Interventi al Sinodo del pomeriggio dell'8 ottobre

CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 9 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito gli interventi al Sinodo sulla Parola di Dio, pronunciati nel pomeriggio di mercoledì 8 ottobre, quando ha avuto inizio la quinta Congregazione generale.

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S.E.R. Mons. Donald William WUERL, Arcivescovo di Washington (STATI UNITI D’AMERICA)

Durante una liturgia celebrata per circa 50.000 persone raccolte al National Park di Washington, lei, Santo Padre, ci ha parlato della necessità di comprendere il nostro tempo alla luce della prima Pentecoste, nonché come viva espressione di essa. Nell’ambito di queste riflessioni, vorrei far riferimento all’opportunità che ci offrono le nostre omelie e il lavoro di catechesi, di rinnovare il senso di unione con Cristo e la sua Parola in seno alla Chiesa.
Oggigiorno, il contesto cui si rivolge la maggior parte della nostra predicazione, per lo meno nella mia esperienza, è caratterizzato da una visione marcatamente secolare e materialistica in cui la persona è considerata molto più come un individuo isolato che non come un membro integrato in una comunità. Questa auto-percezione individualistica, combinata con una conoscenza minima della Parola di Dio che viene proclamata nella Chiesa, costituisce una sfida per noi che cerchiamo di proclamare la rivelazione di Dio, la verità rivelata.
L’omelia ci offre l’opportunità di aprire più pienamente i cuori dei nostri fedeli alla Parola di Dio, in un modo in cui il contesto e i contenuti della fede vengono ricondotti alla riflessione su specifici passi delle Scritture di una particolare Liturgia. Venti secoli di meditazione sulla Parola di Dio ci forniscono il contenuto della nostra proclamazione di fede. Noi predichiamo la Parola di Dio e il suo significato nelle circostanze del nostro tempo e impegniamo la nostra gente in un più profondo apprezzamento di essa come risposta ai problemi dell’oggi.
La liturgia è, al contempo, un atto di culto e un momento di pedagogia. Il ciclo triennale del Lezionario, nella sua presentazione delle Scritture, ci offre la straordinaria opportunità di ricollegarci al Catechismo della Chiesa Cattolica, ricco di un bagaglio di meditazione biblica di duemila anni. Entrambi, il Lezionario e il Catechismo della Chiesa Cattolica, dovrebbero essere considerati in correlazione.
Il compito è aiutare i nostri fedeli a comprendere che essi sono parte della Chiesa, una comunità visibile che è anche comunione spirituale. L’omelia liturgica rappresenta la migliore opportunità per i nostri fedeli di incontrare la persona viva di Cristo nell’ambito di un autentico contesto ecclesiale e comunitario. L’integrazione di elementi del Catechismo della Chiesa Cattolica con le letture del Lezionario ci permette di dimostrare in che modo la Parola di Dio è capace di animare la nostra vita personale e comunitaria con Cristo e, nel contempo, di esprimere la fede della Chiesa che è stata arricchita in maniera incommensurabile da duemila anni di viva tradizione. In tal modo l’omelia aiuta i fedeli a comprendere più pienamente la Parola di Dio e lo fa proprio perché essa è proclamata e interpretata nel contesto corretto, cioè, alla luce della tradizione liturgica, dottrinale e morale della Chiesa stessa. La comprensione del contesto ecclesiale della rivelazione di Dio aiuta coloro che ascoltano la parola di Dio non solo a riaffermare il significato della Parola, ma anche la fedeltà e l’adesione al corpo di Cristo, la Chiesa.
Ciò che voglio dire con questo mio intervento è semplicemente che, date le opportunità che ci offrono le nostre omelie e la nostra istruzione religiosa, dovremmo guardare al Catechismo della Chiesa Cattolica come a una risorsa di grande ricchezza. Questo compendio di fede è uno strumento che permette a sacerdoti e catechisti di presentare proficuamente la Parola di Dio nella ricchezza e nella profondità del suo contesto ecclesiale. Grazie.

