Educazione e famiglia

ROMA, sabato, 21 giugno 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della conferenza sul tema “Educazione e famiglia”, tenuta dal Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna, il 6 giugno scorso presso il ricreatorio “Don Isidoro Ghedini” della parrocchia di Sant’Agostino Ferrarese

* * *

Nelle cinque lezioni precedenti a questo incontro avete riflettuto sui principali aspetti dell’educazione della persona.

A conclusione credo opportuno da parte mia condurvi a considerare la missione educativa alla sua sorgente. Vorrei cioè fare una riflessione generale [non generica!] sull’educazione. Potrei spiegarmi colla seguente immagine: avete preso in esame i rami; questa sera vorrei invitarvi a guardare il tronco su cui i rami vivono.

Cercherò dunque di rispondere alle seguenti domande: che cosa significa «educare una persona»? A quali condizioni è possibile? Perché la famiglia è il luogo originario dell’educazione della persona?

1. Educare la persona

Vorrei chiedervi un piccolo sforzo di immaginazione. Immaginiamo di essere su un aereo in volo, immaginiamo che per un guasto si renda necessario un atterraggio di fortuna, e che ciò avvenga in un’isola sconosciuta a tutti i passeggeri. Quali domande ci faremmo? Almeno le seguenti tre: dove siamo arrivati? Questo territorio è abitato da altri ed è ospitale o invivibile? Per quanto tempo prevediamo di doverci rimanere?

Questo evento immaginario è una delle metafore più potenti di che cosa è l’arrivo nel mondo di una nuova persona umana, di un bambino.

Egli, nel modo e nella misura confacenti al suo sviluppo, non può non farsi quelle tre domande: dove sono arrivato? Il mondo in cui sono arrivato mi è amico od ostile? Questa è l’unica vita che mi è data di vivere? Colla prima domanda, la nuova persona chiede di essere guidata a capire la realtà che lo circonda: è la domanda di verità. Colla seconda domanda, chiede di essere guidato ad amare/odiare ciò che lo circonda: è la domanda di bene. Colla terza domanda, chiede di essere guidato a capire il senso di questa vita: è la domanda di speranza. Un grande filosofo ha scritto che le domande che ciascuno si porta dentro ed alle quali deve in un qualche modo rispondere, sono tre: che cosa posso sapere? Che cosa devo fare? In che cosa ho il diritto di sperare?

Se uno straniero arriva in un paese non ha che un modo di sapere dove è arrivato: chiederlo a chi vi abita. La nuova persona lo chiede a chi già vi abita. Anzi in primo luogo, a chi ve lo ha condotto: a chi lo ha fatto nascere, ai suoi genitori.

Ho già sostanzialmente risposto alla prima domanda: che cosa significa «educare una persona». E la risposta è: introdurla nella realtà. Cioè: guidarla a capire, ad amare, a sperare. Vorrei ora specificare meglio il contenuto di questa risposta con due precisazioni.

La prima. L’uomo nella pericolosa traversata della vita ha due mezzi a disposizione per far navigare la nave: remare colla forza delle sue braccia oppure avere a disposizione un motore che sospinga la nave.

Nell’introdurre la neo-arrivata persona nella realtà, chi lo guida ha a disposizione due mezzi: la sua ragione e la divina Rivelazione. E quindi esiste una educazione umana [condotta alla luce della sola ragione]; ed esiste un’educazione cristiana [condotta alla luce e della ragione e della fede].

La seconda precisazione è di un’importanza fondamentale. Vi prego di prestare molta attenzione. Le persone che introducono nella realtà – diciamo: gli adulti; gli educatori – vivono già dentro alla realtà. Si trovano già dentro ad un modo di pensare, di valutare. In una parola: dentro ad una cultura. Non sono stati loro a crearla. L’hanno a loro volta ricevuta. Si trovano all’interno di una tradizione che si trasmette di generazione in generazione. Nessuno parte da zero. Il pensarlo è la più grave stoltezza educativa. Voi capite bene che la tradizione è una vita: è la vita di un popolo. È custodita dalla sua memoria; è resa viva dalla consapevolezza di ogni generazione; è arricchita dalle risposte alle nuove sfide che le vengono rivolte.

Educare significa dunque inserirsi dentro una tradizione vivente. E la nostra tradizione ha una sua propria identità; ha sue proprie radici.

2. Condizione dell’educazione

Vi sarete resi conto che l’attività educativa è qualcosa di grandioso: forse è l’atto più grande che una persona possa compiere. Ma perché possa verificarsi devono darsi alcune condizioni. Non le elenco tutte. Mi limito a quelle che nella situazione attuale mi sembrano le più importanti.

La prima: l’autorevolezza dell’educatore. Non è possibile nessuna educazione senza l’esercizio dell’autorità dell’educatore. Il rapporto educativo non è fra pari. Mi spiego.

Riprendete mentalmente tutto quanto ho detto nel primo punto. E proviamo ad immaginare una situazione del genere. La persona arrivata chiede: «che cosa è, che cosa significa, questo è bene o male…?»: e l’educatore risponde: «non lo so; non te lo dico, perché così quando sarai grande deciderai come ti sembra; non ti rispondo perché non c’è nessuna risposta alla tua domanda: ciascuno faccia come gli pare e piace». Domandiamoci: questo è un rapporto educativo? Non è abbandonare la persona al suo destino, alla tirannia dei suoi istinti, al deserto senza vie di uscite della sua solitudine?

