di Alexandre Ribeiro
LISBONA, martedì, 24 giugno 2008 (ZENIT.org).- La Bibbia “è uno dei punti di riferimento fondamentali non solo per la fede, ma anche per la nostra civiltà”, ha affermato monsignor Gianfranco Ravasi.
Il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura era venerdì scorso in Portogallo, dove ha presentato all’Università Cattolica Portoghese una conferenza dal titolo “La Bibbia, ‘Grande Codice’ della cultura occidentale”.
Secondo il presule, la Bibbia è presente nella cultura occidentale “come componente strutturale del dominio artistico, etico e sociale”.
“’Le Sacre Scritture sono l’universo su cui la letteratura e l’arte occidentali hanno operato fino al XVIII secolo e, in buona misura, ancora operano’”, ha detto citando il critico letterario Northrop Frye.
Monsignor Ravasi ha sottolineato che per secoli “la Bibbia è stata un’immensa grammatica o un repertorio iconografico, ideologico e letterario al quale ci si è attenuti costantemente a livello sia della cultura elevata che di quella popolare”.
L’Arcivescovo ha indicato tre modelli che rappresentano “questa enorme influenza”, il primo dei quali sarebbe quello “reinterpretativo o attualizzante: si assume il testo o il simbolo biblico che viene riletto all’interno di coordinate storico-culturali nuove e diverse”.
Un altro modello è “quello che elabora i dati biblici in modo sconcertante e che possiamo definire degenerativo. Nella stessa storia della teologia e dell’esegesi si sono verificati frequentemente fraintendimenti e deformazioni ermeneutiche”.
In questo caso, il testo biblico corre “il rischio della riduzione a una tenue base su cui si tessono nuove trame e nuovi significati, fenomeno che avviene con molte altre figure bibliche”, ha affermato.
Un terzo modello, “quello trasfigurativo”, appare quando “l’arte riesce a rendere visibili dissonanze segrete del testo sacro, trascrivendolo in tutta la sua purezza, facendo nascere potenzialità che l’esegesi scientifica conquista solo con molta fatica o ignora del tutto”.
Su questa linea, secondo l’Arcivescovo, emerge “la grande musica che, nel periodo storico che va dal ‘600 all’inizio dell”800, ha superato spesso le arti figurative come interprete della Bibbia (Carissimi, Monteverdi, Schütz, Pachelbel, Bach, Vivaldi, Buxtehude, Telemann, Couperin, Charpentier, Haendel, Haydn, Mozart, Bruckner ecc.)”.
“Immaginate cosa può significare un oratorio come Jefte di Carissimi o il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi, o la Passione secondo Matteo di Bach o ancora, guardando ai nostri giorni, la Passione secondo San Luca di Penderecki o i Chichester Psalms di Bernstein”, ha affermato.
Secondo monsignor Ravasi, per studiare un caso “specifico ed esistenziale”, “basterebbe seguire la suprema rilettura che Mozart fa di un salmo letterariamente modesto, il brevissimo 117 (116), caro a Israele perché proclama le due virtù fondamentali dell’alleanza che lega Dio al suo popolo, cioè veritas et misericordia, come dice la versione latina della Vulgata utilizzata dal musicista, o ‘amore e fedeltà’, in una traduzione più vicina all’originale ebraico”.
“E’ chiaro, il Laudate Dominum in Fa minore dei Vespri solenni di un Confessore (K 339) di Mozart riesce a ricreare tutta la carica teologica e spirituale ebraica e cristiana del salmo come non saprebbe fare nessuna esegesi testuale diretta”, ha sottolineato.
Ricordando che la Bibbia è uno dei punti di riferimento per la fede e la civiltà, monsignor Ravasi ha concluso il suo intervento citando le parole di Goethe, che “diceva che il cristianesimo è ‘la lingua materna dell’Europa’”.
[Traduzione dal portoghese di Roberta Sciamplicotti]