– S.E.R. Mons. Tomash PETA, Arcivescovo di Maria Santissima in Astana, Presidente della Conferenza Episcopale (KAZAKISTAN)

Nel Documento di lavoro del nostro Sinodo, parte prima, capitolo III, c’è un bellissimo testo dedicato alla Beata Vergine Maria : “Maria modello di accoglienza della Parola per il credente”.
Questo testo non è semplicemente una devota aggiunta: Secondo me si tratta di punti fondamentali che riguardano la Parola di Dio.
Da una parte, Maria appare come il migliore esempio di accoglienza della Parola di Dio, dell’apertura di un cuore umano alla Parola di Dio.
Dall’altra, essa stessa, con la sua profonda e completa unione con Gesù – il “Verbo incarnato” – rappresenta un meraviglioso commento alla Parola di Dio.
Possiamo addirittura dire che la sua vita è “la chiave per comprendere la Bibbia”. Alla luce della sua esistenza, noi siamo in grado di leggere tutta la Bibbia, e così di comprendere meglio i misteri di Cristo e della Chiesa, sì, tutto il piano di salvezza di Dio. Il Documento di lavoro sottolinea che il Santo Rosario è una “forma semplice e universale di ascolto orante della Parola”. Sono convinto che sia importante, per il tempo in cui viviamo, ricordare e promuovere questa forma di preghiera, perché è la via per giungere a Maria, lei, che ha compreso e si è unita alla Parola di Dio più di ogni altro.
Nel nostro paese, il Kazakistan, in Asia centrale, una quantità innumerevole di cattolici, deportati in questa regione, non hanno avuto per decenni la possibilità di accostarsi a sacerdoti, chiese, Bibbie o sacramenti (eccetto il battesimo dei figli, che amministravano da soli), ma avevano il Rosario. Ed è proprio grazie alla preghiera del Santo Rosario che sono riusciti a conservare la fede, la comprensione delle verità fondamentali della religione cattolica, la propria dignità umana e la speranza di tempi migliori.
Decenni dopo, la pronipote di qualche deportato ha scritto in un inno religioso le seguenti parole:
“Maria, nella steppa del Kazakistan hai aperto la porta per me,
mi sei venuta incontro con il Rosario,
O beatissima, beatissima
beatissima e santissima”.
Maria, in quanto “chiave per comprendere la Parola di Dio” rappresenta un ausilio non soltanto nella cura pastorale biblica o nello sviluppo della devozione personale, ma anche in tutti i settori legati alla Parola di Dio e alla Bibbia.
Il tema del nostro Sinodo “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa” non può essere meditato profondamente senza Maria.
La Madre di Dio – e Madre della Chiesa – ci insegna ad ascoltare e accogliere la Parola di Dio, a vivere conformemente ad essa, e inoltre a proclamarla con coraggio in tutta la sua pienezza, senza scendere a compromessi con il “mondo comune”.

– S.E.R. Mons. Eduardo Porfirio PATIÑO LEAL, Vescovo di Córdoba (MESSICO)

Oggi assume una particolare importanza aiutare a comprendere la giusta relazione tra Rivelazione pubblica e costitutiva del Credo cristiano e le rivelazioni private, sceverando la pertinenza di queste alla fede genuina (Lineamenta 8). Esempi illuminanti ne sono l’Enciclica Haurietis Aquas, di S.S. Pio XII e la nota esplicativa al Terzo Segreto di Fatima dell’allora Cardinale Ratzinger. Riconosciamo con gratitudine i frutti spirituali che Dio ha concesso alla Chiesa mediante tali esperienze religiose.
Il numero 7 del Documento di Lavoro constata che spesso l’attuale esperienza religiosa è “più emotiva che convinta, a causa della scarsa conoscenza della dottrina”: si tende piuttosto verso la soggettività e il piacere di crearsi una religione a misura di ciascuno. Le persone semplici e di buona volontà sono attratte da presunte manifestazioni, ma, talvolta, si trasformano in gruppi religiosi isolati all’interno della Chiesa Cattolica, che diffondono devozioni e orientamenti spirituali la cui origine risale a “messaggi e rivelazioni privati”, i quali devono essere valutati con prudenza e comunque devono dare impulso alla Rivelazione pubblica integrale nella Tradizione viva della Chiesa. Si propone dunque di riaffermare la dottrina della Dei Verbum 4 e del Catechismo
della Chiesa Cattolica 66-67, nonché di ribadire ai pastori la raccomandazione di incanalare opportunamente queste esperienze religiose, mediante criteri attualizzati secondo l’ambiente di mobilità e globalizzazione in cui viviamo.

