Omelia del Card. Bertone per i 50 anni dall'elezione di Giovanni XXIII

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CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 28 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, in occasione della celebrazione del 50° anniversario dell’elezione del Beato Papa Giovanni XXIII, svoltasi questo martedì nella Basilica di San Pietro.

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Cari Confratelli Vescovi e sacerdoti,

illustri Autorità,

cari fedeli della Diocesi di Bergamo,

cari fratelli e sorelle,

esattamente cinquant’anni fa, proprio come oggi, in quel lontano 28 ottobre del 1958, il Cardinale Angelo Giuseppe Roncalli, Patriarca di Venezia, veniva eletto Papa con il nome di Giovanni XXIII. Nel radiomessaggio del giorno seguente, il neoeletto Pontefice tracciava le linee del suo pontificato: “Vogliamo soprattutto insistere – egli disse – che a noi sta a cuore in maniera specialissima il compito di pastore di tutto il gregge. Tutte le altre qualità umane, possono riuscire di abbellimento e di completamento per un governo pontificale, ma in nessun modo possono sostituirlo”. Desiderava essere un pastore mantenendo quel suo tipico stile, che lo aveva contraddistinto in tutti gli incarichi precedentemente svolti al servizio della Santa Sede.

Questa sera, torna familiare ai nostri occhi la figura di questo “Papa della bontà”. Ne invochiamo la protezione su voi, cari fedeli venuti numerosi da Bergamo; ne invochiamo la protezione sulla vostra Comunità diocesana, che sotto la guida del suo Pastore, Mons Roberto Amadei e il suo Ausiliare, ha ripercorso durante quest’anno le sue orme, ed oggi è qui tutta idealmente raccolta per farne venerata memoria. A tutti e ciascuno rivolgo il mio saluto, lieto veramente di incontrarvi nuovamente dopo le solenni celebrazioni che ho avuto l’onore di presiedere a Bergamo e a Sotto il Monte il 5 e 6 aprile scorso. Conservo un bel ricordo della vostra accoglienza e ancora una volta vi ringrazio di cuore. Questo vostro pellegrinaggio intende rinnovare la vostra devozione verso il Successore di Pietro, devozione che costituisce uno dei preziosi elementi della eredità spirituale che Giovanni XXIII ha lasciato alla Chiesa di Bergamo, insieme all’esempio della sua preghiera e all’amore per l’Eucaristia e alla Vergine Santa.

Celebriamo la Santa Messa in questa Basilica dove, nelle Grotte Vaticane, il giovane Roncalli ebbe la gioia di celebrare la sua prima Santa Messa, quasi ad iniziare e a rafforzare un legame con la Sede Apostolica che non lo abbandonerà mai. “Mi sovvengo – scrisse nel suo Diario – che fra i sentimenti di cui il cuore traboccava, questo dominava su tutti, di un grande amore alla Chiesa, alla causa di Cristo, del Papa, di una dedizione di tutto l’essere mio a servizio di Gesù e della Chiesa, di un proposito, di un sacro giuramento di fedeltà alla cattedra di S. Pietro, di lavoro instancabile per le anime” Ed aggiunge: “Dissi al Signore sulla tomba di san Pietro: ‘Domine, tu omnia nosti, tu scis quia amo te'”. E commenta con quella sua semplicità accattivante: “Uscii di là come trasognato. I Pontefici di marmo e di bronzo, disposti lungo la Basilica, pareva mi riguardassero… come ad infondermi coraggio e grande fiducia”.

Il pensiero va subito ad un’altra Santa Messa, quella celebrata in Piazza San Pietro, il 3 giugno del 1963. Giovanni XXIII spirò non molto dopo che in Piazza San Pietro erano risuonate le parole che il sacerdote allora pronunciava alla fine del sacrificio eucaristico: “Ite Missa est”, con la carica di significato liturgico che possiedono. Papa Giovanni partiva da questo mondo per il Cielo dopo una esistenza vissuta, come dovrebbe avvenire per ogni battezzato, in costante unione con Cristo morto e risorto. Ognuno di noi è in effetti chiamato a prolungare nella sua esistenza il mistero celebrato nell’Eucaristia, annunciando in vita e in morte il Signore crocifisso e risuscitato sino a che Egli venga nella gloria. Annunciare Cristo è accogliere docilmente la volontà divina in ogni situazione, nella salute e nella malattia, nella giovinezza e nella vecchiaia, nel dolore e nella gioia. Sempre.

