di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 19 dicembre 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la seconda parte dell’Intervista fatta al Professore don Salvatore Vitiello Coordinatore del Master in Architettura, arti sacre e Liturgia dell’Università Europea di Roma e del Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. In merito alla storia ed alla rilevanza nella storia della salvezza di San Giuseppe.
La figura di San Giuseppe sembra oggi un po’ banalizzata e relativizzata. Quali sono gli argomenti che Lei solleverebbe per approfondire e spiegare la grandezza e le virtù di San Giuseppe? Quali le ragioni della devozione di San Giuseppe nella storia?
Don Vitiello: Il Mistero stesso dell’Incarnazione! Si può banalizzare e relativizzare la straordinaria figura di Giuseppe, infatti, solo banalizzando e relativizzando anche la misteriosa e commovente condiscendenza di Cristo Gesù, che – come scrive l’Apostolo – «pur essendo di natura divina, […] spogliò Se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini» (Fil 2,6). San Giuseppe è stato coinvolto, in modo tutto “divino”, cioè con quel rispetto assoluto, che Dio ha per l’intelligenza e la libertà umane, nel Mistero stesso della nostra Salvezza. Se Dio ha scelto per il Suo Figlio un “padre” terreno, questi è anche un padre per noi, in questo pellegrinaggio verso il Cielo. Nell’Umanità perfetta di Cristo, infatti, tutti noi battezzati veniamo accolti, incorporati, con un legame di identificazione che è quasi biologico, per essere resi partecipi della stessa Vita divina, divenendo così – come la Tradizione ci insegna – “membra vive” del Corpo Mistico. Ora, tra queste membra vive, un posto del tutto speciale spetta alla Beata Vergine Maria e a San Giuseppe, poiché coloro che hanno svolto, nella vita terrena, la propria missione nei confronti del Capo, continuano in cielo la stessa missione nei confronti di tutto il Corpo, che è la Chiesa. Così a San Giuseppe possiamo affidarci perché ci custodisca dai pericoli, come fece con la sacra Famiglia, Chiesa nascente; a lui possiamo domandare una specialissima intercessione, poiché – come diceva Papa Pio XI – tale intercessione «non può che essere onnipotente, poiché che cosa potrebbero Gesù e Maria rifiutare a Giuseppe che consacrò a loro tutta la sua vita e al quale devono realmente i mezzi della loro esistenza terrena?»; a lui possiamo domandare luce e consiglio, poiché egli per primo è stato un uomo in totale ed assiduo ascolto della Volontà di Dio, che vedeva concretarsi in quella Presenza eccezionale, ed era tutto disponibile ad acconsentirvi, con una disponibilità simile a quella di Maria stessa. Nel suo operare umile e nascosto, inoltre, riconosciamo il primato della vita interiore, di quell’operare cioè alla Presenza del Mistero, pago soltanto di piacere a Dio. Nel suo compiere, «come per il Signore» (Col 3,23) – direbbe l’Apostolo –, ogni sorta di lavoro e di servizio, intravvediamo la novità della Presenza umana di Dio, della vita in Cristo: ogni gesto, compiuto per Lui ed alla Sua Presenza, ottiene un valore eterno, definitivo, che dà alla vita un gusto unico, mai sperimentato prima! In Lui e nella sua totale dedizione alla Beata Vergine Maria, dedizione che era all’unisono con il “Fiat” della Vergine, infine, contempliamo l’esemplarità dello sposo, che accoglie e condivide la vita stessa della sposa, secondo il destino eterno di Lei, destino che per Maria e per Giuseppe – e ora per tutti noi – aveva lo stesso volto di Gesù. E sempre in questo specialissimo rapporto, contempliamo la luminosa purezza della castità, nella quale San Giuseppe visse e servì il Signore tutta la vita, pur segnato, a differenza di Maria, dal peccato delle origini, e splendendo così maestro nell’agone spirituale cui tutti siamo chiamati. Tale castità, rappresentata da un giglio bianco, nell’iconografia cristiana, ne costituisce la stessa identità! In lui, ancora, contempliamo l’esemplarità paterna, che si pone al servizio della missione stessa del Figlio, capace di ogni sacrificio, guardando a Cristo come al Tesoro che egli non possiede egoisticamente, ma che gli è affidato, insieme a Maria, in quel grande e reciproco possesso dell’amore. In San Giuseppe infine, contempliamo la specialissima grazia di essere stato accompagnato, nel momento del trapasso, dallo stesso Signore, quale figlio amorosissimo, e dalla Beata Vergine Maria, quale sposa; così che tutti ci rivolgiamo a lui, quale “Patrono della buona morte”. In questa straordinaria e multiforme appartenenza a San Giuseppe, che è poi la stessa “comunione dei santi”, risiede la ragione della profonda devozione che il Popolo cristiano ha sempre nutrito per San Giuseppe, secondo lo spirito di familiarità che unisce tutti coloro che entrano in comunione con Cristo. Tale devozione, poi, fu la devozione di tutta la Chiesa, anche nella più alta espressione magisteriale, che vede due splendidi esempi nella proclamazione, da parte del Beato Pio IX, nel 1870, di San Giuseppe quale Patrono della Chiesa universale e nella Esortazione Apostolica Redemptoris Custos del Beato Giovanni Paolo II.
In che modo San Giuseppe entra nel progetto di rivelazione di Dio?
Don Vitiello: Nel modo della cooperazione. A questo personale coinvolgimento con l’Opera di Salvezza – che nella Chiesa si chiama “Vocazione” – tutti siamo chiamati, nel modo e nella forma che Cristo sceglie per ciascuno. Dio non ha bisogno della nostra cooperazione, ma sceglie di non poterne fare a meno, proprio nel Mistero di Betlemme. Egli vuole salvarci, ma vuole farlo non saltando la nostra umanità e intelligenza, non operando al posto nostro, ma nel modo che più esalta la nostra dignità, cioè legando il Suo agire al nostro intelligente e libero “sì”. Così è stato per San Giuseppe, chiamato a collaborare in modo libero, ma essenziale all’Incarnazione del Verbo. Così che della nostra Salvezza, l’universo rende grazie a Cristo Signore, e a Maria, Madre della Chiesa, e a San Giuseppe, suo castissimo sposo e nostro Patrono.