– Rev. Julián CARRÓN, Presidente di Comunione e Liberazione (SPAGNA)

L’interpretazione della Bibbia è una delle preoccupazioni più sentite oggi nella Chiesa. il nocciolo della sfida sollevata dalla vicenda della interpretazione moderna della Sacra Scrittura l’aveva identificato anni fa l’allora cardinale Ratzinger: “Come mi è possibile giungere ad una comprensione che non sia fondata sull’ arbitrio dei miei presupposti, una comprensione che mi permetta veramente d’intendere il messaggio del testo, restituendomi qualcosa che non viene da me stesso?”.
In merito a questa difficoltà, il Magistero recente della Chiesa ci offre elementi per uscire da ogni possibile riduzione.
È stato pregio del Concilio Vaticano II aver recuperato un concetto di rivelazione come avvenimento di Dio nella storia. In effetti, la Dei Verbum permette di comprendere la rivelazione come l’avvenimento dell’autocomunicazione della Trinità nel Figlio “mediatore e pienezza di tutta intera la Rivelazione” (DV 2). È Cristo che “col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l’invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione” (DV 4).
Questo avvenimento non appartiene soltanto al passato, a un momento del tempo e dello spazio, ma rimane presente nella storia, comunicandosi attraverso la totalità della vita della Chiesa che lo accoglie. Infatti “la contemporaneità di Cristo rispetto all’uomo di ogni tempo si realizza nel suo corpo, che è la Chiesa” (VS 25; cf. FR 1l).
L’enciclica Fides et Ratio caratterizza l’impatto che la verità rivelata provoca nell’uomo che la incontra secondo un duplice impulso: a) dilatare la ragione per adeguarla all’oggetto; b) facilitarne l’accoglimento del suo senso profondo. Invece di mortificare la ragione e la libertà dell’uomo, la rivelazione permette di sviluppare entrambe al massimo della loro condizione originale.
L’esperienza dell’incontro con Cristo presente nella tradizione viva della Chiesa è un avvenimento e diventa, perciò, il fattore determinante dell’interpretazione del testo biblico. È l’unico modo di entrare in sintonia con l’esperienza testimoniata dal testo della Scrittura. Infatti, “la giusta conoscenza del testo biblico è accessibile dunque solo a chi ha un’ affinità vissuta con ciò di cui il testo parla.” (PCB 70). Icasticamente lo riassumeva sant’Agostino: “In manibus nostris sunt codices, in oculis nostris facta”.


– Rev. P. Heinz Wilhelm STECKLING, O.M.I., Superiore Generale dei Missionari Oblati di Maria Immacolata

È bene ricordare che “parola di Dio” è più che un sinonimo di Sacra Scrittura. Dio si rivela a noi in molti modi, non solo attraverso la Bibbia. Ma noi, sentiamo Dio parlare? Davvero scopriamo “le scintille della Parola” nella cultura umana, nel dialogo interreligioso, nella nostra vita?
Molti esempi positivi di ascolto della voce di Dio, sia nella Scrittura, sia nella vita, sono dati dai fondatori degli istituti religiosi. La Bibbia aveva mantenuto in esercizio il loro ascolto, dando loro il vocabolario e la grammatica per comprendere il linguaggio di Dio. Per questo sono stati capaci di ascoltare la parola di Dio in modi nuovi, come per esempio ha fatto il mio fondatore, san Eugenio Mazenod, negli sconvolgimenti della Francia post-rivoluzionaria.
Qual è dunque il rapporto tra la parola di Dio biblica e quella extra-biblica? Si potrebbe affermare che la Bibbia è un corso di lingua in cui impariamo ad ascoltare. Tuttavia, la Scrittura rimarrebbe lettera morta se trascorressimo tutta la nostra vita a scuola senza uscire per ascoltare la voce di Dio nel mondo che ci circonda. Stabilire un contatto con le ricchezze della Bibbia può servire – si potrebbe dire – come “corso di lingua basilare” per ascoltare meglio e obbedire oggi alle molte parole di Dio e al suo consiglio nella vita personale di ciascuno e nel mondo intorno a noi.
La Parola eterna del Padre trasmette i suoi semi più diffusamente di quanto è contenuto nella Bibbia. Possa la sua parola essere udita e ascoltata ovunque; non solo nella Scrittura, ma anche nelle molteplici voci che risuonano nel creato e nella nostra vita quotidiana, affinché sia fatta la Sua volontà e venga il Suo Regno.