Ite Missa est. Ogni celebrazione eucaristica si chiude con un invito a realizzare questa nostra vocazione annunciando e testimoniando il Vangelo a quanti incontriamo, specialmente alle giovani generazioni, come ha sottolineato il Sinodo della vostra Diocesi. Questa vocazione apostolica e missionaria viene oggi particolarmente sottolineata dalla festa dei due santi Apostoli: Simone e Giuda.

La loro memoria si unisce così a quella del beato Giovanni XXIII: sono storie e vite diverse, ma única ed identica la missione: quella di Vescovi, apostoli di Cristo e araldi del Vangelo.

Simone e Giuda. Il primo è collocato all’undicesimo posto nell’elenco degli Apostoli: di lui non sappiamo nulla se non che era nato a Cana ed era soprannominato “zelota”. Giuda, chiamato Taddeo, per distinguerlo dall’altro Apostolo che avrebbe tradito Gesù, è ricordato soltanto come colui che nell’Ultima Cena pose la domanda al Signore: “com’è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?”. Di loro quindi si sa molto poco. C’è però tra i santi Simone e Giuda e il beato Giovanni XXIII qualcosa che li accomuna in modo speciale, un tratto caratteristico delle loro personalità che li unisce: è il comune desiderio di servire il Signore senza troppi clamori e senza la pretesa di fare notizia.

La storia tace dell’azione di san Simone e di san Giuda anche se non mancano belle ed interessanti tradizioni popolari: san Simone fu apostolo prima in Palestina e quindi in Abissinia dove venne crocifisso; altri raccontano di un suo martirio ancor più crudele, quello della sega. Di san Giuda, lo storico Niceforo Callisto riferisce invece che, dopo aver evangelizzato la Palestina, la Siria e la Mesopotamia, fu martirizzato a Edessa, anche se altri narrano che morì martire ad Arad presso Beirut.

Come questi due Apostoli, Angelo Giuseppe Roncalli ha trascorso la più gran parte della sua vita, diremmo, “in periferia”, con compiti delicati, ma lontani dai riflettori della pubblica opinione. Ha servito la Chiesa con lo spirito semplice di un “contadino” senza aspirare a privilegi e promozioni, non amante del clamore della pubblicità. E quando ebbe a ricoprire incarichi di alta responsabilità e di primo piano, conservò inalterato uno stile di affabile semplicità, di umile e docile obbedienza, ritenendosi sempre, pur quando era Papa, all’ultimo posto, cioè al servizio di tutti.

Mi vengono qui in mente le parole che egli rivolse a voi, Bergamaschi, nel corso della celebrazione eucaristica, l’8 dicembre del 1958 in questa stessa Basilica. “Bergamo – disse –, che ebbe nei secoli i suoi martiri, I suoi santi illustri, i suoi missionari generosi ed eroici, prelati dotti, vescovi venerandi, cardinali distintissimi di Santa Chiesa, ha oggi il suo Papa, anche lui nulla più che servo dei servi di Dio, ma figlio della sua terra e della sua sacra tradizione”.

Nel “Giornale dell’anima” e in altri appunti personali, il beato Giovanni XXIII rivela il segreto della sua santità. Scrive ad esempio: “La mia confusione mi induce a sentimenti di umiltà e di abbandono nel Signore. E’ Lui che ha veramente fatto tutto, e ha fatto senza di me che per nulla avrei potuto immaginare o aspirare a tanto. Non desidero, non penso ad altro che a vivere e morire per le anime che mi sono affidate”. Ed ancora: “Per i pochi anni che mi restano da vivere voglio essere un santo pastore nella pienezza del termine. La mia giornata deve essere sempre in preghiera; la mia preghiera è il mio respiro”. Senza la preghiera non può vivere il cristiano. Ce lo ricorda il brano evangelico, che abbiamo ascoltato, dove san Luca premette alla scelta dei 12 apostoli da parte di Cristo una brevissima nota: “Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione”.

Angelo Roncalli apprese a pregare in famiglia, una famiglia povera dove tutte le sere, il vecchio zio Zaverio, il capo di casa, intonava il rosario. E fu la preghiera il s
egreto della serenità e della fiducia che trasmetteva con la sua bontà. “Dobbiamo lasciarci portare dal Signore!”: ripeteva spesso, ed invocava, con filiale devozione, in ogni situazione anche le più difficili e complesse, la materna intercessione di Maria, con la giaculatoria: Mater mea, Fiducia mea.

Ci aiuti dal Cielo a percorrere questo stesso cammino di santità! Per questo invochiamo la sua intercessione proseguendo la celebrazione eucaristica. Vegli il beato Giovanni XXIII sulla vostra Diocesi e sull’intera Chiesa. Amen!

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ZENIT Staff

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