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– S.Em.R. Card. Angelo SODANO, Decano del Collegio Cardinalizio (CITTÀ DEL VATICANO)
Quale Decano del Collegio Cardinalizio, il Cardinale. Angelo Sodano ha rivolto un saluto fraterno ai Padri Sinodali e a tutti i presenti.
Fra di essi, vi sono pure parecchi Cardinali, e tale presenza è stata vista come una bella forma di integrazione e di collaborazione fra i due organismi, quali sono il· Sinodo dei Vescovi ed il Collegio dei Cardinali, ambedue chiamati a prestare il proprio aiuto al Pastore della Chiesa universale. Il Card. Sodano ha poi espresso due voti circa il tema specifico della presente Assemblea.
Il primo voto è stato relativo al vero concetto di Parola di Dio, che non è limitata a quella scritta, contenuta nella Bibbia, ma comprende anche la Parola orale, contenuta nella Tradizione della Chiesa.
Il secondo voto è stato relativo all’importanza dei presbiteri nell’annunzio della Parola di Dio. Pur non possedendo il vertice del sacerdozio e dipendendo dai Vescovi nell’ esercizio della loro potestà, in virtù del Sacramento dell’Ordine sacro, sono parimenti consacrati per predicare il Vangelo di Cristo e guidare il Popolo di Dio. Oggi più che mai, la loro unione con i Vescovi è insostituibile, in una radicale forma comunitaria di annuncio della Parola di salvezza.
– S.Em.R. Card. Franc RODÉ, C.M., Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica (CITTÀ DEL VATICANO)
1. La natura evangelica della vita consacrata
La vita consacrata è “profondamente radicata negli esempi e negli insegnamenti di Cristo Signore…” (VC, 1), e al Vangelo “ha continuato ad ispirarsi lungo i secoli ed ad esso è chiamata a tornare costantemente per mantenersi viva e feconda portando frutto per la salvezza delle anime” (Benedetto XVI, 2 febbraio 2008). Una famiglia religiosa, ha ricordato Benedetto XVI, «con la sua stessa presenza, diventa (…) “esegesi” vivente della Parola di Dio”(ivi).
2. La centralità della Parola di Dio nel rinnovamento della vita consacrata
Il rinnovamento a cui costantemente sono . invitate le persone consacrate trova la sua modalità più adeguata nel riandare alle radici evangeliche dei carismi così da trovarvi sempre nuove ispirazioni. Se ogni carisma costituisce una parola evangelica dell’unica Parola, aspetti particolari della totalità del Vangelo, vivendo appieno il Vangelo le persone consacrate troveranno la luce per cogliere la particolare dimensione evangelica su cui si è innestato il proprio istituto.
È un cammino che le persone consacrate dovranno percorrere in comunione con tutte le altre vocazioni nella Chiesa.
3. L’apporto che la vita consacrata può offrire a tutta la Chiesa nel vivere la Parola
Auspichiamo che i Padri sinodali possano prendere atto del grande contributo che la vita consacrata ha dato e continua ad offrire a tutta la Chiesa in questo campo: nello studio e nell’esegesi della Parola (Ècole Biblique de Jérusalem, Pontificio Istituto Biblico, Studium Biblicum Franciscanum); nell’approfondimento vitale della Parola (Lectio divina).
– S.E.R. Mons. Mark Benedict COLERIDGE, Arcivescovo di Canberra-Goulburn (AUSTRALIA)
Il Concilio Vaticano Secondo ha fatto un appello per il rinnovamento della predicazione, che comportava un passaggio dal sermone, inteso soprattutto come un’esposizione di dottrina, devozione e disciplina cattoliche, all’omelia, che vuol essere innanzitutto un’esposizione e un’applicazione della Scrittura. Tale passaggio si è compiuto solo in parte. Uno dei motivi è il fatto che la predicazione troppo spesso dà il kerygma come scontato, e ciò in un periodo in cui, nelle culture occidentali, il kerygma non può essere dato per scontato. Se lo fosse, si correrebbe il rischio di una riduzione moralistica della predicazione, che potrebbe suscitare interesse o ammirazione, ma non la fede che salva. La predicazione non sarebbe un’esperienza del potere di Cristo.
Una nuova evangelizzazione esige una nuova formulazione e proclamazione del kerygma nell’interesse di una predicazione missionaria più efficace. Al fine di promuovere una tale predicazione potrebbe essere creato un Direttorio Generale Omiletico secondo i principi dell’Ordinamento Generale del Messale Romano. Tale Direttorio attingerà all’esperienza della Chiesa universale per offrire una linea strutturale senza soffocare lo spirito di una Chiesa particolare o del singolo predicatore. Potrebbe contribuire a garantire una preparazione più solida e sistematica ai predicatori del seminari e delle case di formazione, e ciò in un periodo in cui tutti riconoscono quanto sia vitale la predicazione, in quanto l’unico punto di contatto con la Parola di Dio per molti cattolici è la celebrazione dell’Eucaristia domenicale con la sua omelia.
