Paolo Mieli: la storia renderà giustizia a Pio XII

Intervista al Direttore del “Corriere della Sera”

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CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 11 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichamo l’intervista a Paolo Mieli, storico e Direttore del “Corriere della Sera”, apparsa su “L’Osservatore Romano” (8 ottobre 2008) .

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di Maurizio Fontana

Qualche volta la storia può arrivare su un palcoscenico e da lì ripartire, assolutamente stravolta. Questo accadde il 20 febbraio 1963 quando, al Freie Volksbühne di Berlino, andò in scena il dramma di Rolf Hochhuth Der Stellvertreter («Il vicario»). Da lì prese di fatto il via una «leggenda nera» che ha accompagnato la storiografia mondiale fino a oggi, alimentando  una campagna di odio nei confronti di Pio XII additato addirittura come un «ignobile criminale» e tacciato di filonazismo per i suoi «silenzi» sulla Shoah.  Anche all’interno del mondo cattolico.

A cinquant’anni dalla morte di Papa Pacelli la leggenda nera del «Papa di Hitler» è ancora viva sulle pagine dei giornali.  A parlarne è uno storico autorevole, di origine ebraica, che dirige il più importante quotidiano italiano, il «Corriere della Sera»,  in un colloquio a tre con il direttore del nostro giornale  e con chi scrive.

Si parla spesso del dramma di Hochhuth. In realtà perplessità sugli atteggiamenti di Papa Pacelli risalgono a molti anni prima. Quando nacque davvero il «problema Pio XII»?

Lo spartiacque è senz’altro la messa in scena del Vicario, ma alcune accuse, anche se non si configurarono come quelle di Hochhuth, furono addirittura precedenti l’inizio stesso della guerra. Il primo a parlare delle titubanze di Pio XII fu infatti Emmanuel Mounier che, nel maggio del 1939, rimproverò garbatamente un silenzio che metteva in imbarazzo migliaia di cuori: quello di Pio XII in merito all’aggressione italiana all’Albania. Della stessa natura fu il secondo indice puntato da parte di un altro intellettuale cattolico francese, François Mauriac, che nel 1951 lamentò, nella prefazione a un libro di Léon Poliakov, che gli ebrei perseguitati non avessero avuto il conforto di sentire dal Papa condanne con parole nette e chiare  per la «crocifissione di innumerevoli fratelli nel Signore». Va d’altra parte ricordato che lo stesso libro — uno dei primi testi importanti sull’antisemitismo — avanzava delle giustificazioni a quei silenzi. In sostanza, scriveva l’ebreo Poliakov, il Papa era stato silente per non compromettere la sicurezza degli ebrei in modo maggiore di quanto non fosse già compromessa.

Quindi il primo intervento di uno studioso ebreo sull’argomento fu molto cauto?

Direi di più. A parte Poliakov, le prime valutazioni di esponenti delle comunità ebraiche di tutto il mondo non furono solo caute, ma addirittura calde nei confronti di Pio XII.

Può essere intervenuto in questa cautela il fatto che le vere accuse al Papa comincino a venire, già durante la guerra, da parte sovietica?

Certamente Pio XII fu un Papa anche — e sottolineo «anche» — anticomunista. E durante questi decenni di polemiche gli è stato spesso rimproverato di essere stato turbato da questa visione. Ricordiamo, ad esempio, due suoi famosi discorsi pronunciati prima di diventare Papa, nel corso di due viaggi in Francia (1937) e in Ungheria (1938), in cui venivano sottolineate maggiormente le persecuzioni del regime comunista piuttosto che quelle del regime nazista. A questo riguardo va però fatta una premessa: la tematizzazione della Shoah come noi oggi la recepiamo è di molti decenni successiva alla fine della seconda guerra mondiale. Io ricordo che negli anni Cinquanta e Sessanta si parlava ancora approssimativamente di deportati nei campi di concentramento. Si sapeva che agli ebrei era toccata la sorte peggiore, ma la piena consapevolezza della Shoah è qualcosa di successivo.

