Appello dei cristiani di Mosul: “Stiamo morendo!”
MOSUL, giovedì, 9 ottobre 2008 (ZENIT.org).- “Stiamo morendo!” è l’accorato appello rivolto dai cristiani di Mosul (Iraq), che nelle ultime settimane sono tornati ad essere bersaglio di una drammatica ondata di violenze.
Padre Amer Youkhanna, sacerdote del clero di Mosul che vive a Roma, ha riferito a Baghdadhope che le persone della città irachena “hanno detto di non avere altre parole per definire ciò che sta succedendo se non che si tratta di uno sterminio”.
“Noi stiamo morendo, mi hanno detto, e bisogna che la nostra voce venga ascoltata”.
Le famiglie rimaste a Mosul, denuncia, “non hanno soldi per fuggire, non saprebbero dove andare, e così rimangono chiuse nelle case ad aspettare. E’ una situazione terribile, forse mai, prima d’ora, la comunità cristiana di Mosul ha vissuto un tale periodo di terrore. Chi vuole instaurare lo stato islamico in Iraq con capitale Mosul vuole che la città non abbia più neanche un cristiano tra i suoi abitanti”.
Monsignor Philip Najim, Procuratore della Chiesa Caldea presso la Santa Sede, ha riferito che “gruppi armati penetrano nei quartieri dove vivono i cristiani ed uccidono a caso chi trovano sulla propria strada”.
“Sono omicidi a sangue freddo compiuti alla luce del giorno e davanti a decine di testimoni, come se questi gruppi volessero dimostrare il proprio poter operare impunemente, il proprio controllo della città”, ha osservato.
“Lo scopo è, chiaramente, seminare il terrore per completare l’opera di svuotamento della città della sua antichissima componente cristiana iniziata ormai da anni”.
A queste violenze si è aggiunta la cancellazione dell’articolo 50 dalla legge che fissa le regole per le prossime elezioni dei consigli provinciali, che nella sua prima stesura garantiva la rappresentatività in questi consigli delle minoranze del Paese.
“Perché, è questa la domanda che poniamo al mondo, gli iracheni cristiani devono subire tali attacchi? – ha chiesto il presule –. Perché ci uccidono e ci negano i nostri diritti?”.
Chiedere il rispetto di questi ultimi, sostiene monsignor Najim, “è doveroso”, perché i cristiani appartengono alla minoranza ma rappresentano “una parte importante della storia del Paese che sempre è stata caratterizzata dalla coesistenza delle diverse parti del suo tessuto sociale”.
“Non chiediamo nulla più di quanto ci spetta – ha dichiarato –: i diritti che ci devono essere garantiti naturalmente in quanto cittadini iracheni”, “perché non c’è pace senza il rispetto della vita umana”.
Monsignor Louis Sako, Arcivescovo caldeo di Kirkuk e presidente della Commissione per il dialogo interreligioso dei Vescovi iracheni, ha ricordato dal canto suo al SIR che Mosul è sempre stata “un esempio di civiltà e di coesistenza per questo i suoi nobili abitanti non dovrebbero consentire che tali atti violino i diritti dei suoi pacifici abitanti”.
“I cristiani iracheni – ha aggiunto – non vogliono altro che una vita decente e pacifica, vogliono cooperare con tutti per costruire la stabilità per il bene della loro Nazione così come hanno fatto sempre lungo la loro storia”.
“Il mondo ci sta lasciando soli”, ha ammesso con profonda delusione a Baghdadhope monsignor Shlemon Warduni, Vescovo ausiliare di Baghdad.
Anche il presule ha unito la propria voce contro la cancellazione dell’articolo 50, che riservava 15 seggi in sei province alle minoranze: 13 ai cristiani, uno agli Shabak e uno agli Yazidi.
In questa situazione, ha affermato, i cristiani iracheni intendono “continuare a far sentire la nostra voce sperando che il nostro appello venga raccolto, non solo in Iraq ma anche nel mondo”.
“Ci sono in gioco i nostri diritti di cittadini, appartenenti ad una minoranza, è vero, ma sempre cittadini iracheni – ha dichiarato –. Non interessa a nessuno?”.