura rappresentano per me il pieno. Punto di partenza di transito e di arrivo. Ho iniziato a scrivere intorno ai diciassette anni e a venti entro in contatto con il Nobel Eugenio Montale, che risponde ad una mia lettera che accompagnava un manoscritto con i testi scritti fino allora (molti di quei testi sarebbero stati pubblicati nel 2006 in Frammenti di un corpo e di un’anima). Quindi gli studi medici alla Sapienza di Roma. La medicina mi appare da subito bisognosa di una implementazione umanistica, tanto più in un momento come quello degli anni Ottanta e Novanta del XX secolo, nei quali cominciava a farsi sentire il movimento della bioetica e si percepiva in modo forte l’urgenza di una umanizzazione della medicina stessa.
Fu così che dopo la specializzazione in Clinica Medica cominciai a lavorare come clinico medico nella stessa Università dove mi sono formato. Contemporaneamente cominciai ad occuparmi in modo sempre più dedicato alle problematiche della bioetica e all’inizio degli anni Novanta cominciai a insegnare la disciplina. Mi perfezionai alla Cattolica con mons. Elio Sgreccia e successivamente mi laureai in Filosofia Morale all’Università Roma Tre con una tesi su Lo statuto epistemologico della bioetica. Da allora i miei studi e le mie ricerche in bioetica mi portano a dare valore alla letteratura sulla base della figura di morale da me privilegiata per affrontare problemi di bioetica. Il cerchio sembrerebbe chiudere un pieno.
Qual è il filo rosso che lega due materie apparentemente molto lontane come quelle di cui lei si occupa?
Soldini: Il problema di fondo, il filo rosso è il problema antropologico. Chi è l’uomo e quale è il suo posto nel mondo? E il riferimento alle dinamiche della prospettiva personalistica con il riferimento a Max Scheler appare evidente.
Può la poesia aiutare ad umanizzare il nostro vissuto quotidiano, a diventare veicolo di un “nuovo umanesimo”?
Soldini: Penso di sì. Anzi ne sono convinto. Il linguaggio letterario e in particolare quello della poesia sono il non plus ultra del tentativo di umanizzazione delle nostre pratiche. La poesia nasce e si forgia nella creatività legata all’immaginazione e alla fantasia e si crogiola di simboli, di analogie, di allegorie, soprattutto di metafore, di correlati oggettivi e li innesta in una chiave di canto che modula su altezze di senso. E attraverso l’arte, nella fattispecie attraverso la letteratura e il linguaggio letterario, si può approdare da un’estetica ad un’etica. Afferma Luigi Pareyson che “la necessità del ricorso al mito deriva dal fallimento della filosofia davanti al problema del male”. Era un po’ quello che succedeva a me nelle corsie davanti al malato, davanti al male e alla morte, davanti alla sofferenza, che nonostante la scienza medica trovavo come dimensioni ineluttabili dell’uomo. La scienza e la filosofia, quantomeno un certo tipo di filosofia, come quella logico-empirista, non sono sufficienti a dare risposte ai dilemmi esistenziali, anzi sono fallimentari attraverso un vuoto che può essere riempito soltanto da quella dimensione di senso, tutta ermeneutica, per quanto veritativa, che pone l’uomo in rapporto con l’essere nel suo esistere concreto. E proprio su queste basi si sono coagulate due sillogi di poesie tra le mie ultime pubblicazioni: In controluce (2009) e Uomo. Poemetto di bioetica (2010).
Nella sua esperienza di insegnamento che ruolo gioca l’elemento umanistico-letterario?
Soldini: L’elemento umanistico, filosofico e letterario, gioca un ruolo prioritario in relazione al fine di rendere le pratiche, soprattutto mediche e infermieristiche, ma estendibili alle pratiche di ogni uomo, eccellenti, nelle more di raggiungere quel bene, mentre lo si compie intenzionalmente. Vede che un medico o un infermiere porgano un bicchiere d’acqua ad un paziente che ha sete ha una rilevanza pragmatica, nel momento in cui il paziente riesce a soddisfare un suo bisogno, ma ha una rilevanza pratica non indifferente in relazione all’intenzionalità con la quale viene compiuta l’azione. Sviscerare filosoficamente le problematiche bioetiche e soprattutto renderle narrabili, rappresentandole nella loro concretezza dove in gioco ci sono dei soggetti agenti non è di poco conto, soprattutto lì dove vengano messi in evidenza i tratti del carattere.
Non molti anni fa lei ha fatto una proposta forse provocatoria: lanciamo lo studio della poesia anche nelle facoltà di medicina. A quale scopo?
Soldini: Non è stata solo una proposta e per di più provocatoria quella di inserire la poesia nei miei corsi che tengo nella Facoltà di Medicina alla Sapienza ormai da qualche anno. È una realtà, dal momento che tengo frequentemente corsi monografici sul linguaggio: scientifico, filosofico e letterario. Lo scopo è quello di tentare una formazione completa che fornisca la capacità non solo di riflettere criticamente e consapevolmente su determinati problemi della bioetica e non solo, ma che faccia in modo che gli operatori sanitari si pongano nella condizione di voler essere in un certo modo.
Tra i grandi classici della poesia di ogni tempo, quali sono, a suo avviso gli autori che più hanno saputo esprimere in versi la bellezza e il tormento della corporeità e della caducità della vita terrena?
Soldini: Tutti i poeti o quasi si sono confrontati e continuano a confrontarsi con i problemi esistenziali, tra cui spicca il problema della morte, del male, ecc. e nonostante tutto tentano di sublimarsi nel canto della bellezza. Certamente ne potrei nominare tantissimi, ma voglio rimanere ad alcuni poeti di oggi, di ieri e di ieri l’altro. Anche perché ritengo che oggi di poesia se ne scriva tanta e se ne legga poca e sarebbe invece necessario confrontarsi, leggendo, con i poeti a noi contemporanei. Tra i poeti dell’altro ieri un nome per tutti: Giacomo Leopardi. Tra quelli di ieri, Eliot, Ungaretti, e soprattutto Montale e Luzi. Tra quelli di oggi Anedda, Conte, Cucchi, Maffia, Mussapi, Rondoni, Sica e sicuramente altri che ora su due piedi dimentico, ma sono tanti anche tra gli amici poeti, quelli che stimo tantissimo e che spesso leggo nelle mie lezioni di bioetica.