di Eugenio Fizzotti
ROMA, martedì, 6 dicembre 2011 (ZENIT.org) - «Dal 14 settembre 1989 sono a Locri dove, oltre a varie forme di ministero sacerdotale, presiedo la Commissione Diocesana Giustizia e Pace. Dato l’ambiente, sento particolarmente urgente il compito di dare un contributo alla comunità ecclesiale per una cultura opposta a quella mafiosa, per cui cerco soprattutto di impegnarmi nel campo della giustizia e della pace. Ecco perché sono grato ai superiori che mi hanno concesso di fare qualche significativa esperienza: un viaggio in Iraq pochi giorni prima della guerra del Golfo, due viaggi in Bosnia nel dicembre 1992 (fino a Sarajevo) e nell’agosto 1993 (fino a Mostar) e un viaggio nel Kurdistan turco e irakeno nel 1994».
Ricavate dai suoi appunti autobiografici, stesi qualche settimana prima che la malattia e la morte, sopraggiunta nell’ospedale di Locri il 27 novembre 2000, mettessero fine ai suoi numerosi e apprezzatissimi impegni a favore dell’educazione alla pace e della formazione di numerosi e qualificati animatori di gruppi nella Diocesi di Locri-Gerace, queste brevi informazioni consentono di comprendere il grande e significativo ruolo svolto dal salesiano don Giorgio Pratesi, nato a Roma il 23 maggio 1920 e ordinato sacerdote il 14 febbraio 1954 dal Cardinale Traglia nella Basilica del Sacro Cuore a Roma e in onore del quale mercoledì 7 dicembre 2011 nel Centro Giovanile Salesiano di Locri viene realizzato un incontro che prevede interventi di alcune straordinarie personalità: Mario Nasone, Presidente del Centro Servizi al Volontariato dei Due Mari, Gianno Novello, esponente di rilievo del Movimento Italiano Pax Christi, D. Sergio Chistè, un confratello salesiano che dal 1984 lavora intensamente per la formazione dei catechisti e degli operatori della Diocesi di Locri-Gerace, Giuseppe Mastropasqua, magistrato attualmente impegnato a Bari che, quando don Giorgio era vivo, operava nel territorio della Locride e, in qualità di membro della Commissione diocesana Giustizia a Pace, favorì all’interno di numerosi Consigli Comunali la decisione di individuare un difensore civico che permettesse ai singoli cittadini di essere incoraggiati nel loro cammino di promozione della giustizia e della pace nonostante le pressioni della ’ndrangheta.
Indubbiamente la testimonianza di vita di don Giorgio Pratesi ha avuto, nel corso dei 21 anni di presenza nel territorio locrese, una rilevanza particolarissima nel campo dell’educazione alla nonviolenza, grazie soprattutto all’appoggio sistematico di Mons. Giancarlo Bregantini, attuale Arcivescovo di Campobasso, che negli anni in cui fu Vescovo della Diocesi di Locri-Gerace favorì tutte le iniziative che Don Giorgio Pratesi proponeva e che costituivano degli itinerari finalizzati all’individuazione, alla scelta e alla traduzione in comportamenti individuali e sociali di uno stile di vita che, partendo dalla convinzione che «Gesù è la pace», attenuava e addirittura sconfiggeva, come scrisse in un testo base per l’attivazione della “Scuola di pace”, la «tendenza a pensare noi stessi al centro del nostro mondo e quindi a sopravvalutare la nostra persona con le sue esigenze, i suoi diritti, le sue aspirazioni e invece a sottovalutare le esigenze, i diritti e le aspirazioni degli altri. Notiamo che una certa dose di egocentrismo è insopprimibile: le nostre conoscenze passano attraverso i nostri sensi e il nostro cervello e il desiderio di essere tenuti in una certa considerazione è un desiderio innato. Tutto ciò può rimanere nei limiti della normalità; le cose invece assumono una loro gravità quando superano una certa misura».
Per favorire il superamento dell’egocentrismo, vissuto in tantissimi casi anche all’interno del contesto familiare, don Giorgio propose originali e apprezzate iniziative di formazione concentrate sulla comunicazione interpersonale e sul dialogo costruttivo sia tra due persone che all’interno di gruppi, così da focalizzare bene sempre i problemi da prendere in esame e valorizzare i singoli contributi, consentendo in questo modo di rendere esplicita la responsabilità e l’autonomia nel prendere delle decisioni nei singoli contesti relazionali, quali la famiglia, il mondo del lavoro, la scuola, gli organismi amministrativi e politici e la stessa Chiesa i cui membri, egli scrisse, «hanno non solo il diritto ma il dovere di conservare la propria identità, per cui è legittimo il loro rifiuto a lasciarsi trascinare ad attività in contrasto con il loro proprio carisma, mentre è altamente significativo che siano sollecitati, in collaborazione con i responsabili della comunità stessa, a studiare quale può essere, nella situazione concreta in cui si trovano a operare, l’apporto che essi, proprio in base alla loro identità, sono in grado di dare al bene comune».