I quattro momenti della “lectio divina”

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CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 25 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’articolo a firma di Enzo Bianchi, Priore della Comunità di Bose, apparso su “L’Osservatore Romano” (25 ottobre 2008).

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di Enzo Bianchi

«È necessario che l’ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell’antica e sempre valida tradizione della lectio divina che fa cogliere nel testo biblico la Parola viva che interpella, orienta, plasma l’esistenza» (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, 39). La lectio divina è un atto di lettura della Bibbia che diviene ascolto della Parola di Dio. Suo fondamento teologico è la non coincidenza tra Parola di Dio (realtà rivelata pienamente nel Figlio Gesù Cristo) e Scrittura (che contiene la Parola senza esaurirla). Questa «lettura meditata e orante della Parola di Dio» (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 47), chiamata thèia anàgnosis (lectio divina) da Origene, indica l’applicazione quotidiana alla Scrittura per meditarla, pregarla e metterla in pratica. Finalizzata alla conoscenza di Gesù Cristo (Dei Verbum, 25), essa è una lettura individuale o comunitaria della Scrittura che si svolge, secondo la formulazione di Guigo il Certosino (XII secolo) in quattro momenti: lectio, meditatio, oratio e contemplatio.

Preceduto dall’invocazione dello Spirito, il primo movimento della lectio divina è la lettura. Si legge la Bibbia nella fede che in essa Dio ci viene incontro ed entra in relazione con noi. La lectio divina si esercita sulla Scrittura e non va confusa con un pio esercizio di lettura spirituale di un’opera di edificazione. Criteri pratici di lettura sono: o la lettura continua di un libro biblico oppure i testi (o il solo Vangelo) della liturgia del giorno. Occorre evitare il dilettantismo di chi sceglie soggettivamente i testi. È bene leggere il testo più volte e non solo con gli occhi, ma ad alta voce, per entrare realmente in quell’ascolto che, in quanto accoglienza di Colui che parla, è già preghiera. Chi fatica a leggere può ricopiare il testo scrivendolo. Chi conosce le lingue in cui la Bibbia è stata scritta troverà giovamento dal ricorso al testo originale. Comunque una buona traduzione, o il confronto con più traduzioni, aiuta a cogliere meglio il senso del testo.

Per introdurre persone semplici alla lectio divina è bene stabilire una gerarchia di libri da affrontare progressivamente accordando un primato ai vangeli che «tra tutte le Scritture (…) meritatamente eccellono» (Dei Verbum, 18). La struttura del Vangelo secondo Marco, basata su due parti rispondenti alle domande «Chi è Gesù? Come seguirlo?», è un’eccellente iniziazione alla lectio divina. La meditazione non è un’autoanalisi psicologizzante: la lectio divina cerca il volto del Signore liberando il credente da atteggiamenti autocentrati. La meditazione è approfondimento del senso della pagina biblica, dunque «studio», sforzo per superare la distanza culturale che ci separa dal testo. Questo momento è importante per rispettare il testo e non «falsificare la Parola di Dio» (Seconda lettera ai Corinzi, 4, 2). Nella meditazione è utile il ricorso alle note della Bibbia, alla consultazione dei passi paralleli, al confronto sinottico se si sta leggendo un vangelo, a una concordanza per allargare il significato del testo e per «leggere la Bibbia con la Bibbia». Anche strumenti come un vocabolario biblico o un commentario esegetico possono essere un valido aiuto per comprendere meglio il testo. Testi patristici ed eucologici possono fornire utili chiavi ermeneutiche. Tuttavia questo momento è finalizzato all’ascolto di una parola rivolta «a me oggi». Il fine non è l’erudizione ma la comunione con il Signore.

