AQUILEIA, domenica, 8 maggio 2011 (ZENIT.org).- Nella società di oggi, segnata dalla crisi e che presenta innumerevoli sfide, i cristiani sono chiamati a rendere testimonianza di ciò in cui credono e a impegnarsi per portare i valori che li animano in ogni ambito, anche e soprattutto in politica.

Papa Benedetto XVI lo ha affermato questo sabato pomeriggio, in occasione della sua visita pastorale alle Chiese del Nordest, nel discorso che ha rivolto ai rappresentanti ecclesiali riuniti nella Basilica di Aquileia.

Chiedendosi “come annunciare Gesù Cristo, come comunicare il Vangelo e come educare alla fede oggi”, il Pontefice ha indicato che “la missione prioritaria” che Dio affida oggi alle Chiese del Nordest “è quella di testimoniare l’amore di Dio per l’uomo”, in primo luogo “con le opere dell’amore e le scelte di vita in favore delle persone concrete, a partire da quelle più deboli, fragili, indifese, non autosufficienti, come i poveri, gli anziani, i malati, i disabili”.

Nel contesto di una “ricerca spesso esasperata del benessere economico” e di “grave crisi economica e finanziaria”, ha aggiunto, i fedeli sono chiamati a “promuovere il senso cristiano della vita, mediante l’annuncio esplicito del Vangelo, portato con delicata fierezza e con profonda gioia nei vari ambiti dell’esistenza quotidiana”.

“Non rinnegate nulla del Vangelo in cui credete – ha chiesto –, ma state in mezzo agli altri uomini con simpatia, comunicando nel vostro stesso stile di vita quell’umanesimo che affonda le sue radici nel Cristianesimo, tesi a costruire insieme a tutti gli uomini di buona volontà una 'città' più umana, più giusta e solidale”.

Da questo punto di vista, ha raccomandato alle Chiese locali “l’impegno a suscitare una nuova generazione di uomini e donne capaci di assumersi responsabilità dirette nei vari ambiti del sociale, in modo particolare in quello politico”, che “ha più che mai bisogno di vedere persone, soprattutto giovani, capaci di edificare una 'vita buona' a favore e al servizio di tutti”.

“A questo impegno infatti non possono sottrarsi i cristiani, che sono certo pellegrini verso il Cielo, ma che già vivono quaggiù un anticipo di eternità”, ha commentato.

Sequela di Cristo

Rivolgendosi ai rappresentanti delle 15 Diocesi del Triveneto che si preparano a celebrare, nel 2012, il secondo Convegno ecclesiale di Aquileia, il Papa ha affermato che il “convenire ecclesiale” è importante per permettere a tutte le comunità cristiane di “condividere anzitutto l’esperienza originaria del Cristianesimo, quella dell’incontro personale con Gesù, che svela pienamente ad ogni uomo e ad ogni donna il significato e la direzione del cammino nella vita e nella storia”.

Riunirsi ad Aquileia, da dove “sono germinate le Chiese del Nordest dell’Italia, ma anche le Chiese della Slovenia e dell’Austria e alcune Chiese della Croazia e della Baviera e persino dell’Ungheria”, è “un significativo ritorno alle 'radici' per riscoprirsi 'pietre' vive dell’edificio spirituale che ha le sue fondamenta in Cristo”.

Il Nordest dell’Italia, ha aggiunto il Pontefice, è “testimone ed erede di una storia ricca di fede”. “L’esperienza cristiana ha forgiato un popolo affabile, laborioso, tenace, solidale”, “segnato in profondità dal Vangelo di Cristo, pur nella pluralità delle sue identità culturali”.

A questo proposito, ha citato come caratteristiche “l’apertura alla dimensione trascendente della vita, nonostante il materialismo diffuso; un senso religioso di fondo, condiviso dalla quasi totalità della popolazione; l’attaccamento alle tradizioni religiose; il rinnovamento dei percorsi di iniziazione cristiana; le molteplici espressioni di fede, di carità e di cultura; le manifestazioni della religiosità popolare; il senso della solidarietà e il volontariato”.

“Custodite, rafforzate, vivete questa preziosa eredità!”, ha chiesto.

Anche nel primo discorso pronunciato durante questa visita, appena giunto ad Aquileia, il Papa ha invitato a procedere sempre nella sequela di Gesù.

“Solo da Cristo, infatti, l’umanità può ricevere speranza e futuro; solo da Lui può attingere il significato e la forza del perdono, della giustizia, della pace”.

“Tenete sempre vive, con coraggio, la fede e le opere delle vostre origini!”, ha esclamato il Pontefice. “Siate nelle vostre Chiese e in seno alla società 'quasi beatorum chorus', come affermava Girolamo del clero di Aquileia, per l’unità della fede, lo studio della Parola, l’amore fraterno, l’armonia gioiosa e pluriforme della testimonianza ecclesiale”.

