“Le divisioni non sono mai servite a niente”

Intervista con il Patriarca Maronita Mar Nasrallah Boutrous Sfeir

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di Tony Assaf

ROMA, giovedì, 30 ottobre 2008 (ZENIT.org).- A margine dei lavori del Sinodo, ZENIT ha intervistato presso la sede patriarcale maronita a Roma il Cardinale Patriarca Maronita Mar Nasrallah Boutrous Sfeir.

Durante l’intervista, si è discusso del Sinodo e della sua influenza sulla Chiesa in Medio Oriente e si è parlato della situazione dei libanesi in generale e dei cristiani del Libano in particolare, così come dei cristiani emigrati in altri Paesi.

Forte è stato l’invito, rivolto a tutti i Libanesi, alla comprensione reciproca, all’armonia e al far prevalere l’interesse della Nazione al di sopra di ogni interesse personale, perché “quello della divisione non è stato un giorno utile”.

Sua Eminenza, nelle parole rivolte ai partecipanti al Sinodo ha parlato della speranza, una speranza legata sia alla presenza dei cristiani in Libano che al dialogo interreligioso all’interno del Paese. Quali sono gli elementi reali e concreti di questa speranza?

Cardinale Sfeir: Prima di tutto, noi siamo credenti. Chi è credente ha speranza e deve aver cura della virtù della speranza così come della virtù della fede. Non è possibile per noi avere una fiducia nella speranza in modo diretto. Siamo presenti in Oriente dall’inizio del cristianesimo, e se ancora lo siamo è per volontà di Dio.

Naturalmente, la situazione è cambiata. Gli anni passati, forse, erano più difficili di quelli presenti. Per cinquecento anni abbiamo cercato riparo sotto la presenza turca e nonostante tutto i maroniti e i cristiani hanno conservato un unico volto in Oriente. Continuiamo a vivere giorni difficili e nessuno lo può negare. Molti emigrano e vanno in Paesi lontani. Sono presenti in Australia, Sud Africa, negli Stati Uniti e nei Paesi arabi, come il Qatar, dove siamo stati lo scorso maggio.

La situazione diventa sempre più difficile per i giovani, soprattutto in questi giorni. Acquisiscono conoscenze di alto livello, ottenendo diplomi e certificati, ma non trovano un lavoro. Decidono così di andare in un altro Paese, sia questo un Paese vicino, come quelli arabi, o un Paese lontano, come l’America o altri ancora. Chi emigrerà verso un Paese vicino forse un giorno farà ritorno a casa, chi invece raggiungerà un Paese lontano difficilmente tornerà.

Durante l’Assemblea Generale del Sinodo, si è parlato del ruolo dei laici nella comprensione e professione del Vangelo. Quale programma pensa di realizzare la Chiesa Maronita affinché queste decisioni e queste proposte non restino solo parole?

Cardinale Sfeir: Naturalmente, i laici hanno un loro ruolo nell’opera della Chiesa e nel rapporto con la fede, ma non è possibile dire, in questo momento, quali strumenti utilizzeremo per coinvolgere i laici. Questo argomento merita una riflessione e una soluzione con il coinvolgimento dei Vescovi in occasione di una riunione generale.

In alcuni suoi interventi, il Papa ha affermato che il Sinodo deve infondere maggiore speranza ai giovani, affinché capiscano, vivano e sperimentino la parola di Dio. Come si adopera la Chiesa Maronita in questo senso? Ci sono nuovi progetti da discutere con i Vescovi per far prendere coscienza ai giovani dell’importanza del loro ruolo e del loro impegno?

Cardinale Sfeir: La Chiesa si prende cura dei suoi figli. Esistono le parrocchie, i movimenti giovanili e le scuole cattoliche che trasmettono i principi dell’educazione religiosa. In tutto questo la Chiesa prova a consolidare i concetti religiosi nell’animo dei giovani.

I cristiani del Medio Oriente soffrono, specialmente in Libano, in Iraq e in Terra Santa. Possiamo parlare di Chiesa perseguitata o della parte perseguitata della Chiesa in generale? Qual è il suo messaggio per la Chiesa d’Occidente e quale ruolo può giocare in questa situazione?

