Quo vadis, Eurolandia?

La Grecia rimane ancora lontana dagli obiettivi concordati con l’UE e l’FMI

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di Paul De Maeyer

ROMA, martedì, 4 ottobre 2011 (ZENIT.org).- I 17 Paesi membri della zona euro hanno potuto tirare un piccolo ma breve sospiro di sollievo: nei giorni scorsi, due altri Paesi hanno ratificato infatti il potenziamento del cosiddetto “fondo salva-Stati” (noto con l’acronimo inglese EFSF). Giovedì 29 settembre, il Bundestag (cioè la Camera bassa del Parlamento tedesco) ha approvato con una netta maggioranza – 523 voti contro 85 e 3 astensioni – l’ampliamento del fondo, che ha incassato il giorno successivo, venerdì 30 settembre, anche il “sì” da parte del Bundesrat (la seconda Camera, quella delle regioni o “Länder”). Sempre venerdì, anche il Parlamento austriaco ha dato il via libera, facendo salire il numero dei Paesi che hanno ratificato la riforma a 14.

L’EFSF, cioè l’European Financial Stability Facility, è il meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria creato nel maggio 2010 per fornire aiuto ai Paesi membri in difficoltà, come Grecia e Portogallo, e mantenere la stabilità all’interno della zona euro. La società con sede a Lussemburgo, che sarà operativa fino all’estate 2013 (quando dovrebbe iniziare a funzionare un altro meccanismo, l’ESM o European Stability Mechanism), disponeva inizialmente di un tetto massimo di garanzie concesse dai singoli Stati membri di 440 miliardi di euro e poteva emettere materialmente bond con rating tripla A fino a circa 250 miliardi di euro. Il potenziamento dell’EFSF, deciso quest’estate, farà lievitare queste garanzie a 780 miliardi di euro, permettendo una capacità effettiva di intervento di 440 miliardi di euro.

Soprattutto in Germania la proposta di rafforzare il fondo salva-Stati è stata accolta con poco entusiasmo. La popolazione della prima economia europea, che ha “sacrificato” il marco per la moneta unica, si sta rivelando sempre meno disposta a pagare per gli errori o presunti sprechi degli altri. Il potenziamento dell’EFSF comporta infatti rischiosi obblighi per la Germania, che vede aumentare il volume delle garanzie fornite da Berlino da 123 a 211 miliardi di euro.

Mentre le due grandi formazioni dell’opposizione nel Bundestag, il Partito socialdemocratico (SPD) e i Verdi (Die Grünen), appoggiavano il rafforzamento del fondo europeo, ciò che temeva la cancelliera democristiana Angela Merkel era una ribellione all’interno del suo partito, il CDU, e specialmente nel partito gemello bavarese, il CSU, il cui leader e ministro-presidente della Baviera, Horst Seehofer, era molto critico.

Alla fine, la cancelliera ha superato ampiamente la maggioranza necessaria di 311 voti favorevoli nel Bundestag, che conta 620 seggi. La Merkel è anche riuscita a mantenere la cosiddetta “maggioranza del cancelliere” (Kanzlermehrheit), ottenendo 315 voti favorevoli tra le fila dei 330 deputati della sua coalizione di democristiani (CDU/CSU) e liberali (FDP), ed evitando una crisi di governo. Uno dei 15 dissidenti, Wolfgang Bosbach (CDU), è stato così aspramente criticato dal suo collega Ronald Pofalla, che il cattolico convinto non esclude di ritirarsi dalla politica nel 2013, come ha affermato in un’intervista alla Domradio (30 settembre).

Un altro franco tiratore è stato il liberale Frank Schäffler, il primo deputato della maggioranza ad aver parlato apertamente di una “insolvenza controllata della Grecia”, come ricorda il sito Linkiesta (28 settembre). “La Grecia non ha la benché minima possibilità di uscire dalla crisi attuale, restando nell’euro. Il problema della Grecia è un problema di competitività. E’ nell’interesse tanto dell’Europa come della Grecia, se il Paese esce dall’euro e svaluta la sua moneta per rilanciare l’economia”, ha detto il parlamentare in un’intervista al sito. Secondo Schäffler, ampliare il fondo peggiorerà solo la situazione della Grecia.