Negli anni Trenta, pochissimi avevano l’idea di quello che poteva accadere agli ebrei. Certo, in Germania c’era stata la «notte dei cristalli». Ma è ovviamente molto più facile leggere e comprendere i fatti oggi, col senno del poi. E gli ebrei fuggiti dalla Germania non furono accolti a braccia aperte in nessuna parte del mondo, neanche negli Stati Uniti. Insomma, fu un problema complesso. Il mondo occidentale, il mondo civile, tranne alcune eccezioni, non capì, non si rese conto di quello che stava accadendo. Perciò quando noi parliamo di un Papa alla fine degli anni Trenta, possiamo comprendere che fosse più sensibile alle persecuzioni anticristiane in Unione Sovietica rispetto a quanto stava emergendo nel mondo nazista. Questo non vuol dire che fosse un nazista camuffato.

Anni Trenta: la polemica spesso si sposta anche su Pio XI…

Uno dei rimproveri portati al cardinale Pacelli, segretario di Stato di Pio XI, è stato quello di averne attenuato le condanne del nazionalsocialismo. Tra le tante accuse — secondo me non del tutto giustificate — che ha ricevuto Pacelli c’è stata anche quella di aver smussato, di aver attenuato i toni di quell’enciclica. In realtà, esaminando sotto il profilo storico l’attività di Papa Pacelli, ricorderei alcuni particolari. Quando iniziò la guerra egli criticò l’apatia della Chiesa francese sotto la dominazione nazista nella Francia di Vichy; poi criticò l’antisemitismo, quello sì evidente, del monsignore slovacco Josef Tiso; diede — come ben raccontato in un libro di Renato Moro, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, Il Mulino — la propria disponibilità e addirittura una mano, con decisione rischiosissima, a dei complotti contro Hitler tra il 1939 e il 1940.

Continuo: quando nel giugno 1941 l’Unione Sovietica fu invasa dalla Germania, c’era una certa resistenza nel mondo occidentale a stringere accordi con chi fino a quel momento aveva combattuto la guerra dalla parte della Germania nazista. Pio XII invece si diede molto da fare per facilitare un’alleanza fra Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica. E infine il capitolo più importante: durante l’occupazione nazista di Roma — come raccontato ad esempio in due libri, quello famoso di Enzo Forcella (La resistenza in convento, Einaudi) e l’altro appena uscito di Andrea Riccardi (L’inverno più lungo, Laterza) — la Chiesa mise a disposizione tutta se stessa: quasi ogni basilica, ogni chiesa, ogni seminario, ogni convento ospitò e diede una mano agli ebrei. Tant’è che a Roma, a fronte dei duemila ebrei deportati, diecimila riuscirono a salvarsi. Ora, non voglio dire che tutti quei diecimila li salvò la Chiesa di Pio XII, però senz’altro la Chiesa contribuì a salvarne la maggior parte. Ed è impossibile che il Papa non fosse a conoscenza di quello che facevano i suoi preti e le sue suore.

Il risultato fu che per anni, anni e anni — ci sono decine di citazioni possibili — personalità importantissime del mondo ebraico hanno riconosciuto questo merito intestandolo esplicitamente a Pio XII. Di queste testimonianze si è persa ormai quasi traccia. Ne ha parlato, ad esempio, un bel libro di Andrea Tornielli (Pio XII il Papa degli ebrei, Piemme). È una letteratura molto vasta di cui vorrei fornire qualche scampolo. Nel 1944 il gran rabbino di Gerusalemme, Isaac Herzog, dichiara: «Il popolo d’Israele non dimenticherà mai ciò che Pio XII e i suoi illustri delegati, ispirati dai principi eterni della religione che stanno alla base di un’autentica civiltà, stanno facendo per i nostri sventurati fratelli e sorelle nell’ora più tragica della nostra storia. Una prova vivente della divina provvidenza in questo mondo».

