La lobby pro-eutanasia guadagna terreno

Aumentano le pressioni a fare la dura scelta

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di padre John Flynn, LC

ROMA,  domenica, 30 ottobre 2011 (Zenit.org) – In molti Paesi del mondo le forze favorevoli all’eutanasia continuano a fare pressione per la legalizzazione del suicidio assistito.

In Australia, il dottor Philip Nitschke ha di recente violato la legge distribuendo, a Sydney, copie del suo libro The Peaceful Pill. Il volume era infatti stato vietato dalle autorità nel 2007, secondo quanto riferito dal Sydney Morning Herald del 2 ottobre.

Il libro è stato distribuito, dopo un suo discorso rivolto ad un gruppo di circa 200 persone, nel teatro dell’opera di Sydney.

Intanto, secondo una notizia apparsa il 16 ottobre sul quotidiano inglese The Guardian, la commissione guidata da Lord Falconer, istituita per studiare eventuali modifiche alla legge sul suicidio assistito, dovrebbe consegnare il suo rapporto a novembre. Sulla commissione sono state espresse molte critiche, per la sua tendenza favorevole all’eutanasia.

Già senza modifiche, la normativa attuale desta preoccupazioni su come viene applicata. Nel febbraio 2010 sono state pubblicate nuove linee guida processuali che riducono le possibilità di far scontare la pena a chi aiuta un’altra persona a morire.

Da allora, la polizia ha trasmesso alla Procura del Regno 44 casi con solide prove di assistenza al suicidio, ha riferito il quotidiano Telegraph del 3 settembre. Ma in neanche uno di questi casi l’imputato è stato processato.

L’articolo riporta le parole di Keir Starme, Procuratore generale, secondo cui i suicidi assistiti sarebbero in aumento, in seguito all’attuazione delle nuove linee guida.

Una delle persone che è sfuggita al processo è Janet Grieves, che avrebbe aiutato Douglas Sinclair a porre fine alla sua vita.

Lei l’avrebbe aiutato a preparare il suo viaggio in Svizzera, dove poi, nella clinica Dignitas, Sinclair ha posto fine alla sua vita. Dopo un lungo interrogatorio della polizia, Grieves ha appreso che non sarebbe stata processata, secondo quanto riferito il 30 maggio dal quotidiano Times.

Un recente caso in Scozia dimostra che il problema non è confinato all’Inghilterra. L’attore Stuart Mungall, lo scorso dicembre ha soffocato sua moglie Joan, malata terminale, ma ora è libero, secondo quanto riferito dal quotidiano Scottish Herald il 24 settembre.

A Mungall è stata comminata una sentenza a 12 mesi di reclusione, con la sospensione della pena. Alcuni testimoni hanno dichiarato che Mungall soffriva di depressione al tempo in cui ha ucciso la moglie.

Secondo il procuratore, Mark Dennis QC, il caso va ben al di là del suicidio assistito perché la moglie dell’imputato non aveva chiesto di morire.

La sofferenza

In Olanda, Paese pioniere della legalizzazione dell’eutanasia, vengono avanzate proposte di modifica alla normativa.

L’associazione dei medici olandesi KNMG ha pubblicato un documento in cui propone un ampliamento dei criteri entro i quali è consentita l’eutanasia, secondo quanto riferito da Radio Netherlands Worldwide l’8 settembre.

In base alla legge del 2002, l’eutanasia è permessa solo se il paziente soffre di dolori continui e insopportabili. Secondo la KNMG, anche fattori sociali, malattie non terminali e meri disturbi dovrebbero consentire alla persona che ne è affetta di richiedere l’eutanasia.

La responsabile dell’organizzazione, Arie Nieuwenhuijzen Kruseman, ha ammesso che la valutazione di questi ulteriori criteri non è facile. “Effettivamente è possibile che lo stesso insieme di fattori potrebbe essere sentito come una sofferenza continua e insopportabile da un paziente, e tollerabile da un altro”, ha affermato, secondo Radio Netherlands.

Il rapporto afferma inoltre che i medici hanno l’obbligo di valutare seriamente le richieste di eutanasia. Se un medico non vuole dare seguito alla richiesta, allora, oltre a dover dare esaustiva spiegazione del suo rifiuto, deve indirizzare il richiedente a un altro medico.

Ammorbidire i criteri che delimitano il suicidio assistito significa anche rischiare di avere più casi come quello di Nan Maitland: si tratta di una donna non malata terminale, che ha deciso, all’età di 84 anni, di porre fine alla sua vita, secondo quanto riferito dal quotidiano Times il 3 aprile.

Secondo l’articolo, l’anziana donna voleva semplicemente evitare “il lungo periodo di declino” dell’invecchiamento. Come Douglas Sinclair, anche lei è andata a morire alla clinica Dignitas in Svizzera.