Allo stesso modo, ha invitato a farsi “sempre di nuovo discepoli del Vangelo, per tradurlo in fervore spirituale, chiarezza di fede, sincera carità, pronta sensibilità per i poveri”.

“Siate assidui alla 'mangiatoia'”, “cioè all’altare, dove il nutrimento è Cristo stesso, Pane di vita, forza nelle persecuzioni, alimento che rincuora in ogni sfiducia e debolezza, cibo del coraggio e dell’ardore cristiano”.


Benedetto XVI incontra a Venezia il mondo della cultura e dell'economia

VENEZIA, domenica, 8 maggio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso pronunciato questa domenica pomeriggio da Benedetto XVI nella Basilica di Santa Maria della Salute di Venezia incontrando i rappresentanti del mondo culturale, artistico e socioeconomico della città.

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Cari amici,

sono lieto di salutarvi cordialmente, quali rappresentanti del mondo della cultura, dell’arte e dell’economia di Venezia e del suo territorio. Vi ringrazio per la vostra presenza e la vostra simpatia. Esprimo la mia riconoscenza al Patriarca e al Rettore che, a nome dello Studium Generale Marcianum, si è fatto interprete dei sentimenti di tutti voi e ha introdotto questo nostro incontro, l’ultimo della mia intensa visita, iniziata ieri ad Aquileia. Vorrei lasciarvi alcuni spunti molto sintetici, che spero vi saranno utili per la riflessione e per l’impegno comune. Questi spunti li traggo da tre parole che sono metafore suggestive: tre parole legate a Venezia e, in particolare, al luogo in cui ci troviamo: la prima parola è acqua; la seconda è Salute, la terza è Serenissima.

Cominciamo dall’acqua – come appare logico per molti versi. L’acqua è simbolo ambivalente: di vita, ma anche di morte; lo sanno bene le popolazioni colpite da alluvioni e maremoti. Ma l’acqua è anzitutto elemento essenziale per la vita. Venezia è detta la “Città d’acqua”. Anche per voi che vivete a Venezia questa condizione ha un duplice segno, negativo e positivo: comporta molti disagi e, al tempo stesso, un fascino straordinario. L’essere Venezia “città d’acqua” fa pensare ad un celebre sociologo contemporaneo, che ha definito “liquida” la nostra società, e così la cultura europea: una cultura “liquida”, per esprimere la sua “fluidità”, la sua poca stabilità o forse la sua assenza di stabilità, la mutevolezza, l’inconsistenza che a volte sembra caratterizzarla. E qui vorrei inserire la prima proposta: Venezia non come città “liquida” – nel senso appena accennato –, ma come città “della vita e della bellezza”. Certo, è una scelta, ma nella storia bisogna scegliere: l’uomo è libero di interpretare, di dare un senso alla realtà, e proprio in questa libertà consiste la sua grande dignità. Nell’ambito di una città, qualunque essa sia, anche le scelte di carattere amministrativo culturale ed economico dipendono, in fondo, da questo orientamento fondamentale, che possiamo chiamare “politico” nell’accezione più nobile e più alta del termine. Si tratta di scegliere tra una città “liquida”, patria di una cultura che appare sempre più quella del relativo e dell’effimero, e una città che rinnova costantemente la sua bellezza attingendo dalle sorgenti benefiche dell’arte, del sapere, delle relazioni tra gli uomini e tra i popoli.

Veniamo alla seconda parola: “Salute”. Ci troviamo nel “Polo della Salute”: una realtà nuova, che ha però radici antiche. Qui, sulla Punta della Dogana, sorge una delle chiese più celebri di Venezia, opera del Longhena, edificata come voto alla Madonna per la liberazione dalla peste del 1630: Santa Maria della Salute. Accanto ad essa, il celebre architetto costruì il Convento dei Somaschi, diventato poi Seminario Patriarcale. “Unde origo, inde salus“, recita il motto inciso al centro della rotonda maggiore della Basilica, espressione che indica come sia strettamente legata alla Madre di Dio l’origine della Città di Venezia, fondata, secondo la tradizione, il 25 marzo del 421, giorno dell’Annunciazione. E proprio per intercessione di Maria venne la salute, la salvezza dalla peste. Ma riflettendo su questo motto possiamo coglierne anche un significato ancora più profondo e più ampio. Dalla Vergine di Nazaret ha avuto origine Colui che ci dona la “salute”. La “salute” è una realtà onnicomprensiva, integrale: va dallo “stare bene” che ci permette di vivere serenamente una giornata di studio e di lavoro, o di vacanza, fino alla salus animae, da cui dipende il nostro destino eterno. Dio si prende cura di tutto ciò, senza escludere nulla. Si prende cura della nostra salute in senso pieno. Lo dimostra Gesù nel Vangelo: Egli ha guarito malati di ogni genere, ma ha anche liberato gli indemoniati, ha rimesso i peccati, ha risuscitato i morti. Gesù ha rivelato che Dio ama la vita e vuole liberarla da ogni negazione, fino a quella radicale che è il male spirituale, il peccato, radice velenosa che inquina tutto. Per questo, Gesù stesso si può chiamare “Salute” dell’uomo: Salus nostra Dominus Jesus. Gesù salva l’uomo ponendolo nuovamente nella relazione salutare con il Padre nella grazia dello Spirito Santo; lo immerge in questa corrente pura e vivificante che scioglie l’uomo dalle sue “paralisi” fisiche, psichiche e spirituali; lo guarisce dalla durezza di cuore, dalla chiusura egocentrica e gli fa gustare la possibilità di trovare veramente se stesso perdendosi per amore di Dio e del prossimo. Unde origo, inde salus. Questo motto richiama molteplici riferimenti; mi limito a ricordarne uno, la celebre espressione di sant’Ireneo: “Gloria Dei vivens homo, vita autem hominis visio Dei” (Adv. haer. IV, 20, 7). Che si potrebbe parafrasare così: gloria di Dio è la piena salute dell’uomo, e questa consiste nello stare in relazione profonda con Dio. Possiamo dirlo anche con i termini cari al neo-beato Giovanni Paolo II: l’uomo è la via della Chiesa, e il Redentore dell’uomo è Cristo.