– S.E.R. Mons. Orlando ROMERO CABRERA, Vescovo di Canelones (URUGUAY)

1. Dio ci viene incontro nella sua Parola, come Gesù che va a casa di Marta e Maria.
Nella Bibbia, la Chiesa non solo legge la Parola di Dio, ma Dio le viene incontro come il Dio della Parola.
2. L’attitudine dinanzi a Dio che parla è l’ascolto. La Chiesa è discepola che ascolta ai piedi del Maestro e deve essere maestra dell’ascolto.
Nella testimonianza del proprio ascolto della Parola di Dio, che parla nel linguaggio umano, la Chiesa si fa maestra dell’ascolto, nello stesso Spirito in cui fu ispirata la Parola (DV 12).
3. La Parola di Dio deve essere ispiratrice di tutta la vita e la Pastorale; perciò proponiamo l’animazione biblica della pastorale.
La Parola non è un elemento in più nella vita e nella pastorale della Chiesa, ma costituisce un’asse che la sostiene e la mette in moto.
4. In questa chiave di animazione biblica della Pastorale, il cammino della Lectio divina si rivela luogo privilegiato perché la parola sia fatta vita nei discepoli.

– S.E.R. Mons. Terrence Thomas PRENDERGAST, S.I., Arcivescovo di Ottawa (CANADA)

“Difficoltà con l’Antico Testamento”. Il tema al n. 17 del Documento di lavoro tratta delle difficoltà che molti cattolici incontrano con l’Antico Testamento.
Propongo che il Sinodo analizzi la perdita di fiducia dei cattolici riguardo al fatto che la Scrittura comunichi veramente la rivelazione di Dio, rifletta su come questo possa essere dovuto all’influenza degli studi biblici moderni sulla predicazione e rinnovi la comprensione che la Chiesa ha del significato spirituale della Scrittura come provvedimento.

– S.E.R. Mons. Félix LÁZARO MARTÍNEZ, Sch. P., Vescovo di Ponce (PORTO RICO)

Si rende necessaria oggi, per la sua importanza, per il momento che vive la Chiesa, una riflessione sulla Parola scritta. La Chiesa come custode di un deposito tanto prezioso ha il compito di conservarla, trasmetterla e interpretarla.
Perché i fedeli abbiano l’opportunità di leggere e conoscere la Parola scritta rivelata e ricorrere alle Scritture per la propria lettura e preghiera, la prima cosa necessaria è che le Conferenze Episcopali si assumano la responsabilità che ci siano edizioni riconosciute approvate, alla portata di tutte le tasche.
È chiaro che la Parola di Dio si trova nell’unità di Tradizione e Scrittura, interpretata in modo autentico dal Magistero. Tuttavia non si è riflettuto sufficientemente sulla dinamica fra Tradizione e Scrittura.
Il rapporto fra Scrittura, Tradizione e Magistero risulterebbe arricchito da una mutua compenetrazione fra teologia ed esegesi. È il Popolo di Dio a subire le conseguenze della dicotomia esistente fra teologia ed esegesi. Sarebbe molto utile se i fedeli comprendessero il rapporto fra Scrittura e Credo.
È importante vivere la spiritualità che nasce dalla Parola. La spiritualità della e nella Parola comporta la disposizione dello spirito ad ascoltare la Parola (profeta Elia) e, quindi, a rispondere nella fede; che il fedele senta che Dio gli parla e che egli può rispondere. Questa è la storia dei santi uomini e donne delle Scritture, e questa è la storia della Chiesa (Eb,11,1-40).
Ci sono vari modi di farlo, quali la Lectio divina, la Messa domenicale, la recita dell’Ufficio divino e la liturgia.