– S.E.R. Mons. Broderick S. PABILLO, Vescovo titolare di Sitifi, Vescovo ausiliare di Manila (FILIPPINE)
Abbiamo bisogno di orientamenti che aiutino i Cattolici a interpretare correttamente la Bibbia. Facciamo sì che tali orientamenti vengano presentati in modo chiaro. Essi potranno comprendere i seguenti criteri per una lettura cattolica della Bibbia: 1) conoscere la Bibbia non è tanto conoscere un libro, ma conoscere e rapportarsi alla persona di Cristo. 2) La liturgia è il luogo primario dell’incontro con la Bibbia come Parola di Dio. 3) Una vera comprensione della Bibbia deve essere coerente con la vita autentica (come le vite dei Santi), le pratiche e gli insegnamenti della Chiesa. 4) La corretta comprensione della Scrittura dovrebbe essere guidata sia dalla fede che dallo studio. 5) Ogni passo della Bibbia deve essere letto nel contesto dell’unità interna della Scrittura. 6) La corretta comprensione della Bibbia dovrebbe prendere in considerazione le situazioni concrete dell’ oggi, nonché rivolgersi ad esse. 7) Leggere la Bibbia non deve rimanere mera conoscenza. 8) L’uso corretto della Bibbia deve promuovere l’unità in seno alla Chiesa e fra le Chiese. 9) Abbiamo bisogno di avvicinarci alla Bibbia con spirito di umiltà, poiché ciò ci permette di apprezzare l’interpretazione che ne danno i poveri. Suggerisco che vi sia maggior interazione fra gli studiosi della Bibbia e gli operatori pastorali. Insieme essi devono ricercare metodi di comprensione e temi di studio che approfondiscano la fede dei nostri popoli nelle nostre culture originali.
– S.Em.R. Card. Francis Eugene GEORGE, O.M.I., Arcivescovo di Chicago, Presidente della Conferenza Episcopale (STATI UNITI D’AMERICA)
Parlare della Parola di Dio nella chiesa significa parlare della Parola di Dio nella vita dei credenti. Compito dei pastori è convertire l’immaginazione , l’intelletto e la volontà di coloro cui proclamano la Parola di Dio e per i quali interpretano le Sacre Scritture.
Infatti, troppo spesso nell’immaginazione degli uomini contemporanei è assente l’idea di Dio come attore nella storia; il loro intelletto non trova grande corrispondenza nei libri della Bibbia e non è informato dalla regula fidei e il loro cuore non viene forgiato dal culto e dall’obbedienza alla parola di Dio durante l’anno liturgico.
Se la potenza della Parola di Dio nelle Sacre Scritture deve essere avvertita nella vita e nella missione della Chiesa, i pastori devono dedicarsi in egual misura ai contesti specifici in cui operano e alle Sacre Scritture.
– Rev. P. Carlos Alfonso AZPIROZ COSTA, O.P., Maestro Generale dei Frati Predicatori
Il “primato” della Sacra Scrittura ha il suo fondamento nella stessa vita trinitaria.
Ben l’hanno compreso i grandi Dottori medioevali (Sant’ Alberto Magno, San Bonaventura, San Tommaso d’Aquino) per i quali la processione delle persone, nell’unità dell’essenza divina, è “la causa e la ragione esplicativa della processione delle stesse creature”.
Il Verbo, genitus Creator, ha infatti dal P
adre, ab aeterno, la volontà di incarnarsi e di patire per noi.
Dio ha voluto rivelarsi all’umanità in modo umano, attraverso culture, persone e linguaggi umani ed attraverso la stessa vita di Gesù. Se questo modo è per noi una garanzia del valore della nostra natura, della storia e delle culture umane – con i loro differenti linguaggi-, esso ci pone complessi problemi di interpretazione.
Come infatti la realtà della creazione non è razionalmente comprensibile senza un adeguato fondamento metafisico -l’analogia entis-, così la conoscenza della Sacra Scrittura richiede un approfondimento delle culture e dei generi letterari in cui è stata espressa, per una meno inadeguata percezione del suo senso letterale, ed anche. un riconoscimento della qualità analogica dei termini in essa usati.
Tutta la Chiesa, nel suo instancabile annuncio, continua ad affidare con speranza ad ogni cultura la “buona novella”, perché essa sia accolta, compresa in maggior pienezza, vissuta e riannunciata con accenti nuovi.
Nella storia recente della Chiesa, con non poche difficoltà, sono state messe in luce le esigenze di quest’interpretazione “critica” del testo e quindi della Sacra Scrittura (fra Marie-Joseph Lagrange O.P., 1855-1938), che mette in evidenza anche il suo fondamento storico e la sua ricchezza: l’essere, appunto, un canto a più voci.
La fede cristiana poi, per quanto è “religione”, deve essere considerata prima di tutto “religione dello Spirito”, perché il Nuovo Testamento è principalmente lo stesso Spirito Santo che produce in noi la carità e solo secondariamente, essendo anche “lettera”, può essere ritenuta “religione del Libro”.
Questo processo di rivelazione e di salvezza è anche uno svelamento della veritas iustitiae della nostra vita, della giustizia di Dio che è fondamento della verità del nostro essere e che è per noi, prima di tutto, “giustizia giustificante”, fondata cioè sulla sua misericordia, che è il presupposto permanente della divina giustizia, perché ne è la prima radice ed il suo coronamento.
– S.Em.R. Card. Joachim MEISNER, Arcivescovo di Köln (GERMANIA)
La Sacra Scrittura è il libro della Chiesa. E’ nata nella Chiesa. Essa ha stabilito il canone della
Sacra Scrittura. La Sacra Scrittura è legata alla Chiesa in un’unità organica. Una parola del Padre dice: “La Sacra scrittura è inscritta prima nel cuore della Chiesa che su pergamena”.
