Dopo il caso del “piccolo Tommaso”, voci di protesta contro l’aborto

ROMA, lunedì, 19 marzo 2007 (ZENIT.org).- Ha destato molto scalpore in Italia, la vicenda del piccolo Tommaso, un bimbo a cui avevano diagnosticato una “atresia dell’esofago”, che nascondeva lo stomaco.

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Il bimbo era infatti sanissimo e la diagnosi si è rivelata sbagliata. Ma il dubbio che avesse una malformazione ha indotto i genitori ad autorizzare l’aborto nell’ospedale di Careggi a Firenze.

Seppure fosse solo alla ventiduesima settimana di gestazione, il piccolo Tommaso ha cercato di resistere anche all’aborto, ha lottato sei giorni, poi non ce l’ha più fatta e l’8 di marzo è deceduto.

Inoltre, l’Ospedale San Camillo di Roma, per evitare episodi come quello del bimbo al Careggi di Firenze, ha annunciato un protocollo che prevede il consenso dei genitori a sospendere la rianimazione in caso di sopravvivenza del feto dopo l’aborto.

Di fronte a questa duplice tragedia, l’Associazione “Scienza & Vita” ha diffuso il 9 marzo una nota dal titolo “L’orrore è servito”, a cui si sono unite, il 13 marzo, anche le Associazioni “Scienza & Vita” di Firenze, Pisa e Livorno, Siena, Arezzo, Lucca, Massa e Pontremoli e Casalguidi (PT).

Nella nota del 9 marzo, l’Associazione ha sottolineato che “la legge 194 che regola la pratica di aborto “chiarisce senza possibilità di equivoco che il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto” e precisa che oggi “la scienza medica ha reso possibile la sopravvivenza del feto a partire dalla ventiduesima settimana”.

La legge 194 all’art. 6 afferma che “L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.

Inoltre all’art. 7 si sostiene che: “Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l’interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell’articolo 6 e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto”.

Per “Scienza & Vita”, il progresso nella scienza medica richiederebbe “una coscienza più allertata sia nella classe medica sia nei futuri genitori”.

A questo proposito, nel comunicato, si riporta il parere di Vincenzo Carpino, Presidente dell’Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani (AAROI) secondo cui: “Il principio del consenso informato, in generale, è valido e deve essere assolutamente perseguito”.

Tuttavia, avverte, Carpino “non si deve arrivare all’esagerazione, come sta accadendo all’Ospedale San Camillo di Roma dove, a chi decide di sottoporsi ad un aborto terapeutico tardivo, viene chiesto di firmare un consenso informato per rinunciare alle cure intensive del neonato nel caso il piccolo sopravviva all’interruzione di gravidanza”.

“Il medico ha il dovere di fare tutto il possibile per tenere in vita un neonato così come una persona adulta”, ha poi sottolineato.

Contro l’aborto e le erronee interpretazioni della legge 194, ha scritto anche il quotidiano della Santa Sede, “L’Osservatore Romano”, nell’edizione dell’11 marzo.

Secondo il quotidiano i fatti in questione sono “un’ulteriore conferma di come la legge 194 crei dei passaggi percorribili per fare della normativa non uno strumento per evitare il ricorso all’aborto ma la copertura legale della soppressione della vita”.

Carlo Casini, Presidente del Movimento per la Vita, in un editoriale che verrà pubblicato sul prossimo numero di “Sìallavita”, ha scritto che Tommaso (nome di fantasia datogli dai giornalisti) “non era un ‘grumo di cellule’, ma un bambino, un figlio, che avrebbe potuto vivere se la gravidanza fosse proseguita ancora un poco, se i medici fossero stati meno frettolosi, se l’inquietudine e l’angoscia della mamma avessero trovato una condivisione capace di un superamento verso la vita”.

Per il Presidente del MpV è grave constatare che “c’è dunque una cultura per la quale ha diritto di vivere chi è sano ma non chi ha bisogno di cure. E’ una cultura orribile contro la quale bisogna urgentemente reagire”.

Casini afferma che questo caso drammatico ci dice “che è giunto il momento di una svolta. La sua morte è stata causata o dalla violazione della legge o dalla cattiveria di una legge”.

“In ogni caso qualcosa occorre fare – aggiunge –. Tentiamo almeno di applicare la legge nel modo meno perverso possibile facendo prevalere il principio di preferenza per la nascita e non rifiutiamo più un dialogo per tentare di apportare alla legge quelle modificazioni che consentano di far nascere i bambini e di aiutare le loro madri a farli nascere nella misura più grande possibile”.

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ZENIT Staff

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