Una cultura della solidarietà per risolvere il problema degli sfollati

Propone l’Arcivescovo Tomasi a Ginevra

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di Roberta Sciamplicotti

GINEVRA, mercoledì, 8 ottobre 2008 (ZENT.org).- Anche se gli strumenti giuridici sono innegabilmente necessari, secondo monsignor Silvano M. Tomasi per risolvere il problema degli sfollati è necessaria soprattutto una cultura della solidarietà.

Il presule, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite e delle Istituzioni Internazionali a Ginevra, è intervenuto questo martedì alla 59ma Sessione Generale del Comitato Esecutivo dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), in svolgimento dal 6 al 10 ottobre nella città svizzera.

Se attualmente i riflettori dell’opinione pubblica sono puntati sulla crisi dei mercati finanziari e “sull’irresponsabilità e sull’avidità di alcuni manager che l’hanno provocata”, elementi che “esercitano un grave impatto sui gruppi vulnerabili della società e mostrano chiaramente l’interconnessione e la mancanza d’equità nel mondo odierno”, monsignor Tomasi ha avvertito che la comunità internazionale deve affrontare anche ulteriori sfide, come i cambiamenti climatici e i conflitti che travagliano alcune regioni del mondo.

Tutti questi fattori, ha osservato, determinano “un’intensificazione degli spostamenti forzati di persone e una maggiore incertezza riguardo alla nostra abilità di fornire loro la protezione e l’assistenza di cui hanno bisogno”.

I disastri naturali e quelli provocati dall’uomo, ha spiegato, espongono infatti milioni di persone e di famiglie a condizioni di estrema povertà e di violazione dei loro diritti umani fondamentali che rendono impossibile la loro permanenza nei luoghi di residenza abituale.

“Guardando al futuro – ha riconosciuto –, la condizione delle persone sfollate sembra più desolata e ambigua che mai”, motivo per il quale “sono necessari risposte politiche, immediata assistenza e know-how tecnico”.

La delegazione della Santa Sede, ha ricordato il presule, “ha partecipato con grande interesse alle discussioni sulla protezione”, sostenendo iniziative recenti dell’UNHCR come le Conclusioni sulle Donne e le Ragazze a Rischio (2006) e sui Bambini a Rischio (2007).

Dal canto suo, la comunità internazionale “è riuscita ad approvare strumenti chiari e coraggiosi per difendere i rifugiati dalla violenza e dalla persecuzione”, strumenti che “rappresentano l’inizio di un continuum, all’altra estremità del quale ci sono le convenzioni e gli accordi presi dalle Nazioni Unite e dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro per difendere i lavoratori migranti e le loro famiglie”.

Attualmente, ha constatato monsignor Tomasi, “tra questi due ‘poli’ ci sono milioni di altre persone sradicate forzatamente dalla desertificazione, dalla carestia, dai cambiamenti climatici, dall’oppressione generalizzata e dall’abuso dei loro diritti umani”.

“La comunità internazionale – ha dichiarato – non può ignorare la loro piaga né negare il dovere etico di estendere loro la protezione, per quanto possa essere difficile”, perché “nel nostro mondo interconnesso siamo legati a tutti gli sfollati dalla nostra comune umanità e dalla constatazione che la globalizzazione della giustizia e della solidarietà è la migliore garanzia per la pace e un futuro comune”.

Di fronte a ciò, la questione da affrontare è quindi “come iniziare un processo per formalizzare modi e strumenti per la protezione dei milioni di persone al centro del continuum”, ricordando che “le migliori pratiche esistenti e i doveri dei diritti umani possono servire come punto di partenza per procedere verso uno strumento giuridico”.

Lo sfollamento, ha osservato, “non è un fenomeno isolato dalle altre realtà sociali”, ma “il risultato di decisioni politiche, di trascuratezza e mancanza di azione preventiva, e anche di eventi naturali imprevisti”.

Per questo motivo, una risposta adeguata “non è possibile senza coerenza nell’azione di agenzie e attori coinvolti e autorizzati a lavorare per trovare le soluzioni migliori”.

“La vigilanza creativa richiesta per queste soluzioni dovrebbe portare la comunità internazionale a intraprendere nuovi passi sulla via della protezione – ha concluso –. Anche se gli strumenti giuridici sono necessari, saranno soprattutto una cultura della solidarietà e l’eliminazione delle cause che sono alla base dello sfollamento a sostenere il sistema di protezione”.

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ZENIT Staff

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