Nello stesso anno, il  sergente maggiore Joseph Vancover scrive: «Desidero raccontarvi della Roma ebraica, del gran miracolo di aver trovato qui migliaia di ebrei. Le chiesa, i conventi, i frati e le suore e soprattutto il Pontefice sono accorsi all’aiuto e al salvataggio degli ebrei sottraendoli agli artigli dei nazisti, e dei loro collaborazionisti fascisti italiani. Grandi sforzi non scevri da pericoli sono stati fatti per nascondere e nutrire gli ebrei dura
nte i mesi dell’occupazione tedesca. Alcuni religiosi hanno pagato con la loro vita per quest’opera di salvataggio. Tutta la Chiesa è stata mobilitata allo scopo, operando con grande fedeltà. Il Vaticano è stato il centro di ogni attività di assistenza e salvataggio nelle condizioni della realtà e del dominio nazista». Cito poi da una lettera dal fronte italiano del soldato Eliyahu Lubisky, membro del kibbutz socialista Bet Alfa. Fu pubblicata sul settimanale «Hashavua» il 4 agosto 1944: «Tutti i profughi raccontano il lodevole aiuto da parte del Vaticano. Sacerdoti hanno messo in pericolo le loro vite per nascondere e salvare gli ebrei. Lo stesso Pontefice ha partecipato all’opera di salvataggio degli ebrei». Ancora, 15 ottobre 1944. Registriamo la relazione del Commissario straordinario delle comunità israelitiche di Roma, Silvio Ottolenghi: «Migliaia di nostri fratelli si sono salvati nei conventi, nelle chiese, negli extraterritoriali. In data 23 luglio ho avuto l’ordine di essere ricevuto da Sua Santità al quale ho portato il ringraziamento della comunità di Roma per l’assistenza eroica e affettuosa fattaci dal clero attraverso i conventi e i collegi (…) Ho riferito a Sua Santità il desiderio dei correligionari di Roma di andare in massa a ringraziarlo. Ma tale manifestazione non potrà essere fatta che alla fine della guerra per non pregiudicare tutti coloro che al nord hanno ancora bisogno di protezione».

Questo a guerra ancora in corso. Veniamo a oggi…

Oggi purtroppo l’attenzione su Pio XII è talmente forte che anche un normale dibattito storiografico s’incendia.

La questione scotta a tal punto che ancora c’è il problema della famosa fotografia a Yad Vashem e della sua didascalia. Nonostante la massa di testimonianze appena accennate. Cos’è successo?

È successo che nel corso degli anni si è diffusa la leggenda nera di Pio XII. Ricordiamo i libri di John Cornwell (Hitler’s Pope, «Il Papa di Hitler») e di Daniel Goldhagen (Hitlers willige Vollstrecker, «I volenterosi carnefici di Hitler») dove queste accuse si fanno più esplicite. Si è formato un senso comune per cui Pio XII viene visto come un Pontefice addirittura complice del Führer nazista. Una cosa pazzesca! E pensare che al processo Eichmann nel 1961 fu espresso un giudizio sul Papa che vale la pena rileggere. A parlare è Gideon Hausner, procuratore generale di Stato a Gerusalemme: «A Roma il 16 ottobre 1943 fu organizzata una vasta retata nel vecchio quartiere ebraico. Il clero italiano partecipò all’opera di salvataggio, i monasteri aprirono agli ebrei le loro porte. Il Pontefice intervenne personalmente a favore degli ebrei arrestati a Roma».

Solo due anni prima della rappresentazione del Vicario…

Ed è proprio dal 1963 che prende piede una revisione del ruolo di Pio XII di due tipi. Uno malizioso — interno alla Chiesa stessa — che contrapponeva a Pio XII la figura di Giovanni XXIII . Fu un’operazione devastante: si è trattato Giovanni XXIII come un Papa che avrebbe avuto nel corso della seconda guerra mondiale quelle sensibilità che invece Pio XII non aveva avuto. Una tesi molto bizzarra. E tra le righe delle invettive contro Pacelli, sembra emergere che al Pontefice sia stato presentato il conto per il suo anticomunismo. In realtà Pio XII è stato un Papa in linea con la storia della Chiesa cattolica del Novecento. Se si legge quello che ha scritto o si ascoltano in registrazione i suoi discorsi ci si rende conto come espresse, ad esempio, anche critiche al liberalismo. Voglio dire che non era affatto un alfiere dell’atlantismo anticomunista.

