Difesa della vita e della libertà religiosa nei Paesi a maggioranza musulmana

ROMA, venerdì, 2 marzo 2007 (ZENIT.org).- In una intervista che sarà pubblicata sul numero di Marzo di “Si alla Vita”, il mensile del Movimento per la Vita, il dottor Mounir Farag, un medico egiziano, ha denunciato le tante discriminazioni che i cristiani stanno subendo nei Paesi del Medio Oriente, ma ha anche sottolineato la grande opportunità di una cooperazione in difesa della vita e della famiglia.

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La dottoressa Marina Casini, dell’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica di Roma, ha intervistato il dottor Mounir Farag, in occasione della XIII Assemblea della Pontificia Accademia della vita (23 – 24 febbraio 2007) sul tema “Coscienza cristiana e diritto alla vita”.

Il dottor Farag, specializzatosi in chirurgia d’urgenza mini-invasiva a Firenze, esercita la professione di medico da oltre 20 anni. Inoltre, fa parte – in qualità di funzionario – dell’EMRO (Regional Office for the Eastern Mediterranean) che è la sezione dell’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che si occupa dei 22 Paesi arabi.

L’attività di questo medico egiziano è legata anche all’Istituto San Giuseppe di cui è fondatore e che si occupa di promuovere la cultura per la vita anche attraverso il sostegno e la promozione della famiglia. L’istituto San Giuseppe, nato nel 1994, ha oggi delle filiali ad Alessandria, Luxor, Assuan, Assiut, Sohag.

Il dottor Farag è cattolico e fa parte del Movimento dei Focolari nell’ambito delle “famiglie nuove”, una diramazione del Movimento dei Focolari rivolta al mondo della famiglia, fondata da Chiara Lubich nel 1967.

Alla domanda su qual è la condizione dei cristiani in Egitto e negli altri Paesi musulmani, il dottor Farag ha risposto che la presenza dei cristiani in Egitto è assai esigua: su 70 milioni di abitanti, i cristiani sono solo 7 milioni, ovvero il 10% (la maggioranza dei quali è copto-ortodossa); all’interno di questa minoranza, i cattolici sono 250 mila: una minoranza della minoranza.

Il medico egiziano ha precisato che “sebbene vengano fatte dichiarazioni di ‘apertura’ e di ‘uguaglianza’, nei fatti la condizione dei cristiani e, in particolare, dei cattolici, è caratterizzata dalla discriminazione. Non è facile per un cristiano raggiungere un grado accademico all’università, entrare nella magistratura, occupare un posto in Parlamento. Spesso negli stessi bandi di concorso, è prevista l’esclusione di cristiani”.

Il fondatore dell’Istituto San Giuseppe, si è detto preoccupato per il fatto che “il fondamentalismo sta prendendo piede e i fondamentalisti dichiarano che i cristiani sono infedeli e non possono governare il Paese”.

Il dottor Farag ha quindi spiegato che “un musulmano può sposare una cristiana, ma un cristiano non può sposare una musulmana. Le chiese non possono essere ristrutturate senza il permesso del Presidente della Repubblica, ma ottenere tale autorizzazione è difficilissimo perché gli ostacoli anche semplicemente per far giungere la richiesta al Capo dello Stato, sono moltissimi”.

Il funzionario dell’EMRO ha sostenuto inoltre che “le stesse considerazioni valgono anche per gli altri Paesi musulmani. Questa situazione è all’origine dell’emigrazione di molti cristiani”.

Circa la possibile cooperazione sui temi della vita tra cristiani e musulmani, il dottor Farag si è detto più possibilista: “L’esperienza dell’Istituto San Giuseppe per la vita e la famiglia ha mostrato e mostra che sul tema della vita la consonanza è possibile”.

L’Istituto San Giuseppe – che tra l’altro, è nato al Cairo nel 1994, proprio nell’anno in cui si è svolta la Conferenza internazionale delle ONU su popolazione e sviluppo – è fisicamente ubicato nella sede del Patriarca copto-cattolico, e si pone a servizio non solo della Chiesa cattolica, ma anche delle chiese cristiane non cattoliche e dei musulmani.