S.Em.R. Card. William Joseph LEVADA, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (CITTÀ DEL VATICANO)

Una prima osservazione si riferisce alla necessità di chiarire il rapporto tra la Bibbia e la Chiesa. È nella fides Ecclesiae che si ha la comprensione retta del Libro sacro e la frequentazione amorosa del Libro non può non promuovere un senso· ecclesiale della fede.
Una seconda osservazione riguarda l’interpretazione delle Sacre Scritture che non può essere soltanto uno sforzo scientifico individuale, ma deve essere sempre confrontata, inserita ed autenticata dalla tradizione vivente della Chiesa. Sebbene l’interpretazione dei testi biblici debba far sempre tesoro della ricerca scientifica degli esegeti, essa avrà anche bisogno di una ermeneutica che sviluppi lo stretto nesso tra Parola di Dio e la fede della Chiesa, professata nel Credo ed espressa attraverso i secoli nell’insegnamento dottrinale del Magistero.
Come terza osservazione vorrei accennare allo stretto rapporto che esiste tra Sacra Scrittura ed ecumenismo. Si è constatato che la Bibbia è veramente un terreno di unità. Nello stesso tempo non si potrà ignorare il fatto storico che alla radice delle divisioni tra i cristiani vi è proprio l’interpretazione controversa di alcuni importanti e fondamentali testi biblici. Basti pensare nell’antichità cristiana alla crisi ariana e all’inizio dell’evo moderno alla riforma protestante. Il Sinodo dovrà tenere presente questo aspetto ecumenico, poiché l’attenzione data alla Parola di Dio scritta è certamente un legame molto forte che avvicina la Chiesa cattolica alle altre confessioni in una ricerca comune.Infine, come quarta ed ultima osservazione, vorrei fare riferimento al rapporto tra Sacra Scrittura e Liturgia. È bene ricordare come nella Liturgia la narrazione biblica diventa attuale evento di salvezza.


– S.Em.R. Card. Zenon GROCHOLEWSKI, Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica (CITTÀ DEL VATICANO)

Mi soffermo sulle diverse forme dell’insegnamento superiore ecclesiastico, nelle quali la Parola di Dio deve costituire la base per la conoscenza di tutte le verità della fede e la fonte della vita.
1. Oggi si moltiplicano gli istituti di studio soprattutto per i laici e le persone consacrate, ma nello stesso tempo sembra aumentare anche la ignoranza religiosa. La recente ricerca, commissionata dalla Federazione Biblica Cattolica in 10 Paesi europei, ha dimostrato una ignoranza incredibile dei fedeli circa le nozioni elementari riguardanti la Bibbia, come: “I Vangeli sono parte della Bibbia?”, “Gesù ha scritto libri della Bibbia?”, “Chi tra Mosè Paolo era un personaggio dell’ Antico Testamento?”, ecc. Tale ignoranza è un terreno fertile per le sette. Di qui alcuni accorgimenti che devono però essere considerati insieme:
a. Fatichiamo tanto, ma forse non distribuiamo ragionevolmente le forze nelle diverse forme e gradi di insegnamento. L’aumento degli istituti va spesso a scapito di un insegnamento più diffuso nella pastorale ordinaria. Diminuisce il numero dei sacerdoti, ma aumenta il numero di quei presbiteri che si sentono chiamati ad essere professori, svalutando la cura pastorale ordinaria, ma proprio di questa tratta principalmente l’Instrumentum laboris. La Parola di Dio è rivolta a tutti, è destinata a fruttificare in tutti. Siamo responsabili pure per una giusta economia nell’uso delle forze di insegnamento, che abbiamo a disposizione, per far efficacemente crescere ed operare tutto il Corpo Mistico di Cristo.
In questa prospettiva, sarebbero da favorire e diffondere appropriati corsi di scienze sacre senza fornire i titoli accademici, in quanto più facilmente accessibili ad un pubblico più vasto.
b. I diversi Istituti di insegnamento superiore vengono incaricati di corsi monografici, a scapito però delle conoscenze fondamentali bibliche, dogmatiche, morali. Si suppongono, ingenuamente, tali conoscenze che però gli studenti non hanno, e quindi la formazione intellettuale, dal punto religioso, non è organica né coerente né fruttuosa; e quindi non prepara a realizzare quanto postulato nell’ Instrumentum laboris riguardo alla pastorale biblica. Si deve attribuire importanza alle verità fondamentali di fede, ricollegate alla Parola di Dio, perché esse determinano la nostra vita cristiana, il nostro rapporto con il Signore, la nostra gioia cristiana.
2. Sono molto contento – in quanto connesso con ciò che ho detto poco fa – che nell’Instrumentum laboris sono stati messi in luce elementi che appartengono alla metodologia degli studi e dell’insegnamento in scienze ecclesiastiche, che ai nostri tempi esigono di essere accentuati in ordine alla giusta impostazione dell’insegnamento: a. Una chiara distinzione fra i detentori del “munus docendi” nella Chiesa e tutti gli altri che comunque devono essere annunciatori della Parola di Dio; b. L’importanza sostanziale del Magistero, messa perspicacemente in risalto dalla Dei Vebum 10, per comprendere, interpretare ed insegnare la Parola di Dio; c. La necessità della preghiera,· dell’ascolto, della fede, della docilità allo Spirito Santo, per conoscere il vero senso teologico-spirituale della Parola di Dio; d. Il primato della testimonianza nell’annuncio della Parola di Dio.