Senza mai usare la parola, vi ho detto che cosa è l’autorità dell’educatore: essa consiste nel fatto che l’educatore fa una proposta di vita chiara, unitaria; nella certezza che questa è una proposta vera e buona; avendola egli verificata nella sua vita. Se viene meno uno di questi elementi – chiarezza della proposta, certezza della sua verità e bontà, verifica nella vita – l’autorità dell’educatore è minata alla radice.

Ora vi è più facile capire il discorso che ho fatto poc’anzi sulla tradizione. Un educatore può conoscere momenti di incertezza anche gravi; può perfino pensare di avere sbagliato. La fiducia nella tradizione è la via di uscita da queste gravi insidie alla gioia e alla passione educativa.

La seconda: la comunione di vita. Non è possibile nessuna educazione se non si crea una qualche comunione di vita fra chi educa e chi è educato. È una conseguenza pratica di quanto ho appena detto sull’autorità dell’educatore.

L’educatore si rivolge sempre alla libertà di chi è educato. Egli quindi deve fare la sua proposta di vita in modo che la libertà dell’altro ne sia attratta, ne sia persuasa intimamente. Nessuna coazione in fondo è ammissibile nel rapporto educativo.

Perché l’occhio possa vedere, deve essere sano e deve esservi luce. Togliete una di queste due condizioni, e la visione diventa impossibile. Perché chi viene educato scelga liberamente, deve essere interiormente spinto dal desiderio, e la proposta che gli è fatta deve essere attraente. Come diventa attraente? Quando chi viene educato può dire: “come è bello! Anch’io provo a vivere come vivi tu!”. Ma questo è possibile solo se c’è una qualche comunione di vita fra chi educa e chi viene educato. Ed il segno che l’educazione è terminata, non è forse anche che chi è stato educato “si stacca”, e va a “vivere per suo conto”? L’oratorio, la grande intuizione educativa di S. Giovanni Bosco ed ancor prima di S. Filippo Neri, nasceva dalla percezione di questa esigenza fondamentale. Anche Gesù non vi si è sottratto nell’educazione dei suoi apostoli.

3. Famiglia ed educazione

In questa ultima parte della mia riflessione desidero mostrarvi che il luogo originario dell’educazione è la famiglia.

Che cosa significa «originario»? almeno due cose. Che la costruzione della persona umana inizia, non solo cronologicamente, nell’ambito della famiglia. Nel senso che è in essa che inizia il cammino della persona verso la piena realizzazione
di se stessa.

E pertanto – seconda cosa – tutti i successivi agenti dell’educazione devono rapportarsi al soggetto-famiglia; ritenersene non i sostituti, ma gli ausiliari.

Vediamo ora perché le cose stanno così, perché la famiglia è il luogo originario dell’educazione. Lo si può evincere da almeno tre ordini di considerazioni.

La prima considerazione parte dal fatto che la famiglia è la risposta umanamente adeguata ai bisogni naturali della persona umana. Essa cioè costituisce la dimora degna della persona umana appena arrivata, perché è in essa che il bambino diventa soggetto della comunità umana. Egli è collocato dentro una «cura» che gli fa prendere coscienza di essere un «io» all’interno di un «noi». Una «cura» che non può esserci neppure nel migliore istituto.

La seconda considerazione parte dal fatto, implicito in ciò che ho appena detto, che la famiglia rende possibile una comunione stabile di vita, nella quale la nuova persona viene introdotta dentro la realtà con gradualità e nella quotidianità esistenziale: quasi senza che se ne accorga. È una crescita che sa rispettarne i ritmi. In altre parole. La seconda condizione – la comunione di vita – fondamentale dell’atto educativo trova nella famiglia la più umana delle realizzazioni.

La terza considerazione nasce da una riflessione un po’ più complessa.

Partiamo da una domanda un poco … strana: è “normale” che nascano bambini? Si e no! È normale: poste certe condizione biologiche, come avviene per altre specie viventi, nasce un nuovo individuo.

La realtà però della nascita dell’uomo è molto più profonda. Ogni persona umana non è semplicemente un individuo che perpetua un specie. È qualcuno di unico, di irripetibile, di non numerabile: è la nascita di una persona. È intervenuto l’atto creativo di Dio stesso. Come la nuova persona prende coscienza di questo suo «statuto ontologico»? di questa sua «dignità»? L’attitudine fondamentale con cui è attesa e accolta è la via con cui essa normalmente prende coscienza di se stessa. È all’interno di un vero amore coniugale che essa può essere voluta nel modo giusto. «Nel codice dell’amore famigliare, ciascuno è unico ed infungibile. Amare significa riconoscere “come è bello che tu esista”, e quel “tu” non ha equivalenti» [P.P. Donati, Perché “la” famiglia? Cantagalli, Siena 2008, 113]. In breve: è all’interno della famiglia che viene assicurata la genealogia della persona.

Non abbiamo tempo di riflettere ora sul modo con cui devono essere strutturati i rapporti fra la famiglia e gli altri agenti dell’educazione [Chiesa, scuola]. E concludo.

Avete fatto un vero percorso di riflessione seria. Sono sicuro che ne trarrete beneficio in termini di passione ed impegno educativo. Nonostante tutte le difficoltà di ogni genere, sappiate che la custodia della dignità del matrimonio e della famiglia, anche contro il tentativo di equipararvi le forme più disparate di convivenza quotidiana, non è una “battaglia di retrogradi”. La famiglia è l’istituzione fondamentale del futuro, perché è l’istituzione che assicura la “genealogia della persona”.

 

Share this Entry
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione