Cina: quali sono le risorse e i pericoli per la pace nel mondo

Intervento del Professor Louis Aldrich, di Taipei

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TAIPEI, venerdì, 21 luglio 2006 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l’intervento pronunciato dal Docente di Teologia Louis Aldrich, di Taipei, su “Cina: quali sono le risorse e i pericoli per la pace nel mondo?”, in occasione dell’ultima videoconferenza internazionale convocata dalla Congregazione Vaticana per il Clero, il 27 giugno scorso.

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Il tema del mio intervento è “Cina: quali sono le risorse e i pericoli per la pace nel mondo?”. Se fossi cinese, con la mia attuale formazione accademica, e mi fosse richiesto di intervenire su questo argomento, insisterei subito sul fatto che non sono sufficientemente qualificato in materia, che non sono degno di tale compito e mi scuserei per aver fatto sprecare del tempo a insigni studiosi come voi. Di certo, però, detto questo, proverei comunque a rispondere alla domanda. Tuttavia, anche questa umiltà formalizzata indica qualcosa di più profondo nella cultura cinese che spero di mostrare nel corso di questo intervento e che è una risorsa per la pace.

Fondamentalmente, esistono molte risorse nella cultura tradizionale cinese che possono condurre la Cina a rendere un contributo positivo alla pace nel mondo. D’altro canto, la Cina, in quanto nazione militarmente potente, rappresenta un pericolo per la pace: l’ideologia comunista del conflitto di classe, la competizione per le risorse e i mercati seguita al recente successo della sua apertura al capitalismo del libero mercato e un crescente senso di “nazionalismo”. Per affrontare tale questione, per la quale io, in quanto teologo morale, non sono affatto competente, farò così: in primo luogo cercherò di descrivere le risorse della cultura tradizionale, poi mostrerò i pericoli presenti nell’attuale condizione per poi concludere evidenziando alcuni segni lusinghieri della situazione attuale.

II. Risorse per la pace nella cultura tradizionale cinese

Uno dei più celebri dipinti cinesi raffigura un incontro, a un crocevia, fra Lao Tzu, Confucio e Budda. L’incontro appare caratterizzato da grande gioia e reciproca accettazione. Rivela il genio della cultura cinese, l’abilità di accettare e integrare i migliori elementi del Taoismo, del Confucianesimo e del Buddismo. Infatti, ognuna di queste tradizioni ci parla intensamente dell’importanza della pace ed evidenzia le pratiche e gli atteggiamenti necessari a instaurarla. Cominciamo con il Taoismo di Lao Tzu.

La cultura cinese è sopravvissuta per 5.000 anni: certamente uno dei motivi più importanti è il profondo apprezzamento che il Taoismo nutre per la virtù dell’umiltà. Sulla pace Lao Tzu afferma: “Siate totalmente umili e avrete i fondamenti della pace” (1). Per raggiungere l’umiltà bisogna seguire la Via o il Tao. Dal punto di vista della filosofia tomista il Tao è la Legge Eterna: la fonte e il modello di tutto ciò che esiste, incluso l’uomo. Fino a quando gli uomini vivono in armonia con il Tao, sono buoni per se stessi e per gli altri. L’umiltà e la modestia sono virtù intrinseche all’essere in armonia con il Tao: “Colui che è grande deve fare dell’umiltà il proprio fondamento. Colui che è sommo deve fare della modestia il suo fondamento….Quindi “alcune cose sono aumentate dall’essere diminuite, altre sono diminuite dall’essere aumentate… “ciò che gli altri hanno insegnato, anche io lo insegno, i violenti pervengono a fini inopportune” (2).

Il taoismo di Lao Tzu confida nell’inevitabile correttezza del Tao e nel suo rapporto intrinseco con l’umiltà e afferma: “Quindi, se una grande nazione si umilia di fronte a un regno più piccolo, farà di quest’ultimo il suo premio. E se un piccolo regno si umilia di fronte a un grande regno, vincerà su quest’ultimo” (3). L’umiltà permette al saggio di cessare di lottare e di agire spinto da desideri egoistici e gli permette di entrare in sintonia con il Tao e di far sì che quest’ultimo agisca attraverso di lui. La “non azione” del Taoismo serve a permettere al Tao di manifestarsi nella vita umana. Un saggio metterà sempre in guardia un potente contro le guerre di conquista e se quest’ultimo deve combattere. “Non spingerà mai il suo trionfo più in là del necessario. Ciò che deve fare non è per la sua gloria. Ciò che deve fare non è per mostrare. Ciò che deve fare non è per il sé. Lo fa perché deve essere fatto” (4). Infine, anche la vittoria in guerra, per quanti sono in sintonia con il Tao, non è motivo di trionfo: “Il trionfo non è bello. Chi pensa che il trionfo sia bello ha volontà di uccidere e chi ha volontà di uccidere non vincerà mai sul mondo… la morte di una moltitudine è causa di lutto: guida il tuo trionfo come un funerale” (5).

Confucio nacque 50 anni dopo Lao Tzu e la via della guerra era proseguita fino a degenerare. Durante il Warring States Period “l’orrore raggiunse il suo culmine…invece di tenere i prigionieri per il riscatto, i conquistatori li condannarono a morte con esecuzioni di massa. I soldati venivano pagati per esporre le teste mozzate dei loro nemici. Intere popolazioni, tanto sfortunate da essere catturate, furono decapitate, include donne, bambini e anziani. Leggiamo di massacri di massa di 60.000, 80.000, 82.000 e persino 400.000 persone (6). Nonostante questo orrore e la corruzione di molti funzionari governativi, Confucio credeva nella bontà fondamentale della natura umana e nella reale possibilità di formare persone buone, famiglie buone e nazioni buone grazie a una corretta educazione. “Confucio riteneva che l’ordine umano riflettesse in qualche modo quello divino, o i modelli celesti. Più di ogni altra cosa, secondo Confucio, gli antichi avevano compreso l’ordine e la gerarchia del cielo e della terra. Di conseguenza, Confucio stabilì il passato cinese quale modello infallibile per il presente” (7).

Tuttavia, laddove Lao Tzu enfatizzava la naturalezza e la semplicità per raggiungere la sintonia con il Tao, per Confucio i modelli celesti erano “più esplicitamente inscritti nei vari rituali, li, prescritti per la condotta di vita” ed erano anche inscritti nei “modelli della musica e della danza, yueh”, in modo che praticando e comprendendo “la musica e la danza solenni e tradizionali” si potesse raggiungere l’ordine proprio di vita (8). Un individuo che segue i modelli divini possiede pace e armonia perché “può vedere l’interezza dell’umanità, ascolta l’interezza dell’umanità” e “tratta gli altri come vorrebbe che gli altri trattassero lui”, infine, la persona “che fluisce in pace e armonia non è mai inquieta né timorosa” (9). Secondo Confucio è abbastanza chiaro che la pace deve cominciare con l’individuo, poi estendersi alla famiglia, poi allo Stato (sulle relazioni fra gli Stati).

Sia Lao Tzu sia Confucio basano la loro comprensione della pace sul Tao o su ciò che la filosofia tomista avrebbe chiamato Legge Eterna e legge morale naturale. Il Buddismo su basa sull’esperienza religiosa. In un certo senso, il raggiungimento della pace è il fine principale del Buddismo. Un Maestro buddista, Buddhadasa- bhikkhu (1906-93) ha sottolineato nove punti che dovrebbero caratterizzare gli operatori di pace. In questa sede esporrò uno dei punti: “gli operatori di pace dovrebbero provenire da famiglie pacifiche e giuste. Le famiglie pacifiche e giuste conoscono i propri doveri e i propri obblighi verso gli altri. Agiscono secondo la dottrina buddista. Coloro che provengono fa famiglie giuste e pacifiche sono membri responsabili della società. Per esempio, se sono i superiori, tratteranno gli inferiori con compassione; se sono bambini rispetteranno i loro genitori e se ne prenderanno cura. Possono sempre garantire la pace nella società” (10).

III. Sfide alla pace

Abbiamo parlato delle riso
rse della cultura tradizionale cinese che agiscono da eccellente fermento sulle decisioni politiche dell’attuale governo cinese. Esistono, infatti, forze culturali molto profonde e potenti che fanno della pace un obiettivo positivo per i rapporti nazionali e internazionali della Cina. Sebbene, devo ammetterlo, io non sia qualificato per esprimere opinioni su questi temi, la Cina contemporanea presenta alcune aree che potrebbero essere definite pericolose per la pace nel mondo. Esse sono la politica di non-interferenza nella sovranità dello Stato, la politica che prevede che un solo partito possieda tutto il controllo nel Paese, la politica di colonializzazione del Tibet e le politiche relative alla unificazione con Taiwan.