– S.E.R. Mons. Colin David CAMPBELL, Vescovo di Dunedin (NUOVA ZELANDA)

Titolo: “Il Vangelo: una lettera di amore al mondo”
Nella parte seconda del Documento di Lavoro, all’inizio del capitolo quarto (pagina 37) la Parola della Scrittura viene descritta come “una parola che Dio indirizza a ciascuno personalmente come una lettera nelle concrete circostanze”. Tanto più lo è il Vangelo comunicato direttamente da Gesù, Parola di Dio. Dal punto di vista pastorale, dobbiamo approfondire in che modo Gesù ha fatto questo e, come pastori del popolo di Dio, dobbiamo seguire il suo esempio. Dobbiamo creare delle condizioni di fede in cui le persone riescano a udire questa “lettera d’amore” indirizzata a loro. E, come Chiesa, dobbiamo promuovere maggiori opportunità affinché le persone ascoltino, vedano e sperimentino la Parola per poter sperimentare l’amore di Dio. I suggerimenti che ne conseguono sono che il Sinodo si pronunci a favore di un’omelia ad ogni Messa (con un’assemblea), che cerchiamo forme visive e recitative per illustrare il Vangelo nella liturgia e contempliamo modi per portare il Vangelo nel mondo. Come Chiesa dobbiamo armonizzare la verità dottrinale con le immagini scritturali, affinché le persone possano facilmente comprendere le verità del Regno in modo semplice, chiaro e lineare.

– S.E.R. Mons. Peter William INGHAM, Vescovo di Wollongong, Presidente della “Federation of Catholic Bishops’Conferences of Oceania” (F.C.B.C.O.) (AUSTRALIA)

Quando i lettori proclamano la Sacra Scrittura nella Liturgia, devono assicurarsi che la Parola di Dio sia ascoltata, compresa e, si spera, apprezzata. Il lettore esercita un ministero vitale.
È una cortesia nei confronti di coloro che ascoltano, trasmettere la Parola di Dio in modo tale che il messaggio di salvezza possa crescere forte nei loro cuori e nelle loro menti. La Parola deve essere forte già nella vita di colui che la proclama.
Molti lettori leggono in modo troppo veloce perché la Parola di Dio possa essere compresa dal cuore e dalla mente di chi ascolta.
A ogni parola, in ogni frase, dovrebbe essere dato il proprio valore grammaticale. Rispettando la punteggiatura, si può modulare la voce in modo da aggiungere interesse a quanto viene proclamato.
Alcuni lettori non danno risalto alla propria voce, non usano il microfono in modo efficace.
L’idea-chiave in una lettura biblica può sfuggire o andare perduta per la mancanza di enfasi da parte di un lettore che non comprende realmente il contesto del passaggio.
Una delle ragioni di una proclamazione povera può essere la mancanza di sicurezza del lettore di fronte a un’assemblea. Per questo motivo la pratica della lettura ad alta voce costituisc
e un esercizio essenziale.
Credo che si debba migliorare notevolmente la proclamazione della Parola di Dio nella Liturgia sia da parte degli ecclesiastici che dei laici; altrimenti l’impatto di “Dio che ci parla” non sarà quello che la Chiesa desidera né quello che i fedeli meritano.

