Come aprire con l'amore la porta della fede

Vangelo della XXX Domenica del Tempo Ordinario

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di padre Angelo del Favero*

Mt 22,34-40
In quel tempo,i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: “Maestro, nella Legge, qual’é il grande comandamento?”. Gli rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”.

Es 22,20-26
Così dice il Signore: “Non molesterai il forestiero, né lo opprimerai,…non maltratterai la vedova o l’orfano. (…) non ti comporterai da usuraio..””.

Caritas Christi urget nos: è l’amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare”, scrive Benedetto XVI nella Lettera Apostolica “Porta fidei” (n. 7) annunciando l’indizione di un “Anno della fede”: dall’11 ottobre 2012 al 24 novembre 2013.

E’ molto bella l’espressione “porta della fede” (At 14,27): da’ l’idea di un accesso facile, aperto a tutti; suona come un dolce invito ad entrare nel mondo misterioso e affascinante della fede, il mondo degli amici e dei figli di Dio. La porta è sempre aperta, dice il Papa, e per varcarne la soglia basta che “il cuore si lasci plasmare dalla grazia che trasforma” (n. 1).

Una grazia che spesso dipende dagli annunciatori del Vangelo, specialmente se la loro testimonianza è confermata da quella personale trasformazione interiore che la fede in Gesù opera sempre.

Ciò accade, scrive il Papa, quando la fede “è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e gioia” (n. 7).

Questa significativa sottolineatura dell’esperienza, non è in contraddizione con la natura “oscura” della fede, ma ne è anzi parte essenziale. Infatti “non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta” (n. 3).

Come posso convincere l’affamato della bontà del cibo che gli offro, se non ne ho per primo gustato lo squisito sapore? Come posso testimoniare la verità della luce di Cristo in questo mondo di tenebra, se il mio stesso volto non la irradia? Con quale credibilità parlerò dell’amore di Dio per noi, se non lo mostrerò concretamente con il mio comportamento? (“non molesterai il forestiero, né l’opprimerai,..non maltratterai la vedova e l’orfano..” – Es 22,20s).

In questo nostro tempo, come duemila anni fa,“l’uomo può sentire il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo, per ascoltare Gesù che invita a credere in Lui e attingere alla sua sorgente, zampillante di acqua viva”(n. 3); si tratta di un bisogno vitale come l’acqua, anche se spesso non è avvertito.

La nuova evangelizzazione deve avvicinare il pozzo delle Scritture (esso è Colui che vi sta sopra) agli assetati di oggi la cui anima sta morendo disidratata nel deserto di una società e di una cultura che li illude di poter vivere come se Dio non ci fosse.

L’evangelista Luca racconta che Gesù inviò in missione i suoi discepoli “a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stavano per recarsi a dire: è vicino il regno di Dio” (Lc 10,1s).

Che significato possiamo dare alla precisazione: “a due a due”?

Lo suggerisce la Lettera di Benedetto con l’affermazione che se non hanno fatto l’esperienza profonda della presenza e dell’amore di Gesù, i nuovi evangelizzatori saranno come un sale insipido, o una lampada nascosta che non illumina nessuno.

Solo la testimonianza “esperta” dell’amore di Dio potrà essere credibile ed efficace, appunto perché data “a due a due” dalle due presenze che parlano in colui che è innamorato: il suo cuore invaghito e l’oggetto del suo amore.

Tutto ciò fa parte anche dell’annuncio del Vangelo di oggi: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore..amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono la Legge e i profeti” (Mt 22,37.40).

Da questi due comandamenti dipende la nuova evangelizzazione, perché se gli evangelizzatori non diventeranno “nuovi” nel cuore per l’esperienza trasformante del fuoco dell’amore di Dio acceso in loro, l’annuncio sarà insipido e spento.

Perciò, la necessità di recarsi da Gesù al pozzo riguarda anzitutto i nuovi evangelizzatori.

E’ in primo luogo a loro che Gesù rivolge queste parole: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva” (Gv 4,10).

Attinge e beve quest’acqua viva chi prega, poiché pregare significa incontrare Dio per mezzo del suo Figlio unigenito fatto uomo.

Ma come deve essere la preghiera per possedere realmente tale potere dissetante, vivificante e trasformante, e permettere così agli evangelizzatori quella testimonianza dell’amore di Dio che potrà aprire la porta della fede a coloro cui sono inviati?

Ascoltiamo la risposta dal beato Giovanni Paolo II: “Sì, le nostre comunità cristiane devono diventare autentiche scuole di preghiera, dove l’incontro con Cristo non si esprima soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, ardore di affetti fino ad un vero “invaghimento del cuore”. Una preghiera intensa, dunque, che tuttavia non distoglie dall’impegno nella storia: aprendo il cuore all’amore di Dio, lo apre anche all’amore dei fratelli e rende capaci di costruire la storia secondo il disegno di Dio” (Lettera Apostolica Novo millennio ineunte, n. 33).

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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