Sebbene, in un certo qual modo, la non-interferenza nella sovranità dello Stato possa essere utile alla pace, in alcune aree dell’Africa, per esempio nel Sudan, la riluttanza della Cina ad accettare l’invio di contingenti di pace dell’Onu o ad utilizzare la propria influenza economica per esigere da quei governi cambiamenti volti alla pace, permette a brutali guerre civili e a guerre di sterminio di Stato di proseguire senza motivo. Questa politica non è certo un riflesso della tradizione cinese, ma dell’idea europea di Stato sovrano formatasi nel XVIII secolo. Questa idea permette ai responsabili cinesi di rifiutare le critiche che provengono dall’esterno a proposito delle sue pratiche relative ai diritti umani. Questa forma di nazionalismo è pericolosa perché viene facilmente manipolata per distrarre l’attenzione della popolazione dai problemi interni. Per esempio, se dovessero scoppiare in Cina gravi disordini o dovesse manifestarsi un serio malcontento, accentuare la retorica contro Taiwan, o addirittura attaccare Taiwan, potrebbero essere un modo, attraverso il fervore nazionalistico, di ripristinare il potere del partito comunista. Inoltre, l’attuale colonizzazione aggressiva del Tibet che opprime la popolazione locale utilizzando gli emigrati dalla Cina, minaccia sempre di scatenare una reazione violenta da parte dei tibetani. Infine, per quanto concerne Taiwan, la Cina ha centinaia di missili puntati su Taiwan e una forte retorica pubblica asserisce che Taiwan è parte del territorio nazionale cinese. Al contempo, anche se la maggioranza degli abitanti di Taiwan non desidera una dichiarazione formale di indipendenza, esiste una minoranza considerevole che spinge il governo in tale direzione. Qualsiasi passo falso in questa situazione da parte dei responsabili di Taiwan o della Cina potrebbe condurre a una guerra fra Cina e Stati Uniti.

IV. Conclusione

Ripeto per la terza volta che nell’affrontare questo tema mi trovo in un campo estraneo alla mia competenza accademica. Riassumendo possiamo affermare che, dal momento che la cultura tradizionale cinese possiede forti elementi rivolti alla pace, la Cina potrebbe divenire una forza positiva per la pace nel mondo in futuro. Infatti, la politica della Cina verso Taiwan è stato molto più pacifica nella pratica che nella sua retorica: pare ci sia un’accettazione generale della posizione promossa dagli Stati Uniti. Fino a quando Taiwan non dichiarerà la propria indipendenza, l’unificazione potrà essere raggiunta gradualmente e pacificamente. Inoltre, la strategia ufficiale del Governo cinese per i prossimi venti anni è di “sviluppo pacifico”. In un discorso dello scorso anno, l’ambasciatore cinese presso gli Stati Uniti, Zhou Wenzhong, dopo aver evidenziato le sfide particolari che la Cina deve affrontare nel perseguire il suo sviluppo economico e sociale, ha esposto tre futuri orientamenti strategici, il secondo dei quali è il seguente: “La Cina deve trascendere i tradizionali approcci allo sviluppo delle grandi potenze della Storia moderna e la mentalità da guerra fredda caratterizzata dall’ideologia, e adoperarsi per la pace, lo sviluppo e la cooperazione con il resto del mondo… In breve, dobbiamo intraprendere una strada di sviluppo pacifico fin dall’inizio della riforma e dell’apertura. La serie di politiche interne ed estere che abbiamo adottato finora riassumono la nostra strategia di sviluppo pacifico. Il fulcro di questa nostra strategia consiste nel mantenere la pace con l’esterno e l’armonia all’interno” (11).

Sebbene espressa in Inglese e nel contesto del moderno sviluppo economico, la strategia esposta è coerente con il meglio del pensiero tradizionale cinese sull’importanza della pace. Per questo abbiamo motivo di sperare che la Cina sarà per la pace più un promotore che una minaccia.

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1) http://terebess.hu/english/tao/bynner.html, sezione 16.
2) The Sayng of lao Tzu, traduttore Lionel Giles, Butler and Tanner Ltd. (Londra), 1959, pp. 36-37.
3) Ibidem., p. 38.
4) http//.terebess,hu/english/tao/bynner.html, sezione 30.
5) ibid., sezione 31.
6) Huston Smith, The Religions of Man, New York: Harper and Row, 1965, p. 166.
7) http://www.greatcom.org/resources/handbook-of-todays-religions /03chap04/default.htm
8) http://www.wsu.edu:8001/-dee/CHPHIL/CONF. HTM
9) http://www.johnworldpeace.com/confucius2.html
10) Tradotto da Pataraporn Sirikamchana in Donald K. Swearer.
11) Zhou Wenzhong, Georgetown University Washington, D.C., “China’s strategy of Peaceful Development and the future of China –U.S relations”, 5 ottobre 2005.

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ZENIT Staff

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