Suo luogo legittimo è l’ambone nella cattedrale per la catechesi episcopale. Il vescovo, in comunione con gli altri vescovi e con il Papa, deve annunciare la Parola in ogni circostanza opportuna e non opportuna. Dalla cattedra il vescovo mette la Sacra Scrittura in mano ai Cristiani, perché essi leggano la Parola di Dio nella comunità della chiesa e in tal modo la vivano e ne diano testimonianza
– S.E.R. Mons. Laurent MONSENGWO PASINYA, Arcivescovo di Kinshasa, Presidente della Conferenza Episcopale (REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO)
Parola di Dio e Ermeneutica
Parlo a nome della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (CENCO). Il mio intervento verte sull’interpretazione delle Scritture e le sette (IL n°. 16-19; DV n°. 12).
1. È comunemente riconosciuto che ogni parola è un linguaggio e che ogni linguaggio richiede un’interpretazione, soprattutto se si tratta di un testo scritto. A causa del regresso della storia e della distanza in termini di spazio, infatti, le parole e i segni, le metafore e i simboli possono acquisire un sovrappiù di significato e delle armonie che possono orientare il lettore verso significati diversi da quelli voluti inizialmente dall’autore.
2. Questo è il caso delle Sacre Scritture di cui Dio, autore e ispiratore principale, indirizza il messaggio a tutte le generazioni nel tempo e nello spazio (cf Mt 28,19-20; Mc 16,5). Questo fatto rende pertanto legittima e plausibile un’interpretazione esistenziale, contestuale e colta della Scrittura, basata sulla fase finale e costituita dal testo biblico (cf PCB, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, I.A-B: metodi letterari). La dottrina dei quattro sensi della Scrittura trova qui un solido fondamento e la sua applicazione.
3. A questo proposito, occorre tuttavia sottolineare che la Sacra Scrittura stessa invita l’interprete a usare molta prudenza e “intelligenza” (Lc 24,25). Così, ci interpellano di fronte al fenomeno delle sette, poiché non si tratta di un fenomeno nuovo: risale alle origini della Chiesa. Nella sua prima lettera (1 Gv, scritta intorno al 95 d.C.), Giovanni accenna già a alcuni dissidenti che non professano più “Gesù (è) venuto nella carne” (1 Gv 4,2-3), sono usciti dalla comunità e si sono allontanati dalla fede apostolica (1 Gv 2, 19-24).
4. Comunque, lungi dal rassicurarci, la proliferazione cancerogena delle sette di ogni genere e con motivazioni diverse preoccupa i pastori della Chiesa. Tanto più che la loro dottrina si basa in genere su un’interpretazione fondamentalista della Sacra Scrittura (cf PCB, L’interpretazione, I.F.). Eppure numerosi testi biblici dissuadono da tale interpretazione e spingono piuttosto a ricorrere a criteri stabiliti. Così, per esempio, la reazione di Gesù stesso davanti allo schiaffo del guardiano nel palazzo del sommo sacerdote Anna (Gv 18,22-23) mostra chiaramente che il porgere l’altra guancia di cui parla Matteo nel 5,39 è un’iperbole da non prendere alla lettera. Ma Gesù, contrariamente alla legge del taglione (Mt 5,38) “non rende male per male”: egli perdona (cf Rm 12,21). L’apostolo Pietro, da parte sua, parla delle lettere che il suo “caro fratello Paolo” ha scritto “secondo la sapienza che gli è stata data” e che contengono “alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdizione…” (2 P 3,15-16). In questo senso, esistono delle norme di interpretazione delle Scritture, di cui Pietro e gli apostoli sono garanti (cf 2 P 1,16-19). Pietro stesso afferma che “nessuna profezia della Scrittura proviene da un’interpretazione personale” poiché “degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo” (2 P 1,20-21). E Pietro afferma di stigmatizzare i “falsi dottori” e le loro “sette perniciose”… Bisogna dire che molte sette attuali rispondono al profilo qui descritto dal Principe degli Apostoli: condotta dissoluta, diffamazione contro la verità, cupidigia, parole false, dominazione delle coscienze (2 P 2,2-3). Ne consegue che la via migliore per dialogare con le sette è una sana interpretazione delle Sacre Scritture.
5. I testi sopracitati ci offrono i seguenti criteri per l’interpretazione della Sacra Scrittura: lo Spirito Santo (cf anche DV 12), la Tradizione apostolica (norma normans), la comunione con i corpo della Chiesa (cf 1 Gv 1,3), la professione della fede della Chiesa (analogia fidei), la coerenza con tutta la Scrittura (analogia scripturae) (cf IL n° 16 e 21). Questi criteri ci proteggono da un’interpretazione fondamentalista e soggettiva della Parola di Dio. Occorre farvi riferimento anche nell’impegno comune per l’ecumenismo.
– S.E.R. Mons. Florentin CRIHĂLMEANU, Vescovo di Cluj-Gherla, Claudiopoli-Armenopoli dei Romeni (ROMANIA)
I documenti del Concilio Vaticano II parlano del tesoro della Chiesa indivisa (cfr. OE 1), che si deve valorizzare perchè la Chiesa cattolica possa respirare con i suoi due polmoni.
Sarebbe auspicabile ricordare la connessione fra la Parola di Dio e l’innografia bizantina (Canone di Sant’Andrea di Crete, canoni di Romano il Melode, Canoni di Giovanni Damasceno, etc.), come anche le classiche preghiere mariane: il Paraclisi e l’Acathistos, che sono praticamente un riassunto e un compendio teologico di vari passi della Sacra Scrittura, nella lettura interpretativa e applicativa dei Padri della Chiesa.
Lo stesso vale anche per la ricchissima tradizione dell’iconografia orientale, vera catechesi visiva e compendio di teologia simbolica, compl
emento della Parola (cfr. 1 Gv 1, 1-3), scritta dall’iconografo sull’ispirazione dello Spirito Santo, in preghiera, secondo la tradizione della Chiesa e presentata a noi come “teologia visiva”, vestita in forme, colori e simboli specifici. L’icona costituisce un possibile aiuto alla Lectio divina, (soprattutto quando si tratta di persone che non sanno leggere o per bambini) e anche per la preghiera contemplativa personale o in comunità.
