CINCINNATI (USA), lunedì, 7 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Secondo un professore africano che vive a Cincinnati, la grave situazione dell’Eritrea riceve scarsa attenzione internazionale perché è un Paese piccolo e povero e con una popolazione relativamente esigua.
Ma l’Eritrea, secondo Habtu Ghebre-Ab, è uno dei luoghi peggiori del pianeta per i credenti, siano essi musulmani o cristiani.
Ghebre-Ab è nato e cresciuto in Etiopia, da genitori eritrei, ed ha vissuto in Etiopia fino all’età di 18 anni. Ora, negli Stati Uniti, ha fondato l’organizzazione non-profit “In Chains for Christ”. Insegna storia all’Università di Cincinnati.
Ha parlato con il programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, sulle gravi politiche antireligiose dell’Eritrea.
Quando è iniziata la sua conoscenza di Cristo?
Ghebre-Ab: Ho iniziato a conoscere Cristo da bambino. Sono nato e cresciuto nella Chiesa ortodossa, da genitori molto religiosi, quindi il contatto con il Cristianesimo e il Vangelo risale ad anni piuttosto precoci della mia vita. Circa otto o nove anni fa sono tornato alla fede dei miei genitori, nella Chiesa ortodossa, all'interno della quale svolgo oggi il ruolo di diacono.
Sebbene non sia facile fare stime attendibili, ci può dire qualcosa sul panorama religioso di oggi in Eritrea?
Ghebre-Ab: Il popolo eritreo è molto religioso. La Religione è parte integrante della vita delle persone e il Cristianesimo e l’Islam hanno convissuto liberamente per secoli. Oggi, delle 4 milioni di persone, più o meno il 50% è formato da cristiani, mentre l’altra metà appartiene all’Islam. La Chiesa ortodossa, essendo ovviamente la confessione cristiana maggioritaria in Eritrea ed Etiopia, rappresenta quasi il 95% della popolazione cristiana.
Un rapporto di Freedom House afferma: “L’Eritrea è una nazione in continuo stato di emergenza, assediata dai propri leader, con una popolazione a cui sono negate le più fondamentali libertà di espressione, assemblea, stampa e religione”. Cosa significa questo per il Cristianesimo oggi in Eritrea?
Ghebre-Ab: Per i cristiani ciò significa che, le cosiddette Chiese minoritarie, dal maggio del 2002, sono state messe al bando, letteralmente criminalizzate e i loro membri ed esponenti messi in prigione senza alcuna possibilità di praticare il loro culto in Eritrea. Nei primissimi anni Novanta, già si intravedevano i primi segnali della politica antireligiosa del Governo, che è in mano ai Testimoni di Jeova e alla comunità musulmana in Eritrea. Riguardo le Chiese ortodosse nel Paese, già sin dal 1995 e 1996 venivano date alle fiamme le loro Bibbie. È stato però solo nel maggio del 2002 che il Governo eritreo ha veramente messo in atto la sua politica antireligiosa.
Oggi, nelle forze armate si operano ancora confische delle Bibbie e la gente che è sorpresa a pregare viene punita. Dal 2005 la Chiesa ortodossa eritrea è stata particolarmente bersagliata; il suo patriarca, Sua Santità Abune Antonios, è stato posto agli arresti domiciliari. Sebbene il patriarca Antonios abbia il diabete e la pressione alta, non ha ricevuto alcune cure mediche, né è stato visitato da alcuno. Quindi i maggiori esponenti clericali delle Chiese ortodosse, così come delle Chiese protestanti, sono finiti in prigione, alcuni addirittura sin dal 2004.
Vorrei parlare della persecuzione contro la gerarchia ortodossa, ma prima vorrei sapere cosa spinge il Governo alla persecuzione?
Ghebre-Ab: Sullo sfondo di questa politica antireligiosa c’è, ovviamente, l’ideologia marxista che il Governo eritreo ha fatto propria durante il conflitto armato per l’indipendenza. Se si guarda alla letteratura degli anni Settanta, si trova un vero e proprio elenco delle religioni che avrebbero fatto fuori una volta che l’Eritrea avesse raggiunto l’indipendenza.
Quindi era già in programma?
Ghebre-Ab: Era in programma sin dall’inizio, ma dopo l’indipendenza vi è stata la tendenza, tra la gente eritrea, di tornare alla propria fede. I loro anni di sofferenza erano terminati; l’Eritrea aveva ottenuto l’indipendenza e molti, molti giovani stavano diventando più religiosi, più spirituali. Io credo che il Governo, avendo quell’impostazione marxista, ha sempre visto con fastidio quei giovani che – a prescindere dal livello di politicizzazione – tornavano comunque alla loro fede.
Non osavano attaccare i cristiani allora e hanno aspettato fino a qualche tempo fa per farlo?
