Il caso di padre Karadima mostra il ruolo della giustizia ecclesiastica

Il Vaticano emette una dichiarazione di colpevolezza

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di Jesús Colina

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 21 febbraio 2011 (ZENIT.org).- La risoluzione della Congregazione per la Dottrina della Fede di fronte alle accuse di abusi sessuali contro il sacerdote Fernando Karadima Fariña, annunciata dall’Arcivescovo di Santiago del Cile, mostra il ruolo e la necessità della giustizia ecclesiastica.

Monsignor Ricardo Ezzati Andrello, S.D.B, ha convocato questo sabato una conferenza stampa per annunciare che l’inchiesta realizzata presso la Santa Sede si conclude con la dichiarazione di colpevolezza del sacerdote, di 80 anni, ex parroco di El Bosque, nella capitale cilena, che ha avuto un ruolo decisivo nella formazione dell’Unione Sacerdotale del Sacro Cuore di Gesù, sorta in quella stessa parrocchia.

La sentenza

Il pastore di Santiago ha rivelato che la Congregazione per la Dottrina della Fede ha “dichiarato colpevole” padre Karadima dei crimini “di abuso di minore nei confronti di più vittime”, secondo quanto stabilito dal motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela all’articolo 6 § 1, 1º.

L’inchiesta vaticana considera inoltre il sacerdote colpevole di crimine contro il sesto comandamento commesso con violenza.

Il Codice di Diritto Canonico, al canone 1395 § 2, stabilisce che il chierico che commetta un crimine contro il sesto comandamento, “se invero il delitto sia stato compiuto con violenza, o minacce, o pubblicamente, o con un minore al di sotto dei 16 anni, sia punito con giuste pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, se il caso lo comporti”.

La Congregazione per la Dottrina della Fede sostiene inoltre che il sacerdote è colpevole “di abuso di ministero”, secondo quanto indicato dal canone 1389 del Codice di Diritto Canonico, che indica che “chi abusa della potestà ecclesiastica o dell’incarico sia punito a seconda della gravità dell’atto o dell’omissione, non escluso con la privazione dell’ufficio”.

Il dicastero vaticano ha avviato il processo penale amministrativo nel luglio 2010 e ha concluso con l’emanazione di un decreto, inviato dal Prefetto, il Cardinale William J. Levada, e notificato all’Arcivescovo di Santiago il 16 gennaio 2011.

Le pene

Il decreto stabilisce che, considerando l’età e lo stato di salute del sacerdote, “si ritiene opportuno imporre al colpevole di ritirarsi a una vita di preghiera e penitenza, anche in riparazione delle vittime dei suoi abusi”.

All’Arcivescovo di Santiago, secondo la Congregazione per la Dottrina della Fede, spetta di “valutare il luogo di residenza, dentro o fuori la Diocesi, per evitare in ogni modo il contatto con i suoi ex parrocchiani, con membri dell’Unione Sacerdotale o con persone che si siano rivolte spiritualmente a lui”.

Si impone anche “la pena espiatoria della proibizione perpetua dell’esercizio pubblico di qualsiasi atto di ministero, in particolare della confessione e della direzione spirituale di ogni categoria di persone”, ha reso noto monsignor Ezzati, nonché “il divieto di assumere qualsivoglia incarico nell’Unione Sacerdotale del Sacro Cuore”.

Giustizia ecclesiastica

Il caso di padre Karadima è servito per mostrare all’opinione pubblica la necessità della giustizia ecclesiastica, visto che per la Giustizia cilena non è stato possibile finora giungere a una sentenza su questo caso.

L’Ottavo Tribunale di Garanzia di Santiago ha infatti stabilito che l’inchiesta contro il sacerdote Fernando Karadima per presunti abusi sessuali dovrà essere rinviata all’antica giustizia penale, visto che i fatti su cui indaga il Pubblico Ministro Xavier Armendáriz sono stati commessi prima del 2005, anno di inizio della riforma processuale penale a Santiago.

Negli ultimi anni, inoltre, si sono verificati spesso casi di sacerdoti assolti da accuse di abusi contro minori perché i crimini erano caduti in prescrizione (in generale, i tempi di prescrizione della giustizia ecclesiastica sono molto più ampi di quelli delle legislazioni di buona parte dei Paesi).

Dall’altro lato, una sentenza penale non impedirebbe necessariamente a un sacerdote di continuare a esercitare il suo ministero, cosa che la Chiesa in molti casi non può permettere.

I tristi casi di sacerdoti colpevoli di abusi sessuali sono serviti negli ultimi anni a far sì che la comunità cattolica comprenda la necessità che la Chiesa intraprenda processi giusti che assicurino le dovute pene ecclesiastiche ai colpevoli di questi crimini.

La Santa Sede, allo stesso tempo, ha potuto mostrare come i processi ecclesiastici non sostituiscano i giudizi penali, sottolineando la necessità che gli autori di questi crimini siano denunciati alle autorità giudiziarie competenti.

Padre Karadima si dichiara innocente

Tutto ciò avviene nel rispetto di ciascuna delle parti coinvolte, come nel caso di padre Karadima, che ricevendo il 17 gennaio da monsignor Ezzati la dichiarazione di colpevolezza da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede si è proclamato innocente.

“Gli ho comunicato anche che, secondo il Codice di Diritto Canonico, aveva 60 giorni per presentare ricorso contro questa decisione, cosa che sta facendo”, ha spiegato il presule.

Nel frattempo, monsignor Ezzati si è messo in contatto con le vittime di padre Karadima per riferire loro la decisione della Santa Sede.

La conferenza stampa dell’Arcivescovo si è conclusa con questa confessione: “Mi assiste una serena speranza perché, come dice Gesù, ‘la verità di farà liberi’. Credo che non dobbiamo mai rinunciare a cercare questa verità”.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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