Cosa fare se la madre vuole dar vita ad embrioni congelati e il padre si oppone?

Risponde un esperto di bioetica

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ROMA, mercoledì, 12 luglio 2006 (ZENIT.org).- Cosa avviene quando una madre vuole dare vita ad embrioni che ha congelato, ma il padre si oppone? Gli embrioni hanno diritto a vivere e i loro genitori hanno il dovere di dare loro assistenza, risponde il padre Fernando Pascual L.C., sacerdote e professore di filosofia e di bioetica presso l’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum” di Roma, a fronte di un caso giudiziario alla ribalta delle cronache in questi giorni.

Ci potrebbe riassumere il nuovo caso giudiziario relativo agli embrioni congelati?

P. Fernando Pascual: A Dublino, i tribunali si trovano ad esaminare il ricorso di una donna che vuole accogliere tre embrioni congelati, figli suoi e del suo ex marito. Il problema è che il marito, separato dalla moglie, vi si oppone e cerca di ottenere che questi embrioni vengano distrutti o venduti. I giudici quindi devono risolvere il seguente dilemma: chi ha l’ultima parola sulla vita e la morte di questi embrioni?

Quali sono i principi etici che entrano in gioco in questo caso?

P. Fernando Pascual: Questo caso potrebbe essere visto, da una parte, come una lotta tra l’uomo e la donna, come un ulteriore caso di prepotenza del marito contro la libertà della moglie. Altri potrebbero vederlo, al contrario, come il ruolo quasi decisivo che la donna ha rispetto alla vita dei suoi figli, un ruolo che oscura e che lascia completamente da parte il padre. Ma entrambe queste prospettive sono insufficienti. La cosa principale di cui tenere conto è il valore della vita di questi embrioni che sono, soprattutto, figli.

Potrebbe spiegarsi meglio?

P. Fernando Pascual: Concepire (alcuni dicono “produrre”) embrioni in laboratorio è sempre un errore. Ma se tali embrioni sono stati concepiti, essi meritano di essere trattati come qualsiasi altro essere umano. Hanno diritto ad un padre e ad una madre, ad essere accolti nel seno della madre, a nascere e ad essere cresciuti e mantenuti nella loro infanzia. Non possiamo pertanto limitarci a vederli come “oggetti”, rispetto ai quali i genitori biologici possano litigare o discutere. Vanno invece visti come figli, nei confronti dei quali i genitori hanno importanti doveri di assistenza.

Come si dovrebbe procedere quindi in casi come questo?

P. Fernando Pascual: Questi embrioni hanno già subito una grave ingiustizia per il fatto di essere stati concepiti in laboratorio (“in vitro”) e poi congelati. Meritano ora di essere “salvati” dalla madre, di essere trasferiti nelle trombe di Falloppio e di avere così l’opportunità di vivere.

E cosa ne è della volontà dell’ex marito il quale non vuole “essere forzato” ad essere padre contro la sua volontà?

P. Fernando Pascual: L’ex marito si sbaglierebbe se dicesse che diverrebbe padre “contro la sua volontà”. Egli già è padre dal momento in cui gli embrioni sono stati concepiti. Pertanto, la moglie adempie ad un dovere (non è solo un diritto) nel chiedere che gli embrioni gli vengano impiantanti, e l’ex marito (che è già padre) dovrà sostenere economicamente il mantenimento e l’educazione dei suoi figli. Dire che gli si “impone la paternità” è totalmente falso: la paternità l’ha già accettata decidendo, insieme a sua moglie, di rivolgersi ad una clinica per la fecondazione. Pertanto, il padre e la madre hanno doveri molto importanti nei confronti di quegli embrioni che sono i loro figli.

Se fosse la moglie a rifiutare questi embrioni e fosse il marito a chiederne il rispetto e la possibilità di nascere, come ci si dovrebbe comportare?

P. Fernando Pascual: In questo caso, ipotetico ma non impossibile, la madre dovrebbe accettare di accogliere i suoi figli nel suo seno. Se per motivi di salute non è più in grado di farlo, o se nega la propria disponibilità a compiere questo gesto materno di elementare giustizia, gli embrioni potrebbero essere adottati da qualche altra coppia. Questa idea è oggigiorno un punto di discussione tra i teologi cattolici, ma tale soluzione sembrerebbe più corretta, considerando il diritto alla vita che questi embrioni già hanno. Bisogna ricordare sempre che il diritto alla nascita non viene loro attribuito per il fatto di essere voluti da qualcuno. Questo diritto lo hanno perché sono esseri umani. In funzione della loro dignità siamo chiamati a promuoverne l’accoglienza, perché possano nascere e vivere nel miglior ambiente familiare che possiamo offrirgli.

Non è possibile evitare situazioni così drammatiche?

P. Fernando Pascual: Sarebbe molto più facile se prendessimo coscienza che la vita non è un gioco. La fecondazione artificiale (a volte chiamata “procreazione assistita”) determina tutta una serie di ingiustizie e di situazioni assurde, oltre a permettere che i figli vengano visti sempre più come un capriccio e non come un dono che nasce dall’amore dei genitori. Inoltre dobbiamo promuovere un’educazione alla fedeltà degli sposi, al fine di evitare rotture tra coloro che già hanno figli. È importante proteggere la famiglia, che è il principale santuario della vita.

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ZENIT Staff

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