La Parola di Dio meditata e applicata si ritrova anche nel linguaggio simbolico dell’arte sacra bizantina a vari livelli: “La Parola proclamata e ascoltata è contenuta nella Bibbia; costruita in forme architettoniche, apre le porte del Tempio; cantata e rappresentata sulla scena ierofanica del culto, costituisce la Liturgia; misteriosamente disegnata, si offre in contemplazione, in “teologia visiva” sotto la forma dell’ icona». La teologia simbolica mostra quali immense prospettive si aprano, a partire dalla Scrittura nella liturgia, per approfondire la nostra fede, per trasformare la nostra vita in una liturgia quotidiana e per ricuperare, noi stessi, il volto dell’icona secondo la quale siamo stati creati.
– S.E.R. Mons. Pierre-Marie CARRÉ, Arcivescovo di Albi (FRANCIA)
“Dove dimori?” chiedono i primi discepoli a Gesù. La continuazione del Vangelo indica la dimora di Gesù nell’Eucaristia e nella Parola conservata nel cuore.
Se non sono soddisfatte le condizioni necessarie, la lettura della Scrittura non porterà frutto. La costituzione dogmatica Dei Verbum è uno dei testi del Vaticano II ancora poco conosciuto. In particolare essa permette di unire in modo giusto e equilibrato l’aspetto umano e l’aspetto divino delle Scritture.
Così, grazie al lavoro degli esegeti, le difficoltà spesso sottolineate quando ci si avvicina alla Bibbia potranno essere superate.
In questi ultimi anni, in Francia, si è insistito molto sulla Lectio divina. Ma ancora troppe poche persone la mettono in pratica. È necessario proporre mezzi semplici per metterla in pratica e evitare gli ostacoli che spesso si incontrano: scoraggiamento o soggettivismo della lettura.
Occorre leggere la Scrittura nello Spirito secondo cui è stata scritta. Infine, noi la riceviamo dalla Chiesa. Riallacciarsi all’esperienza spirituale dei grandi santi aiuta a scoprirla dall’interno poiché lo stesso Spirito agisce nella Chiesa, suscita i santi, ha ispirato gli autori sacri e parla al cuore di ognuno.
– S.Em.R. Card. André VINGT-TROIS, Arcivescovo di Paris, Presidente della Conferenza Episcopale (FRANCIA)
1. Come leggere la Bibbia e come produrre la teologia affinché l’atto teologico trovi nelle sacre Scritture il suo principio di vita e la sua unità?
2. Nella ricerca del significato del testo biblico, l’interprete sarà attento, chiede il Concilio, al suo genere letterario e alle circostanze storiche della sua scrittura. In altre parole, la Bibbia è una letteratura umana. Il Concilio aggiunge che l’interprete fedele sarà attento anche all’armonia delle Scritture della antica e della nuova Alleanza, all’unità delle Scritture e della Tradizione e all’analogia della fede.
3. L’ermeneutica cristiana delle Scritture è la chiave della catechesi a cui solo essa può dare la struttura teologica e antropologica unificata e unificante.
4. L’esegeta e il teologo, se non sono la stessa persona, sono chiamati a scrutare la lettera insieme, come discepoli di una sola “guida” (Mt 23, 10). Il significato delle Scritture è teologico; la teologia è la ricerca del significato delle Scritture.
5. È a causa di una “lacuna filosofica” che l’esegesi viene ridotta alla determinazione della dimensione storica e letteraria della lettera o che la teologia viene situata al di fuori di un contatto vivo con le Scritture. Per la Bibbia, la storia è lettera e spirito. La Bibbia non è stata scritta per farci sapere ciò che è accaduto esattamente, ma per assimilarci a ciò che è accaduto e accadrà veramente.
– S.E.R. Mons. Norbert Klemens STROTMANN HOPPE, M.S.C., Vescovo di Chosica (PERÙ)
Vorrei ringraziare il Segretario del Sinodo per l’eccellente Documento di Lavoro. Nell’equilibrio del testo si coglie un grande lavoro.
Ciò nonostante vorrei chiedere per i lavori del Sinodo un ampliamento di prospettiva dal punto di vista latinoamericano.
Negli ultimi 40 anni, la Chiesa in America latina ha perso circa il 15% dei propri fedeli a favore di movimenti non cattolici che si basano proprio su strategie bibliche.
L’America Latina rappresenta oggi il 43% del cattolicesimo mondiale, che a sua volta, negli ultimi 30 anni, è diminuito del 14% rispetto alla crescita della popolazione mondiale. La defezione del 2,3% dei cattolici in America Latina rappresenta oggi, per il cattolicesimo mondiale, una perdita dell’1%. Come rappresentanti del 43% della Chiesa che – incomprensibilmente – nelle statistiche ufficiali della Chiesa come pure nei documenti del Sinodo viene messo nel contenitore “America”, da questo Sinodo ci attendiamo almeno alcuni suggerimenti per una controstrategia pastorale mirata, a livello biblico, nei confronti di coloro che possiedono una strategia pastorale biblica e ci rendono difficile il lavoro nella pastorale.
Chiarisco la mia richiesta di un ampliamento di prospettiva: gli spazi d’azione stabili nella tradizione non richiedono molta analisi nei confronti del mondo che ci circonda. Esso è ben noto e prevedibile.