Non era cioè il cappellano dell’occidente…

Assolutamente no. L’immagine di Pio XII come il cappellano della grande offensiva anticomunista nella guerra fredda è fuorviante. Anche se, naturalmente, era anticomunista. E di questo anticomunismo gli è stato presentato un conto salatissimo che ne ha deformato l’immagine attraverso rappresentazioni teatrali, pubblicazioni e film. Ma chiunque abbia un atteggiamento non pregiudiziale e provi a conoscere Pacelli attraverso i documenti, non può che rimanere stupito di questa leggenda nera che non ha alcun senso. Pio XII è stato un grande Papa, all’altezza della situazione. È come se oggi rinfacciassimo a Roosevelt di non aver detto parole più chiare nei confronti degli ebrei. Ma come si può sindacare all’interno di una guerra e in più per una personalità disarmata com’è un Papa? La speciosità di questa offensiva nei confronti di Pio XII appare davvero sospetta a qualsiasi persona in buona fede ed è una speciosità a cui è doveroso opporre resistenza. Prima o poi ci sarà pure qualcuno che rileggerà i fatti alla luce anche delle testimonianze cui accennavo prima.

Ci sono differenze fra la storiografia europea (in particolare quella italiana) e quella americana su Pio XII?

Secondo me sì. Non dobbiamo dimenticare che questa avversione nei confronti di Pio XII è nata nel mondo anglosassone e protestante. Non è nata nel mondo ebraico che, invece, si è adattato nel tempo per non essere preso in contropiede da una campagna internazionale. Ovvero: se un Papa viene accusato di aver lasciato correre l’antisemitismo, ovviamente il mondo ebraico si sente impegnato a vederci chiaro. Si arriva così all’episodio della settima sala dello Yad Vashem dove è apparsa una fotografia del Papa con una didascalia che definisce «ambiguo» il suo comportamento. Oppure alla richiesta, nel 1998, da parte dell’allora ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede, Aaron Lopez, di una moratoria nella beatificazione di Pio XII. Ora, in questa storia della moratoria io non entro perché non è un problema storiografico. Però c’è qualcosa di eccessivamente pervicace nei confronti di questo Papa e puzza di bruciato lontano non un miglio ma dieci metri.

È dal 1963 che sono stati accesi i riflettori su Pio XII alla ricerca delle prove della sua colpevolezza e non è venuto fuori niente. Anzi, gli studi hanno portato alla luce una documentazione molto copiosa che attesta come la sua Chiesa diede agli ebrei un aiuto fondamentale. Mi ricordo a questo proposito un gesto molto bello: nel giugno 1955 l’Orchestra Filarmonica d’Israele chiese di poter fare un concerto in onore di Pio XII in Vaticano per esprimere gratitudine a questo Papa e suonò alla presenza del Papa un tempo della settima sinfonia di Beethoven. Questo era il clima. E allorché il Papa morì, Golda Meir — ministro degli Esteri d’Israele e futuro premier — disse: «Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata in favore delle vittime. Noi piangiamo la perdita di un grande servitore della pace». La voce del Pontefice per qualcuno non si era levata, ma loro l’avevano udita. Capito? Golda Meir aveva udito la sua voce. E William Zuckermann, direttore della rivista «Jewish Newsletter», scrisse: «Tutti gli ebrei d’America rendano omaggio ed esprimano il loro compianto perché probabilmente nessuno statista di quella generazione aveva dato agli ebrei più poderoso aiuto nell’ora della tragedia. Più di chiunque altro noi abbiamo avuto il modo di beneficiare della grande e caritatevole bontà e della magnanimità del rimpianto Pontefice durante gli anni della persecuzione e del terrore». Così è stato considerato Pio XII per anni, per decenni. Erano forse tutti pazzi? No, anzi, erano coloro che avevano subito le persecuzioni di cui Pio XII è incolpato come complice. Se noi lo prendiamo come un caso storiografico, quello della leggenda nera, è pazzesco. Però io penso che, a parte qualche polemista, ogni storico degno di questo nome si batterà — anche nel caso di persone come me che non sono cattolico — per ristabilire la verità.