Ghebre-Ab: Esatto. Riguardo alla Chiesa ortodossa eritrea, sono arrivati al punto di nazionalizzarla, perché è la più grande e più antica istituzione religiosa. Credo che il motivo fosse che, nazionalizzandola e assumendone il controllo totale, avrebbero avuto il controllo totale su un ampio segmento della popolazione eritrea.
Quasi come la Chiesa patriottica cinese, che dovrebbe rappresentare la Chiesa di Stato?
Ghebre-Ab: Esatto, o più precisamente, come durante la Rivoluzione bolscevica nell’Unione sovietica, quando il Partito bolscevico voleva controllare le Chiese che esistevano a quel tempo. Questa è la situazione in cui si trova la Chiesa cristiana oggi in Eritrea: eliminare le religioni più piccole e controllare quelle rimanenti. Alcuni si sono impegnati ad opporsi a tutto ciò.
Qual è l’agenda politica del Governo?
Ghebre-Ab: Magari potessi dire che hanno un’agenda. Il mondo sembra essere così sconcertato dal fatto che questo Governo sembri non conoscere i propri interessi; sembri non sapere dove sta andando perché gran parte delle sue azioni sono così arbitrarie. Chi come noi conosce questo regime da prima dell’indipendenza, sa almeno una cosa: che non è favorevole alla religione.
Nel maggio del 2002 si è scatenata un’altra ondata di persecuzioni contro i cristiani. Cosa l’ha innescata e che forme ha assunto?
Ghebre-Ab: In quel tempo il Governo ha chiamato i leader delle Chiese che dovevano essere chiuse. Il pretesto usato dal Governo era che non si erano registrati bene. Ci si deve registrare per diventare una religione riconosciuta. Quello è stato il pretesto, la cortina di fumo. Alcune di queste Chiese hanno effettivamente cercato di rispondere anche alle più pesanti richieste del Governo: come comunicare i nomi dei membri della Chiesa, il loro lavoro, cosa fanno e la loro situazione reddituale; in sostanza, se sappiamo come funzionano le Chiese al loro interno, sarà più facile farle fuori. Il Governo cerca una graduale eliminazione della fede in generale dall’Eritrea e, guardando all’evoluzione degli ultimi anni, questa interpretazione trova piena conferma.
Qual è la risposta da parte dei cristiani? La clandestinità? L’emigrazione?
Ghebre-Ab: Le Chiese evangeliche ovviamente sono inizialmente entrate in clandestinità, anche se il Governo, attraverso i propri servizi segreti, gli ha reso la vita impossibile: venivano scovati. L’unica cosa rimasta da fare era di scappare dal Paese e migliaia di giovani – e non solo credenti, ma migliaia di persone che non sono neanche religiose – stanno scappando dal Paese e stanno chiedendo asilo ad altri Paesi. Ci sono campi profughi nel Nord Etiopia e in Sudan in cui sono accolti questi profughi che scappano dall’Eritrea.
E questo nonostante l’ordine di sparare a vista contro chiunque sia colto a fuggire dal confine eritreo?
Ghebre-Ab: Precisamente. Questo non sembra aver influito sul numero delle persone, soprattutto dei giovani, che fuggono dall’Eritrea.
Cosa avviene invece per le istituzioni e tradizioni più riconosciute come l’Islam, la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa eritrea? In che modo il Governo cerca di limitare l’attività religiosa di queste tradizioni maggiori?
Ghebre-Ab: Non posso parlare per i musulmani
, ma posso dire che anche loro hanno sofferto a causa di questo regime. In effetti il Governo eritreo applica pienamente le pari opportunità nella persecuzione. Riguardo alle cosiddette Chiese riconosciute, anche se i media indipendenti sono stati eliminati nel 2001, ben prima di tale data i principali organi di stampa delle organizzazioni riconosciute, ovvero i giornali della Chiesa cattolica, della Chiesa ortodossa e delle altre organizzazioni cristiane riconosciute, sono stati tutti chiusi, anche prima della chiusura dei media laici indipendenti.
Un’altra cosa richiesta dal Governo soprattutto alle Chiese ortodossa e cattolica, è che i preti fino a una certa età devono presentarsi per il servizio militare. Apprezzo che l’Eparchia cattolica abbia preso una posizione ferma a tale riguardo, dicendo che assolutamente i sacerdoti non possono svolgere il servizio militare. Poiché la Chiesa ortodossa è controllata da una persona nominata dalla politica, non è stato possibile esercitare altrettanta ferma resistenza e i preti ortodossi sono stati effettivamente costretti ad entrare nell’esercito.
Il Dipartimento di Stato USA ha collocato l’Eritrea tra i “Paesi di particolare preoccupazione”. Perché non ne sentiamo parlare? Perché la comunità internazionale non parla di questa questione?