Il dottor Farag ha raccontato degli esiti di alcuni incontri molto importanti che hanno visto la presenza sia di cattolici, sia di musulmani. Nel 2003, per esempio, c’è stato in Iran il primo Congresso intermusulmano per la medicina moderna al quale ha partecipato la Santa Sede e la Pontifica Accademia per la Vita.

In quell’occasione, sui temi della vita, è stata raggiunta una consonanza con tutti i musulmani. Lo stesso può dirsi circa il primo e il secondo Congresso internazionale svoltosi al Cairo, che hanno coinvolto prevalentemente il mondo arabo-musulmano.

Lo scorso anno è stato organizzato un Convegno sulla clonazione e le cellule staminali embrionali e da poco è terminato un Convegno sull’eutanasia. In entrambe le circostanze l’ecumenismo per la vita ha prevalso.

Nel febbraio 2006, l’ “Islamic Organisation Medical Science” (IOMS) che è l’organismo più importante per la difesa della vita nel mondo arabo musulmano, ha organizzato insieme alla ISESCO (Organizzazione islamica per le scienze, la cultura e l’educazione), e all’OMS-EMRO un Congresso interreligioso sulla bioetica (“Human Genetic and Reproductive Technologies: Comparing Religious and Secular Perspectives”), riunendo attorno ai temi della vita le tre grandi religioni monoteiste (musulmani, cristiani, ebrei).

“I cattolici erano solo due, uno di questi ero io – ha raccontato il medico egiziano –. In quell’occasione ho presentato il tema dello statuto dell’embrione umano nella fase pre-impianto. Nella dichiarazione finale la posizione del mondo musulmano su diversi argomenti di bioetica era più vicina al magistero della Chiesa cattolica di quanto lo siano tanti cristiani”.

“Non dimentichiamo – ha sottolineato il dottor Farag – che nella Conferenza internazionale dei Cairo organizzata dall’ONU su popolazione e sviluppo nel 1994, il tentativo occidentale di proclamare l’aborto come diritto umano fondamentale fu frustato dall’alleanza tra alcuni Paesi cattolici e quasi tutti i Paesi musulmani”.

In merito alla situazione in Sudan, Paese dove i cristiani e gli animisti subiscono gli assalti delle milizie musulmane, il medico egiziano ha commentato: “E’ la situazione che accompagna e segue un conflitto armato: miseria e degrado che a tutti i livelli affligge le persone”.

“Essendo medico e lavorando all’OMS mi occupo soprattutto degli aspetti sanitari, in particolare dell’immunizzazione – ha proseguito –. Ciò che colpisce è che in questi Paesi altamente bisognosi gli organismi internazionali portano la ‘cultura della morte’ sotto la bella promessa di ‘migliorare la vita’”.

Essere a favore della vita e della famiglia non è facile neanche all’interno dell’OMS. Tra le diverse ragioni: “La prima, nell’ufficio regionale di Bioetica dell’EMRO sono l’unico cattolico all’interno di una maggioranza quasi tutta musulmana – ha spiegato –. La seconda, cerco di portare la ‘cultura della vita’ laddove vengono spesso proposte e promosse politiche antinataliste e di pianificazione familiare, espressione della ‘cultura della morte’”.

“Il mio impegno – ha continuato il medico egiziano – è comunque quello di dare una testimonianza di professionalità e di carità”.

In conclusione il dottor Farag ha spiegato che “l’aborto in Egitto è vietato penalmente. Tuttavia sulla base di una valutazione medica che riguarda la salute della donna, le malformazioni del bambino o la violenza sessuale, l’aborto è possibile negli ospedali pubblici. La valutazione medica è fatta da un ginecologo, un internista e un anestesista”.

“Quanto alla procreazione artificiale, non esiste una legge del Parlamento che disciplini la materia – ha spiegato –. C’è solo un decreto che ammette la fecondazione artificiale umana in forma omologa e in sede extracorporea”.

“Di fatto sta venendosi a configurare una situazione in cui la vita dei piccoli esseri umani appena concepiti è a rischio di distruzione, poiché non è vietata – come in Italia attraverso la legge 40 del 2004 – la ‘produzione’ di embrioni cosiddetti ‘soprannumerari’”, ha affermato.

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ZENIT Staff

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