Cosa è emerso fino a oggi dalla storiografia israeliana? C’è stata un’evoluzione nel giudizio degli storici? È ancora oggi acceso un dibattito su Pio XII?

Direi che la storiografia israeliana è mol
to trattenuta. In realtà il caso è ancora aperto per la pervicacia di un altro mondo che non è il mondo ebraico. Secondo me vanno considerati tre aspetti. Prima di tutto Pio XII paga il conto per il suo anticomunismo. Secondo: questo Papa conosceva bene la Germania e aveva avuto un atteggiamento filotedesco — che, attenzione, non vuol dire filonazista. Infine va detto che le critiche a Pio XII provengono sempre da mondi nei confronti dei quali le critiche potrebbero essere dieci volte tanto. Mondi che nel corso della Shoah non seppero dare una presenza neanche lontanamente vicina a quella che loro rimproverano a Pio XII di non avere avuto.

Vuole farci qualche esempio?

Penso a quanto è accaduto in Francia, in Polonia, ma anche negli stessi Stati Uniti. Ragioniamo: la tesi di coloro che accusano Pio XII è che tutti sapevano e che comunque si poteva sapere. Io allora vi chiedo: chi ricordiamo, durante la seconda guerra mondiale tra le personalità di questi mondi che abbiano levato la sua voce nella maniera in cui si rimprovera al Papa di non averlo fatto? Io non ne conosco.

Fa riferimento anche agli antifascisti italiani?

Assolutamente sì. Ma insomma: chi può essere indicato come qualcuno che ha fatto per gli ebrei qualcosa che il Papa non ha fatto? Io non ne conosco. Ci saranno casi singoli, come ci sono stati casi singoli di alti prelati della Chiesa. Almeno questo Papa tutto ciò che era nelle sue possibilità lo ha fatto. Ha consentito a diecimila ebrei che stavano a Roma — ma è successo anche in altre parti d’Italia —  di salvarsi rispetto ai duemila che invece sono stati uccisi. Non capisco quale dovrebbe essere il termine di paragone. Allora credo si possa ipotizzare che queste critiche, queste invettive partano da mondi che non hanno la coscienza in ordine rispetto a questo problema.

La leggenda nera è quindi un caso di cattiva coscienza?

Direi di sì. Non si spiega altrimenti. La verità è che l’odio per Pio XII nacque in un contesto preciso, quello dell’inizio della guerra fredda. Ricordiamo che fu il Papa che rese possibile la vittoria della Democrazia cristiana nel 1948. Io sono convinto che le accuse nei suoi confronti siano lo spurgo di un odio nato nella seconda metà degli anni Quaranta e negli anni Cinquanta. La letteratura ostile a Pio XII è successiva alla fine della guerra. In Italia, parte dopo la rottura dell’unità nazionale del 1947 e matura durante tutti gli anni Cinquanta in modo più acceso. Tutto questo deposito di odio o di forte avversione è emerso in anni successivi. Del resto, se fosse venuto alla luce immediatamente, gli ebrei che avevano avuto la vita salva per merito di questa Chiesa, non avrebbero consentito che si dicesse e si scrivesse quanto è stato detto e scritto. Essendo venuto fuori venti o trent’anni dopo, tutti i testimoni, tutti coloro che erano stati salvati — stiamo parlando di migliaia di persone — non c’erano più e il mondo nuovo dei loro figli assorbì quelle accuse. E infatti chi ha fatto e fa resistenza a queste accuse? Gli storici.

Per di più si sono poi aggiunte le voci dei cattolici che hanno contrapposto a Pio XII il suo successore, Giovanni XXIII .

Infatti credo che l’avvio delle cause di beatificazione dei due Papi sia stato annunciato contemporaneamente non certo per caso. Del resto quando Paolo vi andò in Terra Santa nel 1964 e parlò in termini molto caldi di Pio XII, non ci furono grandi proteste. Nessuno protestò. Ed era già partita l’operazione Vicario. Le accuse sembravano incredibili. Successivamente la valanga è venuta crescendo a mano a mano che scompariva la generazione dei testimoni diretti. Io comunque penso che a Pio XII sarà resa giustizia dagli storici.