Nella misura in cui lo spazio d’azione sociale si mette in moto – ed è quindi sconosciuto e non calcolabile – è richiesta una prospettiva esterna.
Quando il mare è piatto e tranquillo, si può lasciare la barca con il pilota automatico; bisogna solo individuare la successiva zona problematica e riprendere in mano il timone per tempo. Ma il pilota automatico, quando il mare è agitato e non si conoscono le acque, non è consigliabile.
Facendo un paragone, il presente si occupa della barca, dei principi della sua costruzione e della stabilità della navigazione, ma non dell’ambiente e della situazione meteorologica generale. È più teologico-fondamentale che teologico-pastorale; più teologico che pastorale.
Senza dubbio, ogni buona pastorale ha bisogno di una chiara identità teologica: quest’ultima ne è il presupposto necessario. Tuttavia non è condizione sufficiente, poiché la pastorale esige una buona conoscenza dell’oggetto pastorale – quindi della persona coinvolta e della sua situazione – come pure un’adeguata valutazione delle possibilità istituzionali.
Nel suo libretto “Ratzinger y Juan Pablo II – La Iglesia entre dos Milenios” (2005) l’autore, Olegario Gonzàles de Cardedal, identifica due estremi nell’attuale situazione della Chiesa: ossessione dell’identità che, a livello di fede, finisce nel fondamentalismo e, a livello ecclesiale, nelle sette; d’altra parte, la smania di importanza, che finisce con il disfacimento della Chiesa nella società di oggi.
Sono d’accordo con voi: urge una chiara identità per quanto riguarda la funzione fondante della Parola di Dio per la Chiesa. Soltanto, la si dovrebbe valutare senza trascurare la visione esterna del mare, attualmente difficile, per la Chiesa.
Non c’è più tempo; non c’è soprattutto per i paragoni con l’attuale clima generale della situazione economico-politica. Per questo, concludo con malizia biblica: non dovremmo soltanto restare nel ventre della barca a occuparci delle questioni relative alla costruzione per migliorare la stabilità della rotta. Come gli apostoli, dopo aver ricevuto lo Spirito nella Pentecoste, dovremmo chiedere: come facciamo ad uscire da questa sala, visto che la Parola di Dio e lo Spirito di Dio vogliono raggiungere la gente e, questo, tramite noi.
– S.Em.R. Card. Péter ERDŐ, Arcivescovo di Esztergom-Budapest, Presidente del Consilium Conferentiarum Episcoporum Europae (C.C.E.E.) (UNGHERIA)
1. Nell’ Instrumentum laboris
si tematizza molto giustamente il problema ermeneutico in prospettiva pastorale (parte I, cap. II, B). Da una parte bisogna cercare il senso e il messaggio originale e quello trasmesso dalla tradizione della Chiesa dei testi biblici, dall’altra parte si deve tener presente anche l’orizzonte della gente dei nostri giorni, cioè di quelli che sentono la Parola di Dio, perché la percezione del testo diventi un vero ascolto.
2. La giusta interpretazione fatta dalla Chiesa risulta assolutamente necessaria già nel momento del primo incontro con la Parola di Dio. I rischi di una interpretazione arbitraria sono particolarmente grandi in un ambiente culturale come il nostro, dove le categorie elementari della ricerca della verità storica stessa sembrano venir meno. Le pubblicazioni più sensazionali che scientifiche possono creare una notevole confusione anche nel pensiero dei fedeli e a volte persino dei sacerdoti. Il rischio più grande non è che alcuni non sapranno quale credito possono dare ad uno scritto apocrifo come per esempio il Vangelo di Giuda, ma che molti non hanno alcuna idea su come distinguere fonti credibili e non credibili della storia di Gesù Cristo. Anzi, sembra proprio che non pochi non ritengano importante di cercare, quale sia stata la vera storia, perché ragionano in modo soggettivo e soggettivistico persino sulla storia Quindi, la perdita di categorie generali nella nostra cultura provoca una difficoltà speciale nel conoscere e nel capire la Parola di Dio.
– S.Em.R. Card. Philippe BARBARIN, Arcivescovo di Lyon (FRANCIA)
Nella Bibbia, occorre leggere tutto! Al centro della Parola di Dio, la Scrittura è una sorgente che irriga tutta la vita della Chiesa. È essenziale circondare la liturgia della Parola di una bella solennità, poiché si tratta dell’incontro abituale tra Dio e il suo popolo. Le letture liturgiche devono essere scelte in funzione di un criterio essenziale: l’unità del messaggio che questa Parola ci offre. Anche se le divisioni pongono veri quesiti, alcune omissioni ne pongono di più. Ciò è dovuto a paure infondate che occorre denunciare.
Per esempio, non si legge mai, la domenica, Mt 23, 13-31: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti…” che offre un chiarimento molto utile sull’insegnamento delle Beatitudini (e i mercanti cacciati dal Tempio, una volta ogni tre anni). Dubiteremmo forse che la collera di Gesù non è un’espressione del suo amore?
Alcune omissioni rendono scialba la nostra catechesi. Raccontando la storia del bambino Samuele, si tace il contenuto del messaggio, così duro per un bambino (1 Sam 3,1-10; o Geremia 15,16, 1 Re 19, 12-18). Non si deve nascondere ciò che la trasmissione della Parola può costarci.
C’è un altro aspetto nell’omissione di alcuni passaggi. In 2P, 12-21, l’autore vuol lasciare un messaggio forte: Testimone oculare della Trasfigurazione, egli ricorda che le Scritture ci fanno conoscere la presenza di Nostro Signore. Il suo scopo è che non si perda la memoria e il contatto con le Scritture, di cui la vita di Gesù è il compimento… Questa parola ha nella Bibbia, per così dire, il valore di un testamento spirituale dato a tutta la Chiesa: diffidate dell’orgoglio che vi porterebbe a pensare che le parole antiche non hanno più interesse. Dobbiamo invece tenere “in modo più fermo alla parola profetica”.
