di Tommaso Cozzi
ROMA, giovedì, 15 dicembre 2011 (ZENIT.org).- Nello scorso mese di novembre, Benedetto XVI ha effettuato un viaggio apostolico in Africa nell’ambito del quale, tra i vari discorsi, spicca quello del 19 novembre ai membri del governo, ai rappresentanti delle istituzioni, al corpo diplomatico ed ai rappresentanti delle principali religioni del Benin. Oltre ai contenuti, non rivolti solo all’Africa, ma al mondo intero, colpiscono due fattori. Anzitutto stupisce, ma non troppo, il silenzio della stampa internazionale (e quindi anche italiana, ad eccezione della stampa “specialistica”).
In secondo luogo è eccezionale la profondità dell’analisi non solo di quanto accade nel continente africano, ma anche della situazione socio-economica occidentale. Anzi, se non fosse nota l’area geografica in cui il discorso è stato pronunciato, ben potrebbe adattarsi alle vicissitudini europee ed italiane, dell’ultimo mese in particolare.
Il diritto innegabile di tutti gli individui alla felicità si è sempre più trasformato nell'imperativo edonistico del "dover essere felice" ad ogni costo, alimentando illusioni e spegnendo la speranza. Quanto questa idea di felicità sia diventata oggi uno degli assi portanti del sistema sociale è sotto gli occhi di tutti, alimentando le insicurezze, le insoddisfazioni ed il senso di inferiorità che sembrano caratterizzare l'identità dell'uomo moderno.
Per altri versi, appare evidente la dissociazione tra il progresso economico ed il benessere individuale, l'aumento esponenziale di nuove forme di disagio nelle società occidentali, nonché la bassa correlazione esistente tra vari aspetti del benessere e del malessere soggettivi e le condizioni o circostanze esterne, fortunate o sfortunate, con le quali si confronta la nostra vita. Cosa fare? Abbandonarsi alla disperazione? Oppure fermarsi innanzi alla meraviglia del Dio fatto Uomo?
Lasciamoci guidare da Benedetto XVI: “Ogni popolo vuole comprendere le scelte politiche ed economiche che vengono fatte a suo nome. Egli si accorge della manipolazione, e la sua reazione è a volte violenta. Vuole partecipare al buon governo. Sappiamo che nessun regime politico umano è l’ideale, che nessuna scelta economica è neutra.
Ma essi devono sempre servire il bene comune. Ci troviamo dunque davanti ad una rivendicazione legittima che riguarda tutti i Paesi, per una maggiore dignità, e soprattutto una maggiore umanità. L’uomo vuole che la sua umanità sia rispettata e promossa. I responsabili politici ed economici dei Paesi si trovano di fronte a decisioni determinanti e a scelte che non possono più evitare.
Da questa tribuna, lancio un appello a tutti i responsabili politici ed economici dei Paesi africani e del resto del mondo. Non private i vostri popoli della speranza! Non amputate il loro futuro mutilando il loro presente! Abbiate un approccio etico con il coraggio delle vostre responsabilità e, se siete credenti, pregate Dio di concedervi la sapienza.
Questa sapienza vi farà comprendere che, in quanto promotori del futuro dei vostri popoli, occorre diventare veri servitori della speranza. Non è facile vivere la condizione di servitore, restare integri in mezzo alle correnti di opinione e agli interessi potenti. Il potere, qualunque sia, acceca con facilità, soprattutto quando sono in gioco interessi privati, familiari, etnici o religiosi. Dio solo purifica i cuori e le intenzioni.
La Chiesa non offre alcuna soluzione tecnica e non impone alcuna soluzione politica. Essa ripete: non abbiate paura! L’umanità non è sola davanti alle sfide del mondo. Dio è presente. E’ questo un messaggio di speranza, una speranza generatrice di energia, che stimola l’intelligenza e conferisce alla volontà tutto il suo dinamismo (…). La disperazione è individualista. La speranza è comunione. Non è questa una via splendida che ci è proposta? Invito ad essa tutti i responsabili politici, economici, così come il mondo universitario e quello della cultura. Siate, anche voi, seminatori di speranza!” E’ questo anche il nostro augurio per il Santo Natale e per il nuovo anno.