– S.E.R. Mons. Oswald Georg HIRMER, Vescovo di Umtata (SUDAFRICA)

La condivisione del Vangelo in sette passi non è un altro metodo di studio della Bibbia, bensì la continuazione della liturgia della Parola dell’Eucaristia. Questo modo di utilizzare le Scritture si è dimostrato una chiave per incontrare Cristo stesso nella Parola della Bibbia. Nei gruppi di studio biblico di solito “parliamo di Gesù”, mentre attraverso la condivisione del Vangelo in sette passi cerchiamo di entrare “in contatto” con il Signore. Le piccole comunità cristiane e i gruppi di vicinato utilizzano i sette passi come base spirituale, collegando la vita con la Parola di Dio.
Il segreto dei sette passi risiede nel fatto che la Parola della Bibbia non viene intesa come mera informazione su Gesù, bensì come segno sacramentale della presenza di Cristo in mezzo a noi.
In breve:
Nel primo passo invitiamo il Signore come i due discepoli sulla via di Emmaus.
Il secondo e il terzo passo aiutano i fedeli a “sedersi” con Gesù e a rimanere con lui come ha fatto Maria di Betania.
Attraverso il quarto passo, nel silenzio, i fedeli permettono a Gesù di raggiungerli con una parola che è diventata importante per loro.
Il silenzio è seguito dalla condivisione personale, senza predicare agli altri o iniziare dibattiti su questioni che rovinerebbero il clima di preghiera. San Paolo è il nostro esempio di condivisione personale: “Per me infatti il vivere è Cristo”, dice per esempio in Filippesi (Fil 1, 21).
Nel sesto passo, il gruppo domanda: “Che cosa vuole che facciamo il Signore?”
Il settimo passo dà a tutti la possibilità di pregare spontaneamente.
La condivisione del Vangelo in sette passi, se svolta bene, può rinnovare la fede in parrocchia e ravvivare le comunità di base dal loro interno. Può diventare una scuola di ascolto profondo della Parola di Dio, una scuola per esprimere la fede e rafforzarsi reciprocamente nella fede, una scuola per imparare l’arte del silenzio e sperimentare il mistero della presenza di Cristo in mezzo a noi.
La condivisione del Vangelo in sette passi aiuterà inoltre i fedeli a pregare meglio in privato e a vivere l’Eucaristia in modo più profondo e significativo.

– S.E.R. Mons. Oscar Mario BROWN JIMÉNEZ, Vescovo di Santiago de Veraguas (PANAMÁ)