Questa esortazione non è fuori luogo neanche per gli ebrei. Non accolgono forse la parola profetica soprattutto come un invito rinnovato a obbedire alla Torah? In realtà, i profeti ci ricordano che Dio può far irruzione liberamente nella vita del suo popolo. Teniamo quindi in modo ancor più fermo alla loro parola, dopo che Gesù ce ne ha mostrato il senso e la portata.
Nel corso dei secoli, abbiamo visto nei cristiani questa triste tendenza a “dimenticare” le Sacre Scritture, a considerarle “favole sofisticate”. Abbiamo bisogno invece che “portati dallo Spirito Santo, degli uomini continuino a parlarci da parte di Dio”. Le Scritture continuano a essere “una lampada che brilla” nelle nostre tenebre di oggi. Esse ci conservano nell’umiltà, “in attesa che il giorno risplenda e la stella del mattino si levi nei nostri cuori”.
Per questo, fino alla venuta del Signore, dobbiamo continuare a leggere tutte le Scritture.
– S.E.R. Mons. Luciano MONARI, Vescovo di Brescia (ITALIA)
E’ l’umanità gloriosa del Cristo risorto che rende viva ed efficace la parola della Bibbia così come tutta l’economia sacramentale. In Gesù risorto sono risorte tutte le sue parole, tutti i gesti che egli ha compiuto nella sua vita terrena e che hanno contribuito a delineare la sua concreta figura umana; in Lui è risorto e quindi perennemente attuale il dono che egli ha fatto di se stesso sulla croce. Quando la Chiesa, obbedendo al comando di Cristo, annuncia la sua parola, questa parola instaura un legame col Signore risorto: è Lui stesso che si rivolge alla sua comunità, la ama, la chiama, la corregge, la esorta, la consola.
Per questo il posto della Sacra Scrittura nella vita della Chiesa non è surrogabile: dipende da lei, dalla Parola, la possibilità stessa di un cammino di fede inteso come incontro con Cristo, vita di amicizia con Lui. È praticamente impossibile iniziare alla fede senza mettere le persone in contatto diretto, personale con Gesù Cristo attraverso la parola della Bibbia.
È necessario, perciò, che l’accostamento alla Bibbia diventi il più ampio possibile e che riguardi tutta la Bibbia. La Scrittura possiede il massimo di attualità e quindi di energia spirituale quando è proclamata nell’ eucaristia; ma rimane vero che questa efficacia somma diventa reale solo se le parole che vengono proclamate sono ascoltate, capite, amate, interiorizzate e questo suppone una familiarità grande che solo la lettura costante può offrire.
– S.E.R. Mons. Lawrence HUCULAK, O.S.B.M., Arcivescovo di Winnipeg degli Ucraini (CANADA)
Nella Divina Liturgia di rito bizantino (Liturgia Eucaristica), prima di proclamare il Sacro Vangelo l’officiante pronuncia una preghiera di preparazione che richiama i temi dell’evento della Trasfigurazione, come riportati nel Vangelo di San Matteo (17, 1-8). L’officiante chiede di aprire gli occhi della mente, in modo tale che possiamo capire il messaggio del Vangelo di Cristo. Aggiunge che sia instillato in noi il timore dei comandamenti di Cristo, affinché siamo capaci di dominare ogni desiderio della carne e seguire un modello di vita spirituale. Un tale modello di vita spirituale significa pensare e fare tutto ciò che compiace Cristo, poiché Egli è illuminazione delle nostre anime e dei nostri corpi. È per questo che rendiamo gloria infinita alla Santissima Trinità.
La proclamazione del Sacro Vangelo offre, soprattutto a coloro che sono disposti ad accoglierlo, l’opportunità di assistere a una parte della gloria di Dio. Si tratta di un momento escatologico della rivelazione divina e ciò richiede che facciamo di questo momento liturgico un tempo sacro adatto ad ogni evento.
L’officiante che proclama il Sacro Vangelo deve essere consapevole della sua grande responsabilità; dunque, preparerà le letture in anticipo e proclamerà la buona novella in tutta la sua chiarezza. Padroneggerà le lingue necessarie, affinché i partecipanti, come Mosè ed Elia, possano dialogare con il Signore.
Il Sacro Vangelo deve penetrare nella mente attraverso il cuore e affinché ciò avvenga è necessario presentarlo con fervido calore. Ciò non può avvenire in modo meccanico o negligente e tali caratteristiche sono valide anche per l’omelia che presenta e dà applicazione al messaggio evangelico.
La proclamazione del Vangelo deve illuminare i partecipanti anche affinché avvertano una sacra soggezione di Dio, poiché è lo stesso Dio che ha creato la luce dalle tenebre. I partecipanti devono incontrare la teofania di chi è Gesù, ovvero il Figlio di Dio annunciato dalla voce del Padre
– S.E.R. Mons. Raymond SAINT-GELAIS, Vescovo di Nicolet (CANADA)
La Parola di Dio riecheggia nelle Scritture. Ma essa non resta racchiusa negli scritti. Va ben oltre il libro. Poiché è innanzitutto una persona che si rivolge all’umanità prima di essere un testo da studiare. Dio ha inaugurato un dialogo vivo con l’umanità e la sua Parola apre a tutte le generazioni orizzonti inaspettati di verità e di senso.
