ROMA, lunedì, 11 maggio 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito un articolo di padre Santino Brembilla, smm, Superiore generale dei Missionari Monfortani, apparso sull'undicesimo numero della rivista "Paulus" (maggio 2009), dedicato al tema “Paolo il giustificato”.




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Il 6 giugno1706, san Luigi-Maria de Montfort (1673-1716) fu insignito da papa Clemente XI del titolo di Missionario Apostolico, con il compito di ritornare in Francia per rinnovare lo spirito del cristianesimo. Egli lo visse sullo stile di san Paolo, che chiamava familiarmente «l’Apostolo» e gli fu sempre modello. Nelle sue opere troviamo citati oltre duecento versetti paolini da tutte le sue Lettere, eccetto la Seconda ai Tessalonicesi. Ne cogliamo l’eco anche nelle Regole che scrisse per i Missionari della Compagnia di Maria, dove si afferma che il vero missionario deve sempre poter dire con san Paolo: «Il Signore non mi ha mandato a battezzare, ma ad evangelizzare» (1Cor 1,17); e «noi siamo senza fissa dimora» (1Cor 4,11), per poter «correre con san Paolo» senza che nulla ci trattenga (cfr. Regole 2 e 6). Anche san Luigi-Maria era «sempre sul chivalà», spinto dalla missione «come una palla nel gioco della pallacorda» (Lettera 26). E ancora egli chiede ai suoi futuri collaboratori «di compiere fedelmente queste parole traboccanti di amore del grande Apostolo: “Mi sono fatto tutto a tutti”, facendosi tutto a tutti con la carità» (cfr. Regole 49). Un atteggiamento che lo impressiona al punto di ripetere continuamente queste parole nei suoi Cantici sul Santissimo Sacramento. Ed è interessante notare che san Luigi-Maria legga molto spesso in chiave cristologica quei testi dove san Paolo parla della missione apostolica, palesando l’unione e la somiglianza tra il Cristo e il suo apostolo.

Perfetta conformazione a Cristo

Un’altra massima paolina che san Luigi-Maria offre ai suoi missionari è: «Non conformatevi al mondo presente» (Rm 12,2; Regole 38). Questo atteggiamento di distacco è un tratto severo ma necessario, poiché essere conformi al mondo impedisce la conformità a Cristo, «nostro unico modello» (Trattato 61). Tanto da arrivare a scrivere: «Bisogna essere conformi all’immagine di Gesù Cristo o essere dannati» (Lettera agli Amici della Croce 9). Per san Luigi-Maria, la missione di lavorare è «come dice l’Apostolo, quella di rendere ogni uomo perfetto in Gesù Cristo, perché in Lui solo abita tutta la pienezza della Divinità» (Trattato 61; cfr. Col 1,29; 2,9). L’uomo perfetto è colui che giunge «alla pienezza dell’età del Cristo» (Ef 4,13). Quest’ultimo versetto assumerà un’importanza capitale nella spiritualità monfortana: è infatti la prima e l’ultima citazione biblica ne L’Amore dell’Eterna Sapienza, come pure le ultime parole della famosa Consacrazione a Gesù per Maria e la conclusione della sua preghiera allo Spirito Santo (cfr. Segreto di Maria 67). Ma come giungere a questa pienezza perfetta? La risposta è contenuta nel segreto che san Luigi-Maria ricevette quale missione, ovvero rivelare Maria, poiché «dal momento che tocca a Lei generarci in Gesù Cristo e Gesù Cristo in noi, fino alla pienezza della sua età, in modo che Ella può dire di sé, con più verità di san Paolo: “Io vi genero ogni giorno , miei cari figli, finché Gesù Cristo”, mio Figlio, “non sia perfettamente formato in voi”» (Amore della Sapienza 214; Gal 4,19 e Ef 4,13; cfr. Trattato 33; Segreto di Maria 56). Una rapida lettura di questo testo potrebbe far pensare a un abuso d’interpretazione: come applicare alla Vergine Maria ciò che san Paolo dice di se stesso? In Gal 4,19, egli utilizza la metafora del parto riferendola al suo ministero apostolico. Ma san Luigi-Maria trasforma la figura letteraria nel volto personale di una donna concreta: Maria. È la rivelazione che egli ha ricevuto dalla Spirito Santo (cfr. Segreto di Maria 1 e 20; Gal 1,11s): la scoperta della missione e del ruolo di Maria nella nostra vita spirituale. Nella costruzione del Corpo di Cristo (cfr. Ef 2,21; 4,12.13), egli vede Maria all’opera là dove san Paolo vedeva l’organizzazione “ministeriale”della Chiesa. Ed è ancora san Paolo a rivelargli la chiave della maternità spirituale della Vergine. Se Cristo è il Capo di questo corpo che è la Chiesa (Ef 1,22.23; 4,15.16; 5,23; ecc.) e noi le sue membra, allora Maria è nostra Madre: «Poiché Maria ha formato il Capo dei predestinati, che è Gesù Cristo, tocca pure a Lei formare le membra di questo Capo, che sono i veri cristiani» (Segreto di Maria 12; Trattato 17, 20, ecc.). Nel testo appena citato, san Luigi-Maria usa la parola predestinato, termine di marca chiaramente paolina che egli utilizza molto spesso. Tale predestinazione è un mistero di grazia: «Tutto si riduce, dunque, Maria, a trovare un mezzo facile per ottenere la grazia necessaria per diventare santi» (Segreto 6). Certamente egli non rifiuta le opere, i «mezzi di salvezza» (Segreto 3 e 4). Ma cosa sarebbero, senza la grazia divina?