Nel numero 35 del Documento di Lavoro si afferma che questo Sinodo, su La Parola di Dio nella
vita e nella missione della Chiesa, è in rapporto di continuità con il precedente su L’Eucaristia: fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa.
Nell’Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis, frutto di quel Sinodo, ci viene raccomandato vivamente di mettere in risalto l’unità intrinseca del rito della Santa Messa. Non si devono giustapporre le due parti del rito, la liturgia della Parola e la liturgia dell’Eucaristia, come se fossero interdipendenti l’una dall’altra, poiché entrambe sono unite intimamente fra loro e formano un unico atto di culto, al quale si aggiungono l’introduzione e la conclusione (cf Sacramentum Caritatis, 44-49).
Il Documento di Lavoro del presente Sinodo riconferma tale dottrina, quando sostiene che l’intima unione fra Parola ed Eucaristia è radicata nella testimonianza della Scrittura e adduce la testimonianza dei Padri della Chiesa, corroborata dal Concilio Vaticano II.
Ricordiamo che l’Eucaristia è il memoriale della Pasqua del Signore. In essa, si fa presente, in maniera incruenta, attraverso le specie sacramentali, il sacrificio unico di Cristo, compiuto, in maniera cruenta, una volta per tutte sul Calvario.
La liturgia dell’Eucaristia comincia con la preghiera eucaristica che si apre con una prefazio che presenta in modo succinto il mistero pasquale del Signore, mettendo in rilievo alcuni aspetti concreti di esso. Ha una importanza fondamentale l’epiclesi, quando chiediamo umilmente a Dio che invii il suo Spirito sui doni presentati, perché si convertano, per noi, nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo, nostro Signore.
È l’azione dello Spirito nella liturgia dell’Eucaristia, così come nella liturgia della Parola, a rendere presente il Signore della pasqua, il Verbo di Dio che si incarnò, patì, morì e risuscitò per il perdono dei peccati e per renderci figli adottivi di Dio, attraverso lo Spirito.
Nella liturgia della Parola, come in quella eucaristica, nella Messa, il Signore della Pasqua è presente realmente, in un dialogo in cui Dio prende l’iniziativa di rivolgersi all’uomo con la sua Parola e questi gli risponde con fede, obbedienza e conversione. Questa presenza è latente nell’Antico Testamento ed è patente nel Nuovo.
Le alleanze dell’AT sono tipi e figure della Nuova Alleanza, stretta nello Spirito, che avrà compimento nel mistero pasquale di Gesù Cristo, unico mediatore fra Dio e gli uomini. Perciò concludiamo la preghiera eucaristica con la grande dossologia in cui glorifichiamo il Padre per il Figlio, nello Spirito.
L’opera di Luca, il suo Vangelo e il libro degli Atti degli Apostoli, è un eccellente luogo teologico per studiare la nostra tematica.
Concludiamo, osservando che il rapporto fra la liturgia della Parola e la liturgia dell’Eucaristia, nella Santa Messa, è mediato dall’azione dello Spirito che rende presente il Signore della Pasqua, nella liturgia della Parola per mezzo delle preghiere, della Sacra Scrittura, dell’omelia, del simbolo della fede e della preghiera dei fedeli.
Il Signore, però, è presente anche nella liturgia dell’Eucaristia, attraverso l’epiclesi, che trasforma il pane e il vino nel corpo e nel sangue del Signore. Forse si potrebbe parlare di una doppia epiclesi, come nelle Chiese orientali, una implicita, quella della liturgia della Parola, e l’altra esplicita, quella della liturgia eucaristica. Non si giustappongono. La loro unità intrinseca è data dalla presenza e dall’azione in entrambe dell’unico Spirito Santo, Signore e Datore di vita, che procede dal Padre e dal Figlio, e ci aggrega nel dinamismo della Santissima Trinità. Spetta all’officiante della celebrazione eucaristica, autentico mistagogo, maestro del mistero, aiutare l’assemblea a viverlo in tutta la sua ricchezza.

– S.E.R. Mons. Peter LIU CHENG-CHUNG, Vescovo di Kaohsiung (CINA)

La domanda è: come rendere il kerygma e la proclamazione della parola viva di Dio più accessibili ai fedeli? Come può questo kerygma – questo incontro con la Parola di Dio – essere un dialogo autentico tra Cristo stesso e i fedeli? La risposta sta nel riconoscere lo Spirito Santo in questa proclamazione della parola vivente di Dio. È lo Spirito Santo che conferisce a ogni cattolico battezzato doni e carismi, che a loro volta sono dei contributi alla Chiesa locale.
I vescovi e i parroci vengono invitati a cercare di essere aperti a queste realtà nella comunità locale dei fedeli. Ed è in queste piccole comunità a livello parrocchiale che la Parola proclamata può diventare un’entità vivente. A poco a poco, i fedeli di queste comunità possono pregare insieme la Liturgia delle Ore e tenere celebrazioni comunitarie del Sacramento della Penitenza (con confessioni individuali). In questo contesto le Scritture sono intimamente legate alla liturgia come segno di Dio che dialoga con il suo popolo specialmente nell’Eucaristia.
Affinché tutto questo possa essere realizzato, però, occorre impartire una catechesi pratica e concreta, guidata dalla diocesi locale e con la collaborazione del parroco, in una situazione in cui lo spirito delle Scritture possa essere interiorizzato, messo alla prova e preservato nelle difficoltà, nonché rafforzato tra i fedeli e coloro che si preparano all’iniziazione nella Chiesa.

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ZENIT Staff

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