Nelle celebrazioni liturgiche, spetta all’omelia l’introdurre l’assemblea nel mistero della Parola che Dio le rivolge nella sua vita concreta. Essa favorisce anche il rapporto tra la Parola di Dio e la cultura, tra le fede e la vita. Inoltre, essa deve fare penetrare i fedeli nel mistero che celebrano.
– S.E.R. Mons. Luis Antonio G. TAGLE, Vescovo di Imus (FILIPPINE)
Il Sinodo tratta giustamente della disponibilità all’ascolto. Nelle Scritture, quando le persone ascoltano la Parola di Dio, fanno esperienza della vera vita. Se la respingono, la vita finisce in tragedia. L’ascolto è una cosa seria. La Chiesa deve formare ascoltatori della Parola. Ma l’ascolto non si trasmette soltanto con l’insegnamento ma piuttosto con l’ambiente in cui si ascolta. Propongo tre modi di procedere per approfondire la disposizione all’ascolto.
1. La nostra preoccupazione è l’ascolto nella fede. La fede è un dono dello Spirito, e allo stesso tempo anche un esercizio di libertà umana. Ascoltare nella fede significa aprire il proprio cuore alla Parola di Dio, far sì che essa ci penetri e ci trasformi, e praticarla. È equivalente all’obbedienza nella fede. Formazione all’ascolto significa formazione alla fede integrale. I programmi di formazione devono essere concepiti come formazione all’ascolto del sacro.
2. Gli eventi di questo mondo mostrano i tragici effetti della mancanza di ascolto: conflitti in famiglia, divari tra generazioni e nazioni, e violenza. Le persone sono intrappolate in un mondo di monologhi, disattenzione, rumore, intolleranza ed egocentrismo.
3. Dio parla e la Chiesa, sua serva, dà la propria voce alla Parola. Ma Dio non si limita a parlare. Dio ascolta anche soprattutto i giusti, le vedove, gli orfani, i perseguitati e i poveri che non hanno voce. La Chiesa deve imparare ad ascoltare nel modo in cui Dio ascolta, e offrire la propria voce a chi non ha voce.
– S.E.R. Mons. Joseph Luc André BOUCHARD, Vescovo di Saint Paul in Alberta (CANADA)
Il paragrafo 22 del Documento di Lavoro afferma: “Il popolo di Dio va educato a scoprire questo grande orizzonte della Parola di Dio, evitando di rendere complicata la lettura della Bibbia”.
A partire dal Concilio Vaticano II, sono stati numerosi gli sforzi per rendere la Parola di Dio alla portata dei fedeli. Tuttavia esiste “una certa separazione degli studiosi dai Pastori e dalla gente semplice delle comunità cristiane” (IL 7).Che la Federazione Biblica Cattolica mondiale (FBC), sostenuta dal Magistero con gli altri Dicasteri romani, preveda la possibilità di organizzare Congressi Internazionali sulla Parola di Dio per consentire una lettura “cum Ecclesia” della Scrittura.
– Rev. P. Ab. Glen Adrian LEWANDOWSKI, O.S.C., Maestro Generale dell’Ordine della Santa Croce
Kerigma come Vangelo
Il linguaggio che parlavano gli apostoli era un linguaggio kerigmatico, un sermone pieno del potere di trasformazione della buona novella. E la risposta di fede tra gli ascoltatori del mondo era altresì segnata dallo Spirito che trasforma.
L’esordio dell’Ordine della Santa Croce afferma di Gesù, il Figlio crocifisso: “Egli è salito sulla santa croce per dare una parola di vita”. Gesù stesso, issato in croce, è l’araldo del vangelo di vita.
Il genere letterario del kerygma è una gioiosa proclamazione piuttosto che una predicazione elaborata.
Kerygma nell’Eucaristia
Il kerygma biblico echeggia nelle preghiere eucaristiche della Chiesa. Ci rammarichiamo del fatto che il rivolgimento nella storia passata sia giunto a isolare l’istituzione narrativa come la consacrazione, separandola dal suo contesto kerygmatico e tacendolo.
È veramente opportuno, come ha sollecitato Giovanni Paolo II, che mentre siamo in piena attività davanti a Dio per la proclamazione del Vangelo e quella della preghiera eucaristica, che ci sforziamo di riappropriarci della virtù pasquale della gioia.
– S.E.R. Mons. Benjamin Marc RAMAROSON, C.M., Vescovo di Farafangana (MADAGASCAR)
Che cosa noi, in Madagascar, attraverso il nostro contatto con la Parola di Dio e le nostre umili esperienze, possiamo portare in questo senso perché la nostra Parola sia viva ed efficace all’inizio di questo terzo millennio?
Auspico solo che la freschezza della lettura della Parola vissuta all’interno della nostra cultura e del nostro popolo aiuti tutta la Chiesa: sia noi nella nostra sfida di inculturare la fede sia le Chiese in Occidente nel loro cammino verso la nuova Evangelizzazione.
Questa esegesi che oso definire “esegesi radicata nella cultura”, che comporta delle esigenze di un’autentica inculturazione, non è una semplice “vernice” ma una “personalizzazione” della fede nutrita dalla Parola bene accolta e tutta permeata della nostra tradizione ancestrale.
La maggior parte delle nostre popolazioni non sanno né leggere né scrivere. La frequentazione della Parola di Dio si limita spesso alla lettura fatta in chiesa al momento delle celebrazioni liturgiche.
Eppure, questa triste situazione non impedisce alla Parola di Dio di radicarsi e generare anche delle belle e meravigliose sorprese.