Nella meditazione si fa emergere la punta teologica del testo, il suo messaggio centrale, o comunque un suo aspetto che in quella concreta lectio divina si rivela «parlante». Allora con l’applicazione del testo a sé e di sé al testo inizia il dialogo e l’interazione tra il credente e la parola ascoltata. Il principio espresso dal filologo luterano Johann Albrecht Bengel — te totum applica ad textum, rem totam applica ad te — consente il passaggio alla preghiera. Con la preghiera la parola uscita da Dio ritorna a Dio in forma di ringraziamento, lode, supplica, intercessione (Isaia, 55, 10-11). La lectio divina si apre al «colloquio tra Dio e l’uomo» (Dei Verbum, 25) e diviene ingresso nell’alleanza. È lo Spirito che guida questo momento, ma a ispirare la preghiera è anche la Parola di Dio ascoltata: la lectio divina plasma una preghiera non devozionale, ma biblica ed essenziale. «La Parola di Dio cresce con chi la legge» (Gregorio Magno, In Hiezechielem I, 7, 8): se il testo biblico è immutabile, il lettore muta, cresce, e l’assiduità con le Scritture gli fa vivere i passaggi della vita come relazione con il Signore. I modi della oratio sono quelli che lo Spirito suscita: lacrime di gioia o di compunzione; silenzio adorante; intercessione per persone sofferenti evocate dal testo; lode e ringraziamento. A volte si resta nell’aridità e la preghiera non riesce a sgorgare. Allora si tratta di presentare il corpo atono come preghiera muta al Signore. Anche questi momenti concorrono a fare del credente un uomo di ascolto, sensibile alla presenza del Signore e capace di contemplazione.

Il credente sperimenta la «gioia ineffabile» (Prima lettera di Pietro, 1, 8) dell’inabitazione della presenza del Signore in lui. Bernardo ha parlato di tale esperienza successiva all’ascolto della Parola di Dio nei termini di «visita del Verbo»: «Confesso che il Verbo mi ha visitato, e parecchie volte. Sebbene spesso sia entrato in me, io non me ne sono neppure accorto. Sentivo che era presente, ricordo che era venuto; a volte ho potuto presentire la sua visita, ma non sentirla; e neppure sentivo il suo andarsene, poiché di dove sia entrato in me, o dove se ne sia andato lasciandomi di nuovo, e per dove sia entrato o uscito, anche ora confesso di ignorarlo, secondo quanto è detto: “Non sai di dove venga e dove vada”» (Sul Cantico dei Cantici, LXXIV, 5).

La contemplazione non allude a «visioni» o a esperienze mistiche particolari, ma indica la progressiva conformazione dello sguardo dell’uomo a quello divino; indica l’acquisizione del dono dello Spirito che diviene nell’uomo spirito di ringraziamento e di compassione, di discernimento e di makrothymía. La contemplatio non è un momento in cui bisogna fare qualcosa di particolarmente spirituale, ma è quotidiano allenamento ad assumere lo sguardo di Dio su di noi e sulla realtà, purificazione dello sguardo del cuore che arriva a discernere la terra, il mondo e gli uomini come templum, dimora di Dio.

La lectio divina plasma un uomo eucaristico, capace di gratitudine e di gratuità, di carità e di discernimento della presenza del Signore nelle diverse situazioni dell’esistenza. Iniziata con l’invocazione dello Spirito, la lectio divina sfocia nella contemplazione. Essa tende all’eucaristia, svelando il suo intrinseco legame con la liturgia: «La lectio divina, nella quale la Parola di Dio è letta e meditata per trasformarsi in preghiera, è radicata nella celebrazione liturgica» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1177).

Il dinamismo della lectio divina rappresenta il nucleo di tutta quanta la vita spirituale. Alla luce di questo, comprendiamo l’invito pressante di Benedetto XVI a riprendere e a diffondere la pratica della lectio divina per un rinnovamento della vita ecclesiale: «Vorrei soprattutto evocare e raccomandare l’antica tradizione della lectio divina… Questa prassi, se efficacemente promossa, apporterà alla Chiesa — ne sono convinto — una nuova primavera spirituale. La pastorale biblica deve dunque insistere particolarmente sulla lectio divina e incoraggiarla grazie a metodi nuovi, elaborati con cura e al passo con i nostri tempi» (Messaggio rivolto ai partecipanti al Congresso internazionale sulla Sacra Scrittura nella vita della Chiesa, Roma, 14-18 settembre 2005).

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ZENIT Staff

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