ROMA, lunedì, 6 ottobre 2008 (ZENIT.org).- La Verna nella storia dell’Ordine minoritico è stato un continuo richiamo alla vita contemplativa e presto accanto alla cappella della stimmatizzazione di san Francesco sorse il Romitorio delle Stimmate.
“La storia di tale istituzione – ha detto a ZENIT padre Pietro Messa, OFM, Preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum – , proprio per la sua vicinanza al santuario, ha risentito del suo influsso, così come anche di quello della Provincia Toscana dei Frati Minori di cui fa parte e della Chiesa intera.
“Quindi non meraviglia che negli anni immediatamente successivi al Vaticano II anche il Romitorio delle Stimmate attraversò momenti di crisi e discussioni circa il proprio futuro, venendo meno la realtà fino allora vigente”, ha aggiunto.
Dopo diversi tentativi di “attualizzazione”, però, nel 1983 si diede inizio nuovamente alla vita del Romitorio delle Stimmate”.
In occasione dei venticinque anni di presenza, il 27 settembre 2008, in collaborazione con l’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontifica Università Antonianum, si è svolta presso il santuario La Verna una giornata di studio dedicata a “La riscoperta della vita eremitica e la famiglia francescana”.
Introducendo i lavori, padre Paolo Fantaccini, Ministro provinciale OFM della Toscana, ha collocato tale incontro nella prospettiva dell’VIII Centenario della fondazione dell’Ordine dei frati Minori (1209-2009).
Padre Paolo Martinelli, Preside dell’Istituto Francescano di Spiritualità, ha messo invece in evidenza l’importanza antropologica di coniugare individualità e vita comunitaria.
Infatti, ha spiegato, nella vocazione ciascuno è chiamato per nome e non come massa indeterminata; tuttavia, non si tratta di un individualismo perché la chiamata implica sempre un riferimento alla comunità. Ciò vale anche per la vita eremitica, la quale non può pensare la relazione con Dio senza l’incontro con Cristo nel suo corpo ecclesiale.
“Proprio perché non si tratta di un narcisismo spirituale – ha affermato padre Martinelli –, la vita eremitica trova il suo orizzonte più autentico nella spiritualità di comunione, la cui radice sta nel mistero eucaristico; ciò significa che ogni contrapposizione tra anacoretismo e vita comunitaria è ridimensionato”.
Inoltre, il relatore ha affermato che l’autenticità della vita eremitica è data non solo dalla comunione con la Chiesa, ma anche dal suo rapporto con il mondo. Infatti, l’eremo è sì separazione dal mondo, ma segnata da una dimensione escatologica, per cui “l’eremita stesso con la sua esistenza indica non l’irrilevanza del mondo, ma il suo destino”.
Senza tale prospettiva – in cui si cerca non l’ “al di là”, ma il “Definitivo”, come ha ricordato recentemente Benedetto XVI – la vita ascetica diventa una alienazione dal mondo che conferma ultimamente la sua mondanità, ossia una visione secolarizzata dell’esistenza, aliena da Dio.
L’ “escatologico” in senso proprio, ha continuato, è dunque Gesù Cristo stesso, crocifisso e risorto in cui trova compimento l’umano desiderare. La vita eremitica diviene così testimonianza del compimento ultimo della storia.
Vittorina Marini della Pontificia Università Lateranense ha invece messo in rilievo che “il Concilio ha permesso una rinnovata presa di coscienza della vita eremitica in generale e conseguentemente ha aperto un processo di rinnovamento per questa forma di vita solitaria, che riconduce la Chiesa stessa alle origini della vita religiosa e all’essenziale della vita cristiana come contemplazione del mistero divino”.
“Dal Concilio Vaticano II – ha detto –, nasce l’incoraggiamento della Chiesa per la vita eremitica sia degli Ordini religiosi che dei singoli, si approfondisce il suo valore apostolico e testimoniale e si apre la possibilità di un suo concreto inserimento nel cuore della vita ecclesiale”.
“Tuttavia, l’ecclesialità della vita eremitica, non viene determinata dalla natura di un impegno canonico formale – ha precisato –, ma prima di tutto dal suo riconoscimento teologico, poiché si colloca nel mistero di Dio e della Chiesa, nel mistero di Cristo e del suo corpo mistico, sotto l’influsso dello Spirito Santo che la ispira e la dirige”.
Dopo aver passato in rassegna i diversi pronunciamenti del magistero – soprattutto la lettera Optimam partem di Paolo VI indirizzata nel 1978 ad André Poisson, ministro generale dell’Ordine dei Certosini – Vittorina Marini ha quindi evidenziato che tali testi sollecitano l’inserimento della vita eremitica nell’ambito ecclesiale e anche apostolico; in questo modo l’eremita risulta essere un contemplativus in actione.
Nella seconda parte dei lavori, Cristiana Mondonico, Badessa del Monastero delle clarisse di Gubbio, dopo aver presentato le profonde tensioni presenti nell’ordine minoritico a metà del Duecento proprio in merito alla presenza dei frati negli eremi, ha evidenziato che invece in Santa Chiara d’Assisi c’è stata una sintesi tra vita comunitaria e contemplazione.
Infatti la comunità di San Damiano risultava essere un “eremo fraterno” e questo perché la regola era la stessa forma di vita di Cristo. In questo modo ciò che per i frati risultava essere la nostalgia dell’eremo per Chiara e le sorelle era una vita.
Essendo la vita eremitica relazione con Dio e con i fratelli, essa rimanda al cuore del cristianesimo: infatti non è fuori, ma dentro le relazioni fraterne. La povertà allora è un silenzio del cuore, spoglio di ogni cosa, svuotato per accogliere l’altro, proprio come mostra il racconto Della vera letizia in cui san Francesco pone la vera gioia non nei successi – anche dell’apostolato – ma nella misericordia vissuta verso i fratelli.
Al termine della giornata monsignor Gianfranco Agostino Gardin, Segretario della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, riprendendo quanto emerso nelle relazioni ha posto l’accento sulla vita eremitica come luogo in cui si evidenzia la chiamata non a fuggire il mondo, dichiarandolo inconsistente, ma la mondanità.
A riguardo della riscoperta della vita eremitica in un ordine religioso il timore da lui espresso è che sorga una conflittualità tra coloro che si dedicano ad una vita prettamente contemplativa e chi è coinvolto nell’apostolato. Ciò può essere evitato – ha indicato – mediante la valorizzazione della ricchezza della complementarietà e una sorta di “santa invidia” per ciò che l’altro vive.
Proprio questa complementarietà fraterna, secondo monsignor Gardin, risulta essere la ricchezza della vita francescana.
[Le relazioni alla giornata di studio verranno pubblicate nel 2009 nella rivista “Studi francescani” di Firenze]