La nostra cultura non è senza analogie con la pedagogia di Gesù nel Vangelo. Queste persone che non sanno né leggere né scrivere hanno un forte senso del sacro e comprendono il “linguaggio simbolico”. Perciò, molti libri della Bibbia, in particolare i Vangeli, non sono estranei alla povera gente delle nostre campagne. Questi Scritti appaiono loro molto vicini dato che l’ambiente letterario nel quale sono stati composti è vicino alla loro vita. È facile per loro commentare questa parola e si è profondamente sorpresi dalla profondità di alcuni commenti spontanei che potrebbero stupire gli esperti. A volte, la ricchezza di tali commenti, caratterizzati da una profondità spirituale autentica, ricorda quelli dei Padri della Chiesa. Non è un’esegesi scientifica ma un’esegesi nel senso originario, cioè un’interpretazione che aiuta ad accogliere l’insegnamento di un testo nella sua purezza.
Posso, cogliendo l’occasione di questo Sinodo, suggerire agli esegeti, ai nostri Pastori, di tener conto di questa forma di approccio, diversa dai nostri studi scientifici, certo, ma così arricchente, soprattutto per la lectio divina dato che, lo scopo dell’esegesi è quello che dice San Paolo: “comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza” (Ef 3, 18-19).
La Vergine Santa che ha saputo conservare e meditare “queste cose nel suo cuore” ci aiuti in questo.
– S.E.R. Mons. Ricardo BLÁZQUEZ PÉREZ, Vescovo di Bilbao (SPAGNA)
L’omelia è parte integrante della celebrazione eucaristica nel giorno del Signore. Occupa un posto privilegiato nel ministero della Parola di Dio; è uno dei servizi più importanti che il vescovo e il presbitero possano prestare alla comunità dei fedeli cristiani.
È opportuno che nella preparazione dell’omelia il predicatore si ponga almeno tre domande: che cosa dicono le letture che saranno proclamate nella celebrazione? Che cosa mi dicono personalmente? Che cosa devo comunicare a coloro che partecipano all’Eucarestia? Dunque, pur senza trasformarsi in un momento di catechesi, l’omelia dovrà presentare un contenuto dottrinale chiaro e deciso. Anche se può sembrare paradossale, l’officiante è il primo destinatario della sua predicazione. Non è una parola rivolta solo agli altri e, na
turalmente, non è un parola lanciata agli altri. Il predicatore dovrà includere se stesso, anche nel modo di parlare, nelle esortazioni, nelle correzioni e negli appelli alla conversione rivolti alla comunità.
Nell’omelia convergono la vita di ogni persona con le sue necessità e speranze e l’annuncio della Parola di Dio. Esiste un travaso fra vita e celebrazione che il predicatore deve facilitare. L’omelia deve aiutare gli ascoltatori a interpretare la storia alla luce della morte e della risurrezione di Gesù come Egli fece con i discepoli di Emmaus.
L’omelia è un’eco della predicazione di Gesù nella Sinagoga di Nazaret. Dopo la lettura di un brano del profeta Isaia, proclama: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4, 21). L’omelia non è solamente la narrazione di ciò che è stato detto, di ciò che è accaduto ed è stato scritto nel passato, bensì è l’attualizzazione con la forza dello Spirito Santo di ciò che il Signore ha detto e ha fatto. Ciò che si dice essere avvenuto “in illo tempore” e “in diebus illis” si compie anche “hodie”. La liturgia della Chiesa è il luogo privilegiato in cui le Scritture sono Parola di Dio per la comunità
– S.E.R. Mons. Gerald Frederick KICANAS, Vescovo di Tucson, Vice Presidente della Conferenza Episcopale (STATI UNITI D’AMERICA)
L’assemblea eucaristica è il luogo in cui si costruisce la Chiesa. La Parola proclamata in tale assemblea conforta, guarisce, porta speranza, ispira, instilla gioia, letizia, confronta, insegna e sfida.
La Parola proclamata rivela e afferma la parte migliore degli ideali e delle aspirazioni che Dio ha messo nel cuore dell’uomo. La Parola proclamata, mediata dallo Spirito, ci ispira a vivere, a muoverci, e a mettere tutto il nostro essere in Cristo. Attraverso la grazia, essa cambia la vita. Sfortunatamente la predicazione ai nostri giorni può perdere sapore, divenire formulazione e perdere ispirazione, lasciando vuoto l’ascoltatore. I vescovi, i sacerdoti e i diaconi hanno la responsabilità di predicare durante la Messa. Come possiamo conferire intensità alla Parola di Dio? Ebbene, cosa accadrebbe se dopo quest’anno di San Paolo la Chiesa universale proclamasse un anno di predicazione nell’assemblea eucaristica?
Che accadrebbe se, in questo anno di predicazione, sacerdoti e diaconi, insieme ai loro vescovi, studiassero cosa è importante per predicare meglio? Che accadrebbe se, in quest’anno di predicazione, sacerdoti e diaconi, insieme ai loro vescovi, incontrassero i laici per ascoltare i loro problemi? Potrebbero discutere su come la predicazione possa ispirare i laici a diventare il lievito del mondo, portando i valori del Vangelo nei problemi del loro tempo. Che accadrebbe se, in questo anno di predicazione, si effettuasse un’esplorazione a tutto campo del potenziale catechetico dell’omelia domenicale? Se tutti questi “se” potessero realizzarsi, allora la nuova primavera per la cristianità di cui parla il Santo Padre, potrebbe instaurarsi e fiorire in tutta la Chiesa, rinnovandola, rafforzando l’evangelizzazione, intensificando la catechesi e promuovendo il discepolato.