Infine, la terza parola: “Serenissima”, il nome della Repubblica Veneta. Un titolo davvero stupendo, si direbbe utopico, rispetto alla realtà terrena, e tuttavia capace di suscitare non solo memorie di glorie passate, ma anche ideali trainanti nella progettazione dell’oggi e del domani, in questa grande regione. “Serenissima” in senso pieno è solamente la Città celeste, la nuova Gerusalemme, che appare al termine della Bibbia, nell’Apocalisse, come una visione meravigliosa (cfr Ap 21,1 – 22,5). Eppure il Cristianesimo concepisce questa Città santa, completamente trasfigurata dalla gloria di Dio, come una meta che muove i cuori degli uomini e spinge i loro passi, che anima l’impegno faticoso e paziente per migliorare la città terrena. Bisogna sempre ricordare a questo proposito le parole del Concilio Vaticano II: “Niente giova all’uomo se guadagna il mondo intero ma perde se stesso. Tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo” (Cost. Gaudium et spes, 39). Noi ascoltiamo queste espressioni in un tempo nel quale si è esaurita la forza delle utopie ideologiche e non solo l’ottimismo è oscurato, ma anche la speranza è in crisi. Non dobbiamo allora dimenticare che i Padri conciliari, che ci hanno lasciato questo insegnamento, avevano vissuto l’epoca delle due guerre mondiali e dei totalitarismi. La loro prospettiva non era certo dettata da un facile ottimismo, ma dalla fede cristiana, che anima la speranza al tempo stesso grande e paziente, aperta sul futuro e attenta alle situazioni storiche. In questa stessa prospettiva il nome “Serenissima” ci parla di una civiltà della pace, fondata sul mutuo rispetto, sulla reciproca conoscenza, sulle relazioni di amicizia. Venezia ha una lunga storia e un ricco patrimonio umano, spirituale e artistico per essere capace anche oggi di offrire un prezioso contributo nell’aiutare gli uomini a credere in un futuro migliore e ad impegnarsi a costruirlo. Ma per questo non deve avere paura di un altro elemento emblematico, contenuto nello stemma di San Marco: il Vangelo. Il Vangelo è la più grande forza di trasformazione del mondo, ma non è un’utopia, né un’ideologia. Le prime generazioni cristiane lo chiamavano piuttosto la “via”, cioè il modo di vivere che Cristo ha praticato per primo e che ci invita a seguire. Alla città “serenissima” si giunge per questa via, che è la via
della carità nella verità, ben sapendo, come ci ricorda ancora il Concilio, che non bisogna “camminare sulla strada della carità solamente nelle grandi cose, bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita” e che sull’esempio di Cristo “è necessario anche portare la croce; quella che dalla carne e dal mondo viene messa sulle spalle di quanti cercano la pace e la giustizia” (ivi, 38).

Ecco, cari amici, gli spunti di riflessione che volevo condividere con voi. Per me è stata una gioia concludere la mia visita in vostra compagnia. Ringrazio nuovamente il Cardinale Patriarca, l’Ausiliare e tutti i collaboratori per la magnifica accoglienza. Saluto la Comunità ebraica di Venezia – che ha antiche radici ed è una presenza importante nel tessuto cittadino – con il suo Presidente, Prof. Amos Luzzatto. Un pensiero anche ai musulmani che vivono in questa città. Da questo luogo così significativo rivolgo il mio cordiale saluto a Venezia, alla Chiesa qui pellegrina e a tutte le Diocesi del Triveneto, lasciando, come pegno del mio perenne ricordo, la Benedizione Apostolica.

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