di don Marcello Stanzione
ROMA, lunedì, 21 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Nel ventesimo secolo nessun artista ha dedicato tanta attenzione agli angeli quanto Marc Chagall. Moshe Zacharovix Sagal (questo il suo vero nome) nasce a Vitebsk (Bielorussia) nel 1887, da una modesta famiglia di cultura hassidico-ebraica, cioè appartenente al movimento mistico che privilegia il rapporto diretto con Dio e la meraviglia contemplativa per i benefici della vita terrena. Studiò a San Pietroburgo con Bakst che gli fece conoscere la pittura di Cèzanne, Gauguin e Van Gogh.
Nel 1910 recatosi a Parigi, si legò con gli intellettuali d’avanguardia ed incontrò Lenin e Lunacarskij che in seguito divenne ministro della cultura sovietica. Nel 1914 ritornò in Russia ed espose i suoi dipinti che riecheggiavano una mitica vita di villaggio e il rituale ebraico nelle mostre d’avanguardia. Nel 1917 aderì con entusiasmo alla rivoluzione e l’anno seguente fu nominato commissario di belle arti nella sua città natale dove fondò un’accademia invitandovi pittori costruttivisti e suprematisti che però finirono per prevaricarlo costringendolo a ritirarsi a Mosca dove fra il 1919 e il 1921 eseguì pitture murali e il sipario del Teatro d’Arte ebraico.
Tornato a Parigi nel 1922 dipinse nature morte con fiori e figure, eseguendo pure una serie di mirabili incisioni per la Bibbia. Nel 1933 alcune sue opere furono bruciate dai nazisti su ordine di Goebbels. In questo periodo prevale nella sua pittura il tema simbolico della crocifissione. Nel 1945 curò l’allestimento dell’uccello di fuoco di Stravinskij e due anni dopo terminò la caduta dell’Angelo che è un vero repertorio dei suoi temi pittorici prediletti. Rientrato dagli Stati Uniti si stabilì in Provenza dove si dedicò alla ceramica e alla scultura iniziando grandi opere monumentali integrate con lo spazio architettonico. Morì nel 1985 a Saint-Paul-de-Vence.
Pittore atipico, a suo modo slegato dalle impetuose correnti dell’epoca, Chagall è portavoce fino in fondo di una sua personale sensibilità interiore. In un momento storico in cui tutto doveva essere appartenenza, fortemente relazionata ad idee e movimenti (che fossero artistici, politici o culturali), egli riesce a rimanere ancorato alle realtà profonde dell’animo umano, legato fino alla fine al semplice mondo contadino dei villaggi ebrei dell’Europa dell’est, quel mondo che, ormai cancellato, annientato e spazzato via dalla criminale follia nazista, l’artista ci restituisce attraverso le sue tele.
Trasferitosi poco più che ventenne a Parigi, precedentemente allo scoppio del primo conflitto mondiale, conosce le nuove correnti pittoriche e di pensiero, interessandosi in particolare al Fauvismo, per i colori forti e complementari, ed al Cubismo, per lo stile compositivo. Nelle sue opere, pertanto, si accordano cultura ebraica e avanguardie internazionali. I temi del suo bagaglio simbolico, però, nascono dalla sua esperienza interiore, dal suo fantasticare che unisce pittura e poesia, mentre l’allungarsi delle figure, liberate dalla gravità newtoniana, e il rifiuto della prospettiva si ricollegano alla tradizione bizantina delle icone russe. Chagall, fin dalla sua prima giovinezza, ha avvertito una forte attrazione nei confronti delle Sacre Scritture: “Mi è sembrato e mi sembra tuttora – afferma, riferendosi alla Bibbia – che questa sia la principale fonte di poesia di tutti i tempi. Da allora, ho sempre cercato questo riflesso nella vita e nell’arte”.
Il discorso sull’opera religiosa di Chagall è alquanto complesso. Egli racconta che un angelo gli apparve, a Pietroburgo, e ne descrive l’esperienza nelle sue memorie. Questo episodio, fondamentale nella sua formazione poetica, è riprodotto, sulla traccia iconografica dell’Annunciazione, nella grande tela dell’Apparizione, dove egli si raffigura seduto al lavoro, con la testa girata per guardare ispirato verso un angelo, maestoso e quasi invisibile, che riempie la parte destra della composizione. L’angelo si fonde, in una raffigurazione quasi cubista, con il mondo fenomenale del pittore; il contorno del corpo è assorbito dalla grande nuvola, di cui la creatura e la stanza sembrano una parte. L’angelo appare al pittore mentre è al cavalletto e la tela che sta dipingendo rimanda a quella, compiuta, che stiamo vedendo. Quindi il sogno dell’opera è l’opera stessa, cioè l’ispirazione del poeta.
Chagall doveva avere quest’immagine ben ancorata in testa, dipingendola come l’ha presente nella memoria, perché il lavoro preparatorio dell’opera non comporta nessun abbozzo per la parte destra del quadro riguardante lo spirito celeste. In un altro grande quadro, “La caduta dell’angelo”, al quale l’artista lavora per più di un ventennio, dal 1923 al 1947, un angelo rosso sta cadendo sulla terra dove gli uomini continuano a commettere i loro orrori indisturbati. L’angelo può rappresentare infinite emozioni: la purezza, la bellezza, l’armonia, l’utopia, la sacralità e in alcuni casi (come in questo) la disperazione. A determinare il significato dell’immagine inserita sulla tela, è il contesto in cui la figura è collocata, insieme alla pioggia dei simbolismi adiacenti: in basso a destra, troviamo Cristo in croce, una Madonna con bambino, ed una candela. In alto a sinistra, Chagall stesso non ha più parole dinanzi all’indicibile e si rappresenta steso a terra con la tavolozza abbandonata.
“Il martirio di Gesù è il martirio del mio popolo in questi anni”, risponde a quanti accusarono di aver inserito simboli cristiani all’interno della sua opera. Sotto, un rabbino che protegge il rotolo della Torah, o forse Mosè con i 10 comandamenti; più al centro, il volto di un animale, un sole giallo sporco e pallido, un violino. Ma in alto c’è un orologio a pendolo, segno che tutto scorre comunque e inesorabilmente sotto il potere del tempo che controlla il trascorrere della vita dell’uomo, nella sua inutilità e nonostante le sue preghiere. I colori sono forti ed espressivi tanto quanto le linee, le figura e le simbologie. L’immagine dell’angelo cade incontrollata al centro del quadro. La visione apocalittica della figura rossa fiammeggiante che si abbatte sull’umanità indifesa, trafiggendo la notte, riassume tutti i temi di Chagall, acquisiti con l’esperienza degli orrori della guerra nel suo ultimo drammatico decennio.
Tra il 1935 e il 1956, Chagall realizza il ciclo del “Messaggio Biblico” raccolto nel moderno museo di Nizza: 17 grandi tele, 194 incisioni e guazzi che rappresentano scene della Genesi, l’Esodo e il Cantico dei Cantici, e poi sculture, mosaici, arazzi, una sala per concerti con grandi vetrate. L’artista avvicina la Bibbia con un atteggiamento molto poetico, vedendola come una grande storia, un racconto pieno di episodi stupefacenti, di figure mitiche e di eventi sovrannaturali. Più che illustrare, come ha fatto Doré, egli reinventa il testo con il criterio della sua fantasia e sceglie le figure e gli episodi sulla base delle emozioni che sono in grado di trasmettergli. Egli scriveva: “La Bibbia è come una risonanza della natura e io ho cercato di trasmettere questo segreto. Questi quadri, nel mio pensiero, non rappresentano il sogno di un solo popolo, ma quello dell’umanità”.
La creazione dell’uomo è la prima delle 17 grandi tele. Chagall mostra Adamo addormentato nelle braccia dell’angelo e inconsapevole di quanto sta accadendo. Più in alto sta la sfolgorante girandola della Creazione, che culmina nella crocifissione di Cristo, tema che compare sovente nelle opere di Chagall dopo il 1939, quale simbolo universale della sofferenza umana e, forse, della speranza di riscatto dell’umanità. Proprio nell’accostamento tra il sacrificio di uno e quello dei tanti si compie l’identificazione tra giudaismo e cristianesimo: il suo Cristo ha smesso il perizoma della tradizione pittorica occidentale per cingersi del tipico manto ebr aico, il “Tallit” (come, del resto, si vede anche nel Crocifisso della Caduta). Fedele al divieto di rappresentazione, Chagall si limita a suggerire la presenza divina con la luminosità dei bianchi e dei gialli con le mani che sbucano da una nuvola, circondata da altre piccole figure angeliche. Scegliendo di costruire la sua opera a piccoli tocchi, a schegge iridate, l’artista accorda una materia luminosa e nebulosa a una spiritualità della Rivelazione: Dio si nasconde in questa nuvola e si mostra come Luce. A questa maniera effusiva il pittore dà una struttura rigorosa: linee diagonali portano l’uomo verso il cielo e sostengono il suo incontro con l’angelo. Alla diagonale, sono associati il cerchio e l’elisse, attivi portatori di un senso di armonia tra l’uomo e Dio. Ogni opera del ciclo è organizzata intorno all’incontro fra un uomo profeta, patriarca Dio e trasmette il messaggio che sta alla dell’opera di Chagall: “Ho voluto lasciare in questa casa i miei dipinti perché gli uomini vi possano cercare e trovare una certa pace, una certa spiritualità, un senso della vita…”.
L’incontro di Abramo con gli Angeli appare diverso dagli altri quadri del ciclo: è l’unico dipinto in una monocromia rossa, ed è anche l’unico in cui né il cerchio né la diagonale sostengono la composizione, ma dove, invece, una rete di verticali e di orizzontali severe determina l’organizzazione del quadro. Ciò rivela la preoccupazione diversa di dare alle ali dei tre angeli tutto lo splendore possibile. Il grandissimo effetto dello sfondo rosso è, infatti, di sporgere gli angeli verso lo spettatore; in questo modo gli angeli svolgono completamente la loro funzione di messaggeri, non solo tra Dio e l’uomo Abramo, ma anche tra quel mondo impalpabile di pittura e noi, che lo contempliamo. La lotta di Giacobbe con l’Angelo, è un episodio centrale della storia del Patriarca. Nel lungo combattimento mistico che l’uomo ha con l’angelo, Chagall sceglie il momento della riconciliazione. Le opere del “Messaggio Biblico” sono state donate dall’artista alla Francia con questa dedica: “Ho voluto dipingere il sogno di pace dell’umanità…Forse in questa casa verranno giovani e meno giovani a cercare un ideale di fraternità e d’amore come i miei colori l’hanno sognato. Forse non ci saranno più nemici… e tutti, qualunque sia la loro religione, potranno venire qui e parlare di questo sogno, lontano dalla malvagità e dalla violenza. Sarà possibile questo? Credo di si, tutto è possibile se si comincia dall’amore”. “Lavorare è pregare” affermava Chagall. E dalla preghiera emergevano meravigliose immagini di un sogno tutto spirituale.