Con il via libera al potenziamento dell’EFSF, la Germania ha scelto di continuare il suo impegno a favore dell’Europa unita. Ma la domanda è se la “ricapitalizzazione” dell’EFSF basterà. La risposta sembra negativa. “Il passo che stiamo facendo ora non sarà certamente sufficiente”, ha detto Kurt Lauk (CDU) al Wall Street Journal (30 settembre). “Il thriller dell’euro avrà un seguito”, ha avvertito. Infatti, 440 miliardi di euro non basteranno se l’Europa fosse costretta ad aiutare Paesi più grandi, come ad esempio l’Italia, la terza economia europea.

Tutto indica che la Germania si opporrà ad un nuovo incremento del fondo salva-Stati, una mossa che d’altronde metterebbe a rischio il suo rating tripla A. La nota agenzia di rating Standard & Poor ha avvertito infatti che la Germania potrebbe essere declassata in caso di nuove iniezioni nell’EFSF. “Una prospettiva agghiacciante per un Paese dove un rating AAA è considerato importante quasi come il diritto di voto”, ha commentato l’Economist (28 settembre).

<p>”Non vogliamo che debiti nazionali, come quelli della Grecia, diventino debiti europei”. Ha ribadito Horst Seehofer in un’intervista al Süddeutsche Zeitung (28 settembre), nella quale ha respinto eventuali ulteriori potenziamenti dell’EFSF. Il suo messaggio alla Merkel è stato molto netto. “Fin qui, non oltre”, ha avvertito il politico democristiano.

Nel frattempo la posizione della Grecia è diventata sempre più insostenibile. Mentre la cosiddetta “troika” – composta da rappresentanti dell’Unione europea (UE), della Banca centrale europea (BCE) e del Fondo monetario internazionale (FMI) – è arrivata questo fine settimana ad Atene per vedere se ci sono i presupposti per versare la sesta “tranche” di aiuti (circa 8 miliardi di euro; la data prevista per la decisione, cioè il 13 ottobre prossimo, è slittata), dalla capitale greca giungono notizie poco incoraggianti.

Secondo le ultime proiezioni, con l’8,5% del PIL il deficit pubblico greco sarà quest’anno superiore al “target” del 7,6% concordato con l’UE e con l’FMI per gli aiuti. Inoltre, come ricorda Reuters (2 ottobre), anche nel 2012 Atene non riuscirà a centrare l’obiettivo di un rapporto deficit/PIL del 6,5%. Si aggirerà infatti attorno al 6,8%.

Anche se il governo del primo ministro Georgios Papandreou continua a prendere misure molto drastiche, come la decisione di mandare “in riserva” 30.000 dipendenti pubblici e di tagliare del 20% le pensioni che superano i 1.200 euro mensili, molti esperti ritengono che l’insolvenza o “default” del Paese sia inevitabile. “La Grecia? E’ già fallita”, così sostiene Nicholas Economides, consulente finanziario del governo greco, citato dal sito Lettera 43 (29 settembre). Secondo Economides, che insegna negli USA, i piani dell’UE “servono soprattutto a salvare gli istituti bancari europei, non la Grecia”.

“L’euro è praticamente morto”, ha scritto il capo dei Global Securities Services del gruppo UniCredit ed ex presidente della Borsa ungherese, Attila Szalay-Berzeviczy, in un articolo pubblicato su Index.hu e citato da Mauro Bottarelli (Il Sussidiario.net, 30 settembre). “L’euro è ben al di là della possibilità di essere salvato, l’unica domanda che rimane ancora aperta è per quanti giorni l’azione di retroguardia e senza speranza dei governi europei e della BCE potrà tenere su gli spiriti della Grecia”, continua Szalay-Berzeviczy. Per l’autore, un default greco innescherebbe un terremoto di magnitudo 10 in tutta l’Europa, creando un panico che “potrebbe portare alla distruzione dell’area euro”.