Cardinale Sfeir: La Chiesa è la stessa ovunque, sia in Oriente che in Occidente. Il fatto che i cristiani in Oriente vadano incontro a delle difficoltà non è un fatto nuovo. Come è stato già detto, i cristiani hanno trascorso ben cinquecento anni sotto i Turchi senza poter professare liberamente la loro fede, e ancora oggi è presente questa realtà. Si parla di emigrazione. I fedeli emigrano senza sapere se questa situazione cambierà o resterà invariata. C’è un proverbio che dice: “Dio non cambia la gente finché non cambia l’animo della gente”. Noi proviamo un forte dispiacere per i cristiani del Libano, divisi nella loro entità. Dovrebbero unire le loro fazioni e assumere un unico atteggiamento. Ancora oggi, tra di loro, c’è chi sostiene che questa sia una situazione utile, ma le divisioni non sono mai servite a niente.

Come prevede che il Sinodo dei Vescovi influirà sui cristiani e sulla loro situazione in Medio Oriente?

Cardinale Sfeir: Il Sinodo ha un buon impatto sui cristiani. L’intero Sinodo sta provando a raggruppare le diverse realtà cristiane e a condurle verso la professione della fede. La fede è qualcosa che ci invita al timore di Nostro Signore, e chi teme Nostro Signore agisce nei suoi comandamenti e si sforza di consolidare il rapporto con Lui e con il prossimo. Non esiste fede se non nell’amore per il prossimo. Se non ci fosse amore per il prossimo, la fede non sarebbe sincera.

Nei suoi interventi al Sinodo, ha asserito che la situazione di cristiani in Libano sta diventando sempre più difficile, con una riduzione del loro numero anno dopo anno. Ha rivolto un messaggio ai potenti del Libano e del mondo per evitare che continui a verificarsi ciò che il Paese sperimenta da quarant’anni?

Cardinale Sfeir: Il messaggio che lanciamo dal Libano è lo stesso messaggio che lanciamo da qui. Noi invitiamo tutti i cristiani all’armonia, alla comprensione, all’aiuto e all’assistenza reciproca. Purtroppo la situazione attualmente è diversa da quella che ci auspichiamo. I Libanesi sono divisi nella loro etnia, per motivi esterni. Tra il popolo c’è chi sta dalla parte di un Paese e chi dalla parte di un altro. Questo porta ad aumentare le divisioni e rende più difficile la via per giungere a un accordo.

Tornate in Libano, anche se per pochi giorni”. Queste sono le parole che ha rivolto ai libanesi presenti a Roma. Come è possibile che i cristiani espatriati che hanno costruito una nuova vita all’estero aderiscano a questo invito? È possibile che ritornino a vivere in Libano senza rovinare tutto quello che hanno costruito? Che garanzie hanno con le condizioni attuali del Libano?

Cardinale Sfeir: Non stiamo invitando loro a un ritorno definitivo in Libano, ma a visitarlo come se vistassero un altro Paese. Per un mese, ad esempio, come sta succedendo qui a Roma. Abbiamo visto molti visitatori raggiungere Roma e invadere le strade e le piazze. Potrebbero recarsi in Libano, il loro Paese d’origine, per pochi giorni, dal momento che, come è stato detto, le condizioni non consentono un ritorno definitivo.

Sappiamo che la posizione del Patriarca è tenuta in grande considerazione in Libano. Su che cosa basa i suoi interventi e le interviste che rilascia? Su cosa si fondano le sue decisioni e come si propone?

Cardinale Sfeir: Noi ci basiamo, prima di tutto, su Dio, il quale ci ha invitato a svolgere questa funzione. Ci basiamo inoltre sulla verità che comunichiamo apertamente davanti alle persone. Tra queste c’è chi si indigna e chi gioisce. Non abbiamo intenzione di infastidire o rendere felice qualcuno, piuttosto diciamo la verità senza prendere alcuna posizione.

L’evento delle elezioni in Libano è sulla bocca di tutti. Come vi rivolgete all’elettore cristiano? Su cosa deve basare le sue decisioni e le sue preferenze?

Cardinale Sfeir: L’elettore libanese, come quello di qualsiasi Paese democratico, deve orientarsi a favore dell’interesse del Paese. Deve esprimere la preferenza per la persona che serve l’interesse generale prima di qu
ello privato. Se il candidato segue questa strada, sarà quella giusta, se cercherà invece solo l’ interesse personale non sarà di certo una cosa buona.

[E’ possibile ascoltare parte dell’intervista su H2onews]

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ZENIT Staff

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