La Santa Schiavitù

Un’altra parola del vocabolario monfortano derivata da san Paolo è l’essere «schiavo». La spiritualità della Consacrazione a Gesù per Maria è infatti chiamata spesso da san Luigi-Maria la «schiavitù di Gesù vivente in Maria». È nel Mistero dell’Incarnazione che si rivela il vocabolario della “Santa Schiavitù”. E tale mistero si fa carne in Maria, la schiava del Signore (Lc 1,38.48). Ma l’influsso paolino non si riduce a una lista di referenze testuali. San Luigi-Maria rilesse la sua vita nelle Lettere dell’Apostolo. La biografia del nostro santo è piena di persecuzioni (Lettera agli Amici 58; 1Cor 4,9.13). Nelle grandi difficoltà incontrate a Parigi nel 1703, poi descritte nella Lettera 16, riconosceva la comunione con l’esperienza dell’Apostolo (2 Cor 6,4-10). A sua sorella, religiosa benedettina, egli scriveva: «Sono contento e pieno di gioia in mezzo a tutte le mie sofferenze» (Lettera 26; cfr. Col 1,24; 2Cor 8,2; 1Tm 1,6). Egli tuttavia, al seguito di san Paolo, si pose fin dai suoi primi anni di sacerdozio la scelta della Sapienza divina (cfr. 1Cor 1,17-2,16). All’ospedale generale di Poitiers, fonda un gruppo di donne, pazze agli occhi della sapienza umana, che egli chiama Figlie della Sapienza (cfr. 1 Cor 1,26-28). Le scelte anticonformiste (cfr. Rm 12,2) gli valsero il soprannome di «pazzo di Montfort», ma egli sapeva che per diventare saggi secondo Dio, bisogna farsi pazzi agli occhi del mondo (cfr. 1Cor 3,18-19). Invitato una volta a predicare nella sua parrocchia natale, quand’era ormai noto quale grande oratore, san Luigi-Maria non proferì una sola parola: si limitò a mostrare il suo Crocifisso. Un gesto silenzioso che voleva dire: «non sono venuto per annunciarvi la testimonianza di Dio con l’eleganza della parola o della sapienza umana. No, non ho voluto sapere nulla tra voi, se non Gesù Cristo, e Gesù Cristo Crocifisso» (1Cor 1,1; cfr. Amore della Sapienza 12; Lettera agli Amici 26). Il grande progetto architettonico che san Luigi-Maria de Montfort realizzò fu proprio un grandioso Calvario eretto vicino a Nantes. Un trionfo nella debolezza, però, alla maniera di san Paolo: lo stesso giorno previsto per la benedizione solenne e inaugurazione dell’opera – il 14 settembre 1710 – giunse da Versailles l’ordine di raderlo al suolo.