Dialogo tra le religioni, per un linguaggio comune tra i popoli

Sostiene il Cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia

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CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 9 giugno 2008 (ZENIT.org).- Il dialogo tra le religioni è la base per poter costruire un linguaggio comune in grado di mettere in comunicazione individui e popoli, ha affermato il Cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia.

In un’intervista rilasciata a “L’Osservatore Romano”, il porporato spiega che per costruire questo linguaggio è fondamentale “quell’allargamento della ragione cui il Papa, da Ratisbona in poi, non si stanca di richiamarci”, “insieme alla certezza che la storia non è abbandonata alla deriva del caso, ma è saldamente sorretta dalle mani di Dio”.

“Quando l’uomo esclude Dio dalla sua vita personale e sociale, vive male”, osserva.

In questa direzione, “le religioni – come espressione concreta, vitale, popolare di un rapporto con Dio – sono una particolare e straordinaria risorsa, purché accettino di lasciarsi purificare dalla fede”.

“Proprio a questo serve il dialogo tra le religioni. Gesù Cristo, unico e universale redentore, accompagna l’umanità che cammina con le due ali della ragione e della fede”.

Da questo punto di vista, per il Cardinale le vie del dialogo sono due: “la prima, e principale, è che tutti dobbiamo riconoscerci figli di un unico Dio”.

“Anche chi dice di non credere, dovrebbe cercare di non rinunciare all’ipotesi che Dio sia all’opera, perché questa di fatto è l’ipotesi più ampia e più rispettosa di tutti”, ha constatato.

In secondo luogo, bisogna sottolineare “il valore pratico dell’essere insieme”. Anche se ci si pensa raramente, “il primo grande valore che abbiamo in comune è che siamo, per così dire, ‘costretti’ a vivere insieme”.

Per questo motivo, ha aggiunto, “il confronto incessante nel rispetto del comandamento della ‘regola d’oro’ – non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te – è una condizione fondamentale perché si possa vivere per quanto possibile in pace”.

Il 7 giugno il Cardinale Scola ha ricevuto il premio “Lignano-Europa”, riconoscimento speciale nell’ambito della ventiquattresima edizione del premio letterario e giornalistico “Ernest Hemingway Lignano Sabbiadoro”.

Il porporato, si legge nelle motivazioni della giuria, è stato premiato non solo per lo spessore culturale del personaggio, “uno dei più lucidi e illuminati esponenti del pensiero filosofico cattolico contemporaneo”, ma anche per la sua intensa attività a favore dell’incontro e del dialogo fra i popoli e le culture.

Oggetto delle osservazioni del Cardinale è anche il vecchio continente. “In Europa c’è bisogno di un soprassalto di senso civico e di democrazia – propone –. E la grande questione che le nazioni europee devono porsi è: da dove può venire un cittadino europeo, dinamico, aperto al futuro e non bloccato dalle paure?”.

A suo avviso, il malinteso per il quale secondo alcuni se si parla di radici cristiane dell’Europa si sta ledendo il continente o urtando la sensibilità di qualcuno nasce “dall’incapacità di guardare al futuro, che caratterizza molti aspetti delle società europee”.

“Se si guardasse davvero al futuro, si capirebbe che il cristianesimo è invece una grande risorsa”, ha affermato. “Quando noi parliamo delle radici cristiane dell’Europa, infatti, non intendiamo conservare un fossile, ma sottolineare come il cristianesimo – facendo spazio a Dio e facendo spazio all’uomo nella sua dignità e a tutti i popoli, soprattutto a quelli emergenti – può continuare a essere una risorsa particolarmente stimolante per identificare il nuovo stile di vita dell’uomo europeo”.

Il dibattito che si sta svolgendo da anni in Europa sulla laicità e l’idea spesso ripresa da Benedetto XVI di una sana laicità devono far capire che “una società civile oggi vive della narrazione, del racconto di tutti i soggetti personali e sociali che la abitano”, ha proseguito.

Da questo punto di vista, riconosce il Cardinale Scola, “il discorso dell’educazione è fondamentale”, ma l’aspetto più importante è che l’Europa, e in particolare l’Italia, guardi all’educazione “in maniera molto più puntuale, profondendo risorse di uomini e di mezzi per dare alle scuole, alle università e a chi svolge un compito educativo un peso decisamente più marcato e rilevante”.

Per poter “realmente gestire un sistema che risulta ormai infiacchito”, il porporato sostiene che si debba passare “da un pluralismo nella scuola a un pluralismo delle scuole”.

Le libertà civili e sociali, osserva, non si potranno realizzare senza un’adeguata libertà di educazione.

“Occorre imboccare con coraggio la strada di una libertà di espressione che incentivi creatività e confronti nella scelta degli educatori, ma anche dei programmi. In taluni Paesi europei già accade. L’Italia, invece, da questo punto di vista è un po’ arretrata”.

Le responsabilità del nostro Paese come sorta di ponte sul Mediterraneo, prosegue il Cardinale, sono molte e da numerosi punti di vista, tra i quali quello che definisce il “meticciato di civiltà”.

“L’Italia, per la sua collocazione geografica, si trova nella condizione di poter dettare il passo futuro a tutta l’Europa. E lo può fare cercando di equilibrare intelligentemente l’accoglienza – che sia rispettosa della dignità e della domanda di partecipazione a un benessere equo da parte di moltissime persone provenienti da Paesi poveri – con l’esercizio di una democrazia nella quale sia garantita al cittadino la sicurezza e il rispetto della propria tradizione”.

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ZENIT Staff

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