Ghebre-Ab: La domanda è molto pertinente. L’Eritrea è un Paese molto piccolo, con una popolazione di meno di 4 milioni di abitanti [altri rapporti parlano di 5,7 milioni]. Un grande segmento della popolazione sta fuggendo da sempre, che io ricordi. Vi sono state ondate di esodi dall’Eritrea per un motivo o per un altro, ma l’Eritrea, diversamente da molti suoi vicini, non ha risorse petrolifere e non ha una grande popolazione. Per questo, mentre le sofferenze delle popolazioni dei Paesi intorno all’Eritrea sono riportate dalla stampa, questo non è mai avvenuto allo stesso modo per la gente dell’Eritrea, neanche ai tempi della lotta per l’indipendenza e dell’ingerenza sovietica. Quindi, finché il Paese sarà considerato insignificante agli occhi del mondo, credo che resterà dimenticato.
Che cosa possiamo fare?
Ghebre-Ab: Anzitutto direi che dovremmo pregare per la gente dell’Eritrea, ma direi anche che tutte le persone credenti dovrebbero prendere contatti con i loro rappresentanti eletti per assicurarsi che le sofferenze della popolazione eritrea ricevano quel grado di attenzione che è assolutamente necessario. Come ho già detto, ci sono oggi decine di migliaia di giovani che stanno lasciando il Paese. Stanno soffrendo terribilmente. A quelli che stanno nei campi profughi del Nord Etiopia e del Sudan dovrebbe essere riconosciuto il diritto d’asilo in quei Paesi. Abbiamo un recente rapporto sulla quantità di gente che annega nel Mediterraneo tentando di passare dalla Libia all’Italia o a Malta e molti di questi Paesi rimpatriano gli eritrei. In Egitto ci sono ora centinaia di rifugiati senza alcun riconoscimento e nessuno che li aiuti.
Cosa accade a coloro che sono rimpatriati?
Ghebre-Ab: Le storie di coloro che sono fuggiti una seconda volta dopo essere rimpatriati ... il tipo di tortura è inimmaginabile. Il Governo ha cercato di iniziare con il piede giusto dicendo: ci prenderemo cura di loro. Ma le storie rivelano una realtà ben diversa: hanno sofferto terribili torture e di molti di loro non si sa che fine abbiano fatto.
Quali restrizioni hanno le Chiese riconosciute, in termini di possibilità di pubblicare libri e di permessi di costruzione?
Ghebre-Ab: Le Chiese riconosciute non hanno più potuto operare come prima. I permessi di costruzione o cose simili sono diventati qualcosa di impensabile. Hanno difficoltà anche solo a mantenere gli edifici che hanno. Per esempio, la Chiesa cattolica aveva diverse buone scuole, ma durante il precedente regime, prima dell’indipendenza, le scuole sono state nazionalizzate. Credo che la speranza di gran parte dei cattolici eritrei e di persone di buona volontà era che queste scuole sarebbero state restituite alla Chiesa cattolica e questo era ciò che la Chiesa si aspettava, ma ad oggi non è ancora avvenuto.
Ho letto che più di 3.200 cristiani sono attualmente in prigione per diverse attività religiose. Qual è lo status di questi cristiani?
Ghebre-Ab: Nessuno lo sa. Noi parliamo di 3.200 come stima data dal Dipartimento di Stato USA. La mia stima personale è più elevata, perché ogni campo militare ha i propri locali di detenzione. Esistono molte prigioni non ufficiali in cui c’è gente che non è mai stata processata e mai stata accusata da un tribunale adeguatamente costituito. Quindi possiamo solo stimare quante sono le persone attualmente in detenzione. Se contassimo tutti i prigionieri di coscienza arriveremmo ben oltre i 3.200 e se ci aggiungessimo i cristiani andremmo ancora oltre. Mi lasci dire una cosa chiaramente: molte persone sono morte in prigione per la loro fede.
Di che tipo di prigioni parliamo?
Ghebre-Ab: Queste prigioni sono state volute per punire in modo sadico. Esistono rapporti secondo cui persone sono state tenute sotto terra per anni senza vedere la luce. Sono stati malnutriti. Sono stati tenuti nei container. Sappiamo quanto caldo può fare in quella parte del mondo e quando faccia freddo la notte, e queste persone vengono tenute dentro questi container di metallo. Se il Governo eritreo consentisse alle organizzazioni umanitarie internazionali e alla Croce Rossa di visitare questi centri di detenzione, il mondo vedrebbe le condizioni in cui questa gente è detenuta. Ma nessuno ha potuto vedere queste persone.
Ha delle speranze?
Ghebre-Ab: Ho delle speranze. La gente dell’Eritrea è piena di risorse. Questa situazione di ingiustizia non sarà tollerata ancora a lungo. La gente eritrea ha pagato a caro prezzo la propria libertà. Io ho perso due fratelli e 12 parenti nella guerra per l’indipendenza dell’Eritrea. Si potrebbe pensare che la mia storia sia straordinaria, ma non lo è: ogni eritreo vi racconterebbe una storia simile. La gente eritrea non ha pagato con tutti questi sacrifici e sofferenze indegne per vedersi negati i diritti per cui ha combattuto e che si merita.
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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.
Per maggiori informazioni: www.WhereGodWeeps.org