Nel precedente articolo abbiamo visto che l’arte è direttamente chiamata dalla Chiesa ad esercitare il proprio ministero di servizio, ovvero contribuire, attraverso la via della bellezza, a rappresentare e simbolizzare le realtà soprannaturali. L’arte svolge nella Chiesa un compito altissimo nel segno di una vocazione di servizio, che potremmo definire di tipo ancillare. Da ciò discende che la teoria artistica propria della pittura sacra deve avere caratteristiche utili a questo servizio, e non in contraddizione con esso. In altri termini perché un determinato “sistema d’arte” possa essere realmente accolto al servizio della Chiesa, esso deve rispondere a delle caratteristiche insopprimibili e inalterabili nel tempo.
A metà del XVII secolo, il gesuita Ottonelli ed il grande e poliedrico artista Pietro da Cortona scrissero Il trattato della pittura e scultura, uso et abuso loro. Composto da un teologo e da un pittore, un testo di teoria morale della pittura e della scultura, in cui chiaramente affermano: «Ponderi il saggio artefice, che può con le sacre immagini essere cooperatore di Dio alla salvezza delle anime, richiamando i peccatori alla penitenza, e promovendo i giusti a perfezione; può col pennello, e con le tinte meglio, che colui con la lira, e con il plettro muovere i cuori di pietra a fabbricar le mura della città celeste»1. Il Trattato di Ottonelli e Pietro da Cortona si muove nel contesto di una universalità delle immagini, che purtroppo è svanita nella cultura contemporanea in cui domina in maniera sconsolata l’iconofobia -come esprime per esempio Peter Burke nei suoi studi-, tuttavia, il fine delle immagini sacre indicato da Ottonelli e Pietro da Cortona delinea una posizione che attraversa il tempo ed è tuttora valida.
A distanza di molti secoli, le considerazioni degli studiosi e della Chiesa non sono mutate nell’individuare l’alto fine dell’arte sacra. Ultimamente, si è posto maggiormente l’accento sulla forte relazione tra il senso interno dell’opera e quello esterno determinato dal contenuto della fede. Il professor Daniel Estivill coglie molto bene la relazione necessaria tra la dottrina della Chiesa e l’opera d’arte sacra, affermando: «quando si tratta delle opere d’arte a servizio della Chiesa […] in questo caso non solo l’osservatore non può dare un significato all’opera, ma nemmeno l’artista nel suo processo creativo può ignorare un contenuto che gli viene dato dalla fede, senza la quale niente nella vita della Chiesa è pienamente comprensibile e attuabile. In effetti, senza fede non c’è arte adeguata alla liturgia, come afferma Benedetto XVI»2. Si comprende che il centro del “sistema d’arte” deve essere pensato e teorizzato proprio intorno a questo aspetto che risulta imprescindibile e insopprimibile, rispetto al quale non sono ammesse né stravaganze né eccentricità. Una pittura, che pure avesse la fede cristiana come motore propulsivo, ma avesse scelto un sistema non adeguato a rappresentarla, risulterebbe inadatta al servizio.
Il cardinal Gabriele Paleotti nel 1582 delinea chiaramente il compito che le immagini svolgono all’interno della comunità cristiana, ponendo al centro la relazione tra la fede e mezzi scelti per rappresentarla: «Parlando noi qui delle immagini cristiane, diremo dunque che il loro scopo principale è quello di indirizzare le persone alla pietà e rivolgerle a Dio. Tali immagini hanno a che fare con la religione, la quale necessita inevitabilmente che si renda il dovuto culto a Dio, e pertanto il loro scopo sarà quello di indurre gli uomini alla dovuta obbedienza a alla soggezione a Dio»3.
Nel linguaggio comune contemporaneo, si parla sovente dei “mezzi espressivi” dell’arte, intendendoli come funzionali all’artista che vuole esprimere tutto se stesso, ponendo al centro la stessa soggettività dell’artista; invece l’arte per la liturgia ha bisogno, da sempre, di una docilità intrinseca al mezzo, che deve essere adeguato al fine da raggiungere: ovvero “indirizzare a Dio”. Per questo motivo, è preferibile parlare di “mezzi di rappresentazione”, piuttosto che di mezzi di espressione. Ma, anche indipendentemente dalle scelte linguistiche teoretiche e critiche, rimane sempre inaggirabile il fine che le immagini devono raggiungere all’interno del complesso cammino di perfezione del fedele.
L’artista cristiano, conseguentemente, dovrebbe sfuggire la vanagloria del mondo e l’eccentricità ricercata al fine di glorificare se stesso, cercando piuttosto di essere ben disposto nella crescita delle virtù in spirito di servizio, ovvero d’umiltà. Alla fine del XIV secolo, Cennino Cennini fin dalle prime pagine del Libro dell’arte, ammoniva: «Adunque, voi che con animo gentile sete amadori di questa virtù e principalmente all’arte venite, adornatevi prima di questo vestimento: cioè amore, timore, ubidienza e perseveranza»4.
L’umiltà è, dunque un attributo imprescindibile sia dell’arte che dell’artista, e dovrebbe essere principalmente ricercato anche dai committenti che spesso invece, si lasciano ammaliare dalla fama e dalla notorietà mondana di sistemi d’arte e di artisti, che nulla sanno della fede e che poco vogliono di essa comprendere. Avvicinare artisti lontani dalla fede e condurli pian piano all’interno della casa del Signore è un compito lodevole, che risponde alle opere di misericordia spirituale, ma occorre discernere se si possiedano o meno i mezzi (artistici e spirituali) necessari per produrre “immagini” con il fine di rendere il dovuto culto a Dio. Sarebbe un grave errore peccare di superficialità a questo proposito. Infatti, come afferma il Compendio al Catechismo della Chiesa Cattolica, le immagini «proclamano lo stesso messaggio evangelico che la Sacra Scrittura trasmette attraverso la parola, e aiutano a risvegliare e a nutrire la fede dei credenti»5.
*
NOTE
1 Gian Domenico Ottonelli – Pietro da Cortona, Il trattato della pittura e scultura, uso et abuso loro. Composto da un teologo e da un pittore [1652], ed. anastatica a cura di Vittorio Casale, Libreria editrice Canova Treviso, 1973, pag. 68.
2 Daniel Estivill, L’iconografia: strumento di lettura e di creatività per un’arte a servizio della Chiesa, in “Arte Cristiana”, 865 (2011), pag. 289
3 Gabriele Paleotti, Discorso intorno alle immagini sacre e profane [1582], Libreria Editrice Vaticana, Roma 2002, pag.70.
4 Cennino Cennini, Il libro dell’arte, Neri Pozza, Vicenza 1982, pag. 6.
5 Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, 240.