Abbiamo accennato ai cattolici. «La Civiltà Cattolica» ha scritto  che Pio XII non ebbe voce di profeta. Non si tratta di un giudizio un po’ anacronistico? Forse il Pontefice sarebbe dovuto andare il 16 ottobre in ghetto come era andato a San Lorenzo poche settimane prima?

Sinceramente, quella parte di sangue ebraico che corre nelle mie vene mi fa preferire un Papa che aiuta i miei correligionari a sopravvivere, piuttosto di uno che compie un gesto dimostrativo. Un Papa che va in un quartiere bombardato è un Papa che piange sulle vittime, compie un gesto di calore e affetto per la città, mentre controversa poteva essere la sua presenza nel ghetto. Certo, col senno di poi si può dire di tutto, anche — come è stato scritto — che sarebbe stato giusto che si fosse buttato sulle rotaie per impedire ai treni di partire. Io penso però che si tratti di giudizi espressi alla leggera. E poi, sinceramente, su questi argomenti, rimproverare un altro di non aver fatto ciò che nessuno dei tuoi ha fatto, è un po’ azzardato. A me infatti non risulta che esponenti della Resistenza romana siano andati al ghetto o si siano buttati sulle rotaie. Sono discorsi veramente poco sereni.

Sulla polemica all’interno del cattolicesimo il rabbino David Dalin è arrivato a scrivere che Pio XII è il bastone più grosso di cui i cattolici progressisti possono disporre per usarlo come arma contro i tradizionalisti…

L’aspetto più sconveniente, ma a me evidente (anche se lo giudico dal di fuori), è che questa battaglia nel mondo cattolico che contrappone le figure di Giovanni XXIII e di Pio XII non è molto coraggiosa, perché nessuno la fa a volto scoperto. Non c’è un libro o un articolo di un rappresentante autorevole del mondo cattolico che dica chiaramente Giovanni XXIII sì e Pio XII no. È una battaglia condotta tra le righe, fatta di sottigliezze. Il discorso per me è semplice: o si è davvero convinti che Pio XII sia stato un Papa complice del nazismo, oppure se le cose stanno nei termini discussi in questa intervista, allora certa gente dovrebbe rendersi conto che questi argomenti contribuiscono solo alla persistenza della leggenda nera su questo Papa. Si noti bene: io credo che questa leggenda nera abbia i tempi contati. Pio XII non sarà un Papa segnato da una damnatio memoriae.

Perché dice questo?

Proprio dal punto di vista storico le evidenze a favore sono tali e tante, e la mancanza di evidenze contro è così ampia che questa offensiva contro Pio XII è destinata a esaurirsi.

Un’ultima domanda sull’atteggiamento di Pio XII. Come si possono ricostruire i caratteri del suo silenzio operoso nei confronti della Shoah?

Io ho pensato molto spesso a Pio XII provando a immaginare che tipo di personalità fosse. È stato paragonato a Benedetto XV, il Papa della prima guerra mondiale. Ma la seconda guerra mondiale è stata molto diversa. Sicuramente Pacelli è stato una persona tormentata, che ha avuto dei dubbi. Lui stesso si soffermò nel 1941 sul proprio «silenzio». Si è trovato in un crocevia terribile che ha messo in discussione alcuni suoi convincimenti. Poi ha avuto un periodo successivo alla guerra molto lungo, fino al 1958, in cui ha continuato a essere un Papa forte, presente, importante, decisivo per la ricostruzione dell’Italia nel dopoguerra. Forse è stato il Papa più importante del Novecento. Fu sicuramente tormentato da dubbi. Sulla questione del silenzio, come ho detto, si è interrogato. Ma proprio questo mi dà l’idea di una sua grandezza. Tra l’altro mi ha molto colpito un fatto. Una volta finita la guerra, se Pio XII avesse avuto la coscienza sporca, si sarebbe vantato dell’opera di salvezza degli ebrei. Lui invece non l’ha mai fatto. Non ha mai detto una parola. Poteva farlo.

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ZENIT Staff

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