“Ogni modifica della legge eserciterebbe pressioni su persone vulnerabili, a porre fine alla loro vita, per non pesare sui propri cari, su chi si prende cura di loro o sullo Stato”, ha detto al Times il dottor Peter Saunders di Care Not Killing.

Trapianti

Ulteriori preoccupazioni sul suicidio assistito sono state sollevate dal fatto che in alcuni casi, ai pazienti che scelgono questa strada vengono espiantati gli organi per essere usati per i trapianti. Secondo il comunicato stampa del 10 giugno di Pabst Science Publishers, quattro trapianti di polmone sono stati effettuati in Belgio nel periodo dal 2007 al 2009, tratti da persone sottoposte a eutanasia.

La notizia è stata pubblicata in un servizio apparso sulla rivista Applied Cardiopulmonary Pathophysiology.

Secondo il quotidiano Telegraph di Londra, del 14 giugno, lo studio rivela che in Belgio circa il 23,5% dei donatori dei trapianti di polmone e il 2,8% dei donatori dei trapianti di cuore sono morti per eutanasia.

Secondo il Telegraph, il dottor Peter Saunders si è detto preoccupato per il modo in cui questo è stato riferito. Del resto – a suo avviso – la metà dei casi di eutanasia in Belgio sono involontari.

Qualche notizia positiva è invece pervenuta dall’Inghilterra, dove un tribunale ha negato la rimozione del sostegno alla vita di M., una donna con danni cerebrali, secondo il quotidiano Independent del 29 settembre.

Essendo parzialmente cosciente dell’ambiente e capace di rispondere, il giudice Baker ha deciso che nel suo caso dovesse prevalere il principio della preservazione della vita.

Questo principio, tuttavia, non è inviolabile, come ha osservato la BBC nel suo servizio pubblicato il giorno seguente. Il giudice ha anche detto che, nel caso in cui il paziente dovesse avere un infarto, deve prevalere l’attuale ordine di “non rianimare”.

Spesso, casi come quello di M. sono usati per indirizzare l’opinione pubblica verso l’eutanasia. Ma molte persone che soffrono di gravi problemi di salute non hanno il desiderio di porre fine alla propria vita prematuramente.

Secondo uno studio pubblicato sul British Medical Journal qualche mese fa, 47 su 65 pazienti affetti dalla sindrome del chiavistello (locked-in syndrome) si sono detti felici, ha riferito Associated Press il 23 febbraio.

Le persone affette da questa sindrome, provocata da un grave danno cerebrale, sono paralizzate ma possono comunicare muovendo gli occhi.

Lo studio è stato svolto sotto la direzione del dottor Steven Laureys dell’ospedale sell’Università di Liegi. Agli intervistati, tutti membri dell’associazione francese per la sindrome locked-in, è stato chiesto della loro storia clinica, del loro stato emotivo e della loro visione dell’eutanasia.

Adattarsi

Laureys ha detto che i risultati di questo studio dovrebbero cambiare non solo il modo di trattare i pazienti che soffrono di questa sindrome, ma anche il nostro atteggiamento verso l’eutanasia. Le richieste di eutanasia dovrebbero essere accolte con simpatia, ma non attuate, finché la condizione dei pazienti non si sia stabilizzata.

Inoltre – ha osservato – più passa il tempo, per le persone affette dalla sindrome del chiavistello, e più tali persone si dicono co
ntente. Questo significa che molti riescono ad adattarsi alla loro forma estrema di disabilità.

Una toccante testimonianza personale a sostegno di questa posizione è stata pubblicata su Irish Times del 12 aprile. Simon Fitzmaurice, affetto da una malattia del motoneurone, è stato portato all’ospedale dopo la comparsa di gravi problemi respiratori.

Il personale medico gli ha riferito che l’ospedale non avrebbe coperto la respirazione artificiale a domicilio. Quindi gli è stato detto: “è ora di fare la dura scelta”.

Uno dei medici, il neurologo Ronan Walsh, gli ha chiesto perché avrebbe voluto continuare a vivere in una condizione che sarebbe solo peggiorata con la diffusione della paralisi in tutto il suo corpo.

“Per loro è inconcepibile che io voglia continuare a vivere”, aveva scritto Fitzmaurice, aggiungendo: “Ma non per me”. Il suo amore per la vita è integro e brillante, secondo quanto ha dichiarato.

Quando ha scritto quelle frasi si trovava in ospedale, mentre i suoi familiari scoprivano che la respirazione artificiale a domicilio era invece coperta dalla loro assicurazione sanitaria. In pochi giorni è potuto tornare a casa. Grazie a Dio la sua vita si è salvata, ma se la lobby pro-eutanasia dovesse ottenere ciò che vuole, molti come lui non avranno le stesse possibilità di vivere.

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ZENIT Staff

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