Un default e successiva uscita della Grecia dalla zona euro sarebbe infatti una botta tremenda. Sarebbe – come ha avvertito il capo economista di Citigroup, Willem Buiter – “un disastro finanziario ed economico non solo per la Grecia, ma anche per i 16 Paesi membri rimanenti della zona euro” (The Wall Street Journal, 30 settembre). Secondo i calcoli del ministro delle Finanze della Polonia, Jacek Rostowski, il cui Paese detiene attualmente la presidenza di turno dell’UE, il costo dell’esclusione di un Paese dalla zona euro sarebbe pari al 25% del PIL nel primo anno, il 10% negli anni successivi, e farebbe balzare il tasso medio di disoccupazione
in Eurolandia al 15%.

Gli stessi greci temono il peggio. Secondo un sondaggio pubblicato sul quotidiano To Vima, il 67% della popolazione prevede l’insolvenza della Grecia. Mentre il 70% non vuole che Atene esca dalla moneta unica in caso di default, appena un quinto auspica un ritorno alla vecchia moneta, cioè la dracma. Come rivela sempre lo Spiegel Online (2 ottobre), secondo un altro sondaggio, pubblicato questa volta dal giornale scandalistico Ethnos, il 57% dei greci vuole soprattutto la pace sociale e il 50% circa chiede un governo di unità nazionale.

La questione del salvataggio della Grecia pone l’Europa davanti ad una enorme sfida. Mentre alcuni chiedono “più Europa” e parlano apertamente degli Stati Uniti d’Europa, come ha fatto di recente l’ex ministro degli Esteri tedesco ed esponente dei Verdi, Joschka Fischer, altri – fra cui Seehofer – non ne vogliono sapere. Soprattutto in Gran Bretagna, i guai dell’euro sono una “occasione d’oro” per gli euroscettici, come dimostra un incontro organizzato lo scorso mese – guarda caso – nella Thatcher Room a Westminster, a cui hanno partecipato più di 100 parlamentari del Partito conservatore (The Economist, 15 settembre).

I problemi della zona euro mettono in risalto i limiti del processo decisionale all’interno dell’UE. Per concludere la ratifica del potenziamento dell’EFSF, che dovrebbe avvenire entro la fine di questo mese, mancano solo il “sì” di Malta, Olanda e Slovacchia. Proprio l’approvazione da parte di Bratislava è molto dubbiosa. Non c’è una maggioranza nel parlamento slovacco che sostiene la mossa. “Voteremo in blocco contro l’EFSF”, ha detto il leader del piccolo partito euroscettico Libertà e Solidarietà (SaS), Richard Sulik, che siede nella coalizione di governo guidata dal primo ministro Iveta Radicova, alla Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung (2 ottobre).

La crisi mette dunque a dura prova il senso di solidarietà all’interno della “casa Europa”. “La Grecia è in bancarotta”, ha dichiarato Michael Fuchs, esperto in economia della CDU, alla Rheinische Post (3 ottobre). “Probabilmente non possiamo fare altro che condonare ad Atene almeno il 50% del suo debito”, ha osservato il presidente dell’influente circolo parlamentare Mittelstand, che rappresenta il comparto delle piccole e medie imprese, ritenute la spina dorsale dell’economia tedesca.

Di frante al dramma che sta vivendo la Grecia, conviene ricordare alcune parole e riflessioni dedicate all’economia e alla finanza da Papa Benedetto XVI nella lettere enciclica “Caritas in veritate” (29 giugno 2009), nella quale ha sottolineato ad esempio che “ogni decisione economica ha una conseguenza di carattere morale” (37) e ha invitato gli operatori della finanza a “riscoprire il fondamento propriamente etico della loro attività” (65). “Retta intenzione, trasparenza e ricerca dei buoni risultato sono compatibili e non devono mai essere disgiunti”, ha ribadito il Pontefice.

In volo per Madrid, Benedetto XVI è tornato quest’estate sul tema dell’attività economica. “L’economia non è da misurare secondo il massimo del profitto, ma secondo il bene di tutti”, ha spiegato il Papa ai giornalisti a bordo dell’aereo, ricordando che questo “include responsabilità per l’altro”, ossia “responsabilità per la propria Nazione e non solo per se stessi; responsabilità per il mondo – anche una Nazione non è isolata, anche l’Europa non è isolata” (Radio Vaticana, 18 agosto). Parole che forse possono ispirare i politici alle prese con le conseguenze della crisi e calmare le borse, in fibrillazione per i timori di